Fondamentali le trascrizioni delle parole, intercettate, dell’esponente di spicco della mafia. Ci si trova di fronte all’ipotesi, concreta, dell’organizzazione di nuove iniziative di rappresaglia, innanzitutto ai danni del Pubblico Ministero, Nino Di Matteo, del processo sulla ‘trattativa Stato-mafia’. Assolutamente motivato il provvedimento che ha autorizzato la perquisizione, e il relativo sequestro di materiale, nella cella di Riina.
Salvatore Riina, classe 1930, noto anche come Totò Riina, conosciuto come uomo di vertice della ‘mafia’. Arrestato nel gennaio del 1993, dal ‘Raggruppamento operativo speciale’ dei Carabinieri, è in carcere da oramai oltre vent’anni – sottoposto al regime restrittivo previsto dall’articolo 41 bis dell’Ordinamento penitenziario –, eppure continua a essere considerato esponente di spicco, pericoloso e, soprattutto, ascoltato dai componenti operativi dell’associazione criminosa. Così si spiega lo straordinario “decreto di perquisizione e sequestro” – all’interno della cella di Riina – emesso dal Pubblico Ministero, confermato dal Tribunale di Caltanissetta – come Giudice del riesame – e ‘cristallizzato’ ora dai giudici della Cassazione, in via definitiva. Cassazione, sentenza numero 26518, sez. VI Penale, depositata oggi . Perquisizione in cella. Obiettivo del provvedimento, contestato da Riina, è «ricercare appunti, documentazione e corrispondenza» in suo possesso. Legittimo, per i giudici del Tribunale, compiere un blitz ad hoc nella cella. Ciò anche, anzi soprattutto, tenendo presenti «minacce e progetti di attentati in danno di magistrati in servizio presso il distretto della Corte di Appello di Palermo». A tale proposito, viene evidenziato il ‘peso specifico’ degli «atti» su cui si fonda il «provvedimento», ossia «i verbali di trascrizione di tre diverse intercettazioni» delle parole di Riina, ritenuti «sufficienti allo scopo». E tale valutazione, nonostante l’opposizione messa ‘nero su bianco’ dal legale di Riina, viene condivisa dai giudici del ‘Palazzaccio’. Anche questi ultimi, difatti, sottolineano il «tenore delle intercettazioni in atti», da cui emergono, in maniera evidente, «aspetti propositivi di assoluta gravità» come «l’organizzazione di nuove iniziative di rappresaglia e intimidazione in continuità con l’azione illecita di matrice mafiosa». Allo stesso tempo, è ritenuta acclarata «l’esigenza» di Riina di «raccordarsi con l’esterno, contattando gli attuali sodali per la necessaria definizione logistica e di contenuto» per le «iniziative prospettate nei colloqui captati», ossia, come detto, attentati ipotizzati ai danni di magistrati, a partire da Nino Di Matteo, Pubblico Ministero a Palermo nel processo sulla ‘trattativa Stato-mafia’. Ciò è sufficiente, per i giudici, per considerare lapalissiana la «funzionalità tra il sequestro della documentazione» presente nella cella di Riina e la «prospettiva di ricerca della prova, in ragione di possibili momenti di collegamento con la realtà esterna al carcere».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 maggio – 19 giugno 2014, numero 26518 Presidente Milo – Relatore Paternò Raddusa Ritenuto in fatto 1. R.S. impugna per cassazione l'ordinanza con la quale il Tribunale di Caltanissetta, adito quale Giudice del riesame, ha rigettato il ricorso proposto avverso il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal pubblico ministero in data 20 dicembre 2013, eseguito il 30 dicembre successivo decreto, quello impugnato, volto a ricercare appunti, documentazione e corrispondenza in possesso del ricorrente , detenuto , sottoposto al regime ex art 41 bis Ord. Penumero ed indagato per il reato di cui all'art 416 bis c.p. 2. Nel provvedimento il Tribunale - segnala la propria competenza in considerazione del disposto di cui all'art 11 c.p.p. , essendo il progetto criminoso coperto dall'attività di indagine e correlato alla contestazione associativa, finalizzato a minacce e progetti di attentati in danno di Magistrati in servizio presso il distretto della Corte di appello di Palermo - conferma l'ammissibilità del riesame, contenendo il decreto di perquisizione l'ordine di sequestro, poi eseguito , con specifica preventiva individuazione delle cose da sequestrare per genere, natura, destinazione e pertinenza al reato cui l'atto è strumentalmente correlato - dà atto della trasmissione, previo deposito in cancelleria il giorno stesso dell'udienza , da parte dell'ufficio del PM , degli atti sui quali si fonda il reso provvedimento ex art 324 cpp segnatamente i verbali di trascrizione di tre diverse intercettazioni , ritenuti sufficienti allo scopo - valuta siccome sussistente il fumus sotteso al reato correlato al mezzo cautelare attivato. 3. Con un unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione di legge e segnala l'assenza di qualsivoglia elemento utile a conclamare il fumus del reato oggetto di imputazione provvisoria, così da cristallizzare l'iniziativa in termini meramente esplorativi. Mancherebbe dunque la precisazione del fatto di reato da correlare alla iniziativa cautelare mentre i richiami indiziari operati sono privi di valenza utile al fine. 4. Il ricorso è inammissibile. 5. Come affermato da questa sezione della Corte cfr Sez. 6, Sentenza numero 5930 del 2012 il sequestro probatorio ex articolo 253 c.p.p., è quale misura precautelare reale un peculiare mezzo di ricerca della prova, che - proprio per evitare il rischio che si trasformi in un improprio strumento di ricerca della stessa notitia criminis che esso sequestro presuppone - deve essere sorretto da una motivazione, per quanto riassuntiva o schematica, che coniughi al ragionevole delinearsi di ipotesi criminose munite di riconoscibili valenze ontologiche sebbene destinate ad essere vagliate in modo esaustivo nella sede propria della piena cognitio del giudice di merito almeno l'enunciazione descrittiva della inerenza o pertinenzialità di beni e cose sequestrati all'accertamento di dette ipotesi di reato. 6. Nel caso, il provvedimento impugnato appare pienamente conforme al sopra delineato principio di diritto. Nel valutare e ritenere sussistente il fumus sotteso al reato correlato al mezzo cautelare attivato il Tribunale ha fatto puntuale e argomentato riferimento al tenore delle intercettazioni in atti trasmesse dall'autorità procedente. In particolare ha segnalato come dalle stesse emergano aspetti propositivi di assoluta gravità l'organizzazione di nuove iniziative di rappresaglia e intimidazione in continuità con l'azione illecita di matrice mafiosa che nel passato ha segnato il percorso criminale del ricorrente e in coerenza ha rimarcato l'esigenza dell'indagato di raccordarsi con l'esterno , contrattando gli attuali sodali per la necessaria definizione logistica e di contenuto quanto a tali nuove iniziative prospettate nei colloqui captati. Da qui la ritenuta funzionalità tra il sequestro della documentazione che il ricorrente deteneva in cella e la prospettiva di ricerca della prova in ragione di tali possibili momenti di collegamento con la realtà esterna al carcere , collegamento che vede un probabile strumento di veicolazione nelle possibilità di contatto con i prossimi congiunti dei detenuti. Il tutto nel quadro di riferimento garantito dal reato provvisoriamente ascritto al ricorrente. 7. Questa la motivazione adottata, deve dunque escludersi, alla luce di quanto segnalato in precedenza, che nella specie possano ritenersi sussistenti gli estremi della violazione di legge utile a giustificare il vaglio di legittimità consentito a questa Corte in ipotesi di sequestro. Del resto, le doglianze articolate, lungi dal confrontarsi con l'argomentare tracciato nel provvedimento impugnato, si sostanziano in considerazioni eccentriche rispetto al portato della decisione contrastata e dunque prive di specificità rispetto ai temi puntualmente delineati dal Tribunale, così da conclamare definitivamente l'inammissibilità del gravame. 8. Alla inammissibilità del gravame segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle Ammende determinata in via equitativa come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.