Padre unico responsabile di un figlio di 6 anni: scatta il ""jolly"" per uscire di galera

Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti di un uomo, padre di un minore di 6 anni, qualora la madre del bambino sia in condizioni tali da non poter prestare un’adeguata assistenza.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 23955, depositata il 4 luglio 2014. Il caso. Il tribunale del riesame di Napoli confermava la misura custodiale in carcere ai danni di un imputato per il reato di cui all’articolo 416-bis c.p L’uomo ricorreva in Cassazione, lamentando che non fosse stata considerata l’assoluta impossibilità di dare assistenza al figlio di età minore a 6 anni da parte della moglie, affetta da una grava patologia. Non poteva, inoltre, essere riconosciuta ad altri familiari o a strutture pubbliche una valida funzione sostitutiva. Divieto di custodia cautelare. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che il legislatore ha previsto dei casi di divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere, sanciti dall’articolo 275, comma 4, c.p.p., a meno che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, tra cui il pericolo di recidiva. Assistenza al minore. Tra queste ipotesi, è inclusa quella della madre di prole in età inferiore a 6 anni, oppure quella del padre, qualora la donna sia deceduta o assolutamente impossibilitata ad assistere il minore. In questo modo, si vuole salvaguardare l’integrità psicofisica del bambino, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari. Ruolo del padre. In quest’ottica, il ruolo paterno è circoscritto ad un ruolo di mera supplenza, per cui l’incompatibilità con il carcere sorge, per l’uomo, soltanto qualora la madre sia in condizioni tali da non poter prestare un’adeguata assistenza. In questa situazione, il divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti dell’imputato opera anche nel caso in cui i minori possano essere affidati a congiunti disponibili o a strutture pubbliche, poiché a questi non è riconosciuta alcuna funzione sostitutiva. Il pericolo sarebbe, infatti, un grave pregiudizio della formazione del minore in assenza di una figura genitoriale. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano, quindi, erroneamente fatto riferimento alla necessità di una dimostrazione dell’impossibilità di ricorrere all’aiuto di strutture pubbliche o di familiari. La Cassazione sottolinea che l’ausilio di strutture pubbliche o di altri familiari può, eventualmente, assumere una funzione integrativa e di supporto, non di sostituzione dell’assistenza familiare. Inoltre, veniva censurata la mancata motivazione relativa alla ravvisabilità dell’assoluta impossibilità ad assistere il figlio da parte della madre, affetta da gravi patologie. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 aprile – 4 luglio 2014, numero 29355 Presidente Agrò – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. A.F. ricorre per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli, in data 11-12-13, che ha rigettato l'appello proposto avverso l'ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Napoli, che aveva respinto la richiesta di revoca o sostituzione della misura custodiale applicata per i reati di cui agli articolo 416 bis, 10-14 L. 497/74 e 7 L. 203/91. 2. Il ricorrente deduce, con unico, articolato motivo, violazione dell'articolo 275 co. 4 cpp e vizio di motivazione poiché erroneamente il giudice a quo non ha ravvisato l'assoluta impossibilità di dare assistenza al figlio di età inferiore a sei anni da parte della moglie dell'imputato, affetta da una patologia neoplastica e da una sindrome ansioso-depressiva, come da documentazione sanitaria in atti. Né può essere riconosciuta ad altri familiari o a strutture pubbliche una valida funzione sostitutiva perché il legislatore ha inteso tutelare l'integrità psico-fisica dei figli in tenera età garantendo loro l'assistenza di almeno uno dei genitori. Si chiede pertanto annullamento dell'ordinanza impugnata. Le argomentazioni addotte sono state ulteriormente illustrate con memoria in data 16-4-14, corredata da documentazione sanitaria. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. Il legislatore, infatti, nella logica delle puntualizzazioni applicative del principio di adeguatezza, operando un bilanciamento in concreto tra una pluralità di esigenze, ha previsto che, ricorrendo, in positivo o in negativo, alcune condizioni soggettive, non venga applicata la misura della custodia cautelare in carcere. Il divieto di applicazione di tale misura, a norma dell'articolo 275 co 4 cpp, non è basato su una presunzione che si contrapponga a quella di adeguatezza esclusiva della misura intramurale, nei casi previsti dal comma 3 dello stesso articolo,ben potendo riscontrarsi o presumersi la pericolosità, sotto il profilo criminologico, anche di soggetti che si trovino in taluna delle condizioni che danno luogo al suindicato divieto. Quest'ultimo trova invece fondamento nel giudizio di valore operato dal legislatore, nel senso che sulla esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria debba prevalere la tutela di altri interessi, considerati poziori in quanto correlati ai fondamentali diritti della persona umana, sanciti dall'articolo 2 Cost. Sez. I 16-1-2008, numero 5840, rv. numero 238655 . Di qui la prevalenza, sulla norma di cui all'articolo 275 co. 3 cpp, che impone il regime intramurale ove si proceda per determinati reati, del disposto dell'articolo 275 co. 4 cpp, che esclude l'applicabilità della custodia cautelare in carcere nei confronti di chi versi nelle particolari condizioni, tassativamente indicate dalla norma stessa, Sez. VI, 21-10-99 n 3415, Avaro Cass., Sez. I 27-11-2008 numero 1438 Cass. Sez. II, 16-3-12, numero 46871 , sempre che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Queste ultime, laddove la misura si fondi sulle esigenze cautelari di cui all'articolo 274 lett. e cpp, sono ravvisabili ogniqualvolta il pericolo di recidiva sia elevatissimo, sì da permettere una prognosi di sostanziale certezza che l'indagato,se sottoposto a misure di carattere extramurale, continuerebbe a commettere delitti Sez. I 3-10-12 numero 47861, in Cass. penumero 2013, p. 3163 . 3.1. Nel novero delle condizioni soggettive in disamina il legislatore include quella della madre di prole in età non superiore a sei anni tre anni, nel testo antecedente al 1 gennaio 2014, vigente all'epoca di emanazione del provvedimento impugnato , con lei convivente, ovvero quella del padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli. La ratio della norma è individuabile nella necessità di salvaguardare l'integrità psicofisica di soggetti in tenera età, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari e garantendo così ai figli l'assistenza familiare, in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione fisica e psichica. In quest'ottica, certamente il ruolo paterno risulta ancora circoscritto all'ambito di una mera supplenza, onde l'incompatibilità con il carcere sorge, per il padre, soltanto ove la madre sia in condizioni fisiche, psicologiche od esistenziali tali da non poter prestare assistenza ai minori. Allorché però si verifichi tale situazione, il divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti dell'imputato, padre di prole di età inferiore a sei anni, opera anche nel caso in cui i minori possano essere affidati a congiunti disponibili o a strutture pubbliche Sez. II, 11-11-2004 numero 47473, Dir. Penumero e procomma 2005, 730 . Una volta infatti che sia stata accertata l'assoluta impossibilità della madre a dare assistenza alla prole e sia stato escluso il ricorrere di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, il giudice non può giustificare il mantenimento della misura intramurale prendendo in esame l'eventuale presenza di altri familiari, in quanto ad essi il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva, considerato che la formazione del bambino può essere gravemente pregiudicata dall'assenza di una figura genitoriale, la cui infungibilità deve, pertanto, fin dove possibile, essere assicurata, trovando fondamento nella garanzia che l'articolo 31 Cost. accorda all'infanzia Sez. V 9-11-2007, n 41626, rv. numero 238209 Sez. IV 19-11-2004, numero 6691, rv. numero 230931 . 4. Erroneamente dunque il Tribunale ha fatto riferimento alla necessità che sia dimostrata anche l'impossibilità di ricorrere all'aiuto di strutture pubbliche o di familiari, come, nel caso in esame, il figlio di 16 anni e il suocero dell'imputato, di anni 55. L'ausilio di strutture pubbliche o di altri familiari potrà, infatti, eventualmente assumere una funzione integrativa e di supporto ma mai sostitutiva dell'assistenza genitoriale Sez. V 15-2-2008 n 8636, rv. numero 239042 . Né il Tribunale ha adeguatamente motivato in ordine alla ravvisabilità o meno di una assoluta impossibilità di prestare assistenza al figlio, da parte della madre, alla luce delle prospettazioni difensive, di cui il giudice a quo da atto, in merito alla gravissime patologie fisiche e psichiche da cui quest'ultima risulta affetta. Nell'effettuare questa analisi, è infatti necessario fare uso di massime di esperienza consolidate e affidabili, alla luce delle quali stabilire se una persona che versi nelle condizioni di salute enucleabili dalla documentazione sanitaria agli atti sia o meno in grado di occuparsi della prole. E, al riguardo, occorre notare come la giurisprudenza di legittimità abbia tracciato un netto discrimen tra massima di esperienza e mera congettura una massima di esperienza è un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse e valevole per nuovi casi Sez. VI 7-3-2003, numero 31706, Abbate, rv numero 228401 . Si tratta dunque di generalizzazioni empiriche, tratte, con procedimento induttivo, dall'esperienza comune, che forniscono al giudice informazioni su ciò che normalmente accade, secondo orientamenti largamente diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione. Dunque, nozioni di senso comune common sense presumptions , enucleate da una pluralità di casi particolari, ipotizzati come generali, siccome regolari e ricorrenti, che il giudice in tanto può utilizzare in quanto non si risolvano in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze e parametri riconosciuti e non controversi. Nelle massime di esperienza, il dato è connotato da un elevato grado di corroborazione correlato all'esito positivo delle verifiche empiriche cui è stato sottoposto e quindi la massima può essere formulata sulla base dell'id quod plerumque accidit. La congettura invece si iscrive nell'orizzonte della mera possibilità sicché la massima è insuscettibile di riscontro empirico e quindi di dimostrazione. Pertanto, nella concatenazione logica di vari sillogismi, in cui si sostanzia la motivazione, possono trovare ingresso soltanto le massime di esperienza e non le mere congetture Cass. 22-10-1990, Grilli, Arch numero procomma penumero 1991, 469 . 5 Non può pertanto affermarsi che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alla conferma del provvedimento del Gip attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi e di un apparato argomentativo coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti Sez. unumero 25-11-'95, Facchini, rv. 203767 . La sentenza impugnata va dunque annullata, con rinvio, per nuova deliberazione, al Tribunale di Napoli. Vanno infine espletati gli adempimenti di cui all'articolo 94 co. 1 ter disp. att. cpp. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia, per nuova deliberazione, al Tribunale di Napoli. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 co. I-ter disp. att. cpp.