Ritenuta legittima la richiesta avanzata da un dipendente di Poste Italiane spa a lui va riconosciuto il diritto di precedenza nella scelta della destinazione nei trasferimenti tra le sedi aziendali. Respinta la tesi della società, secondo cui, ‘accordo di mobilità’ alla mano, è necessario che l’assistenza al parente disabile sia già in atto.
Accordo sindacati-società preferenza, nei trasferimenti, per i dipendenti nei cui confronti è applicabile la l. numero 104/1992. Ma tale visione, nonostante ciò che dice l’azienda, non va estremizzata è illogico pretendere che il dipendente, per potere esercitare il «diritto di precedenza nella scelta della destinazione», debba essere già materialmente operativo nell’assistenza a un familiare portatore di handicap. Cassazione, sentenza numero 13723, sez. Lavoro, depositata oggi . Mobilità. Casus belli è la richiesta di un dipendente di Poste Italiane spa finalizzata ad ottenere il riconoscimento del «diritto di precedenza nella scelta della destinazione, come previsto dall’‘accordo di mobilità interaziendale 17.10.2001’, in qualità di familiare di soggetto portatore di handicap». Illegittimo, secondo i giudici di merito, il ‘niet’ dell’azienda di conseguenza, viene acclarato il diritto di preferenza del lavoratore. Per i giudici, in sostanza, è «sufficiente la mera intenzione del lavoratore di instaurare un rapporto di assistenza con il familiare». Assistenza. Pronta la replica di Poste Italiane, che, proponendo ricorso in Cassazione, sostiene che «il diritto di preferenza o precedenza rispetto agli altri lavoratori aspiranti al trasferimento richiedeva che il lavoratore assistesse un familiare nelle condizioni» previste dalla l. numero 104/1992. È impensabile, secondo i legali dell’azienda, richiamare la «mera intenzione» di provvedere all’assistenza del familiare portatore di handicap. Tale obiezione, però, viene respinta, in modo netto, dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali condividono l’«interpretazione», offerta dai giudici di merito, della «clausola contrattuale». Detto in maniera chiara, è corretto ritenere che «non è richiesta, al fine dell’operatività del criterio preferenziale invocato dal dipendente e disconosciuto invece dalla società, l’assistenza in atto del familiare, ma soltanto la astratta applicabilità della legge numero 104 del 1992». Anche perché, evidenziano i giudici, il presunto «presupposto» – ritenuto decisivo dall’azienda – della «attualità della assistenza continua» è contraddetto dal fatto stesso della «possibilità, per il dipendente, di prestare attività lavorativa ad una distanza proibitiva». Dunque, l’applicazione dell’accordo sindacati-azienda è legata alla «effettiva – ma non necessariamente attuale – possibilità di assistenza al familiare disabile».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 marzo – 17 giugno 2014, numero 13723 Presidente Canevari – Relatore Amoroso Svolgimento del processo 1. Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, con sentenza numero 1056 del 2004, ha accolto la domanda formulata da M.G., dipendente della spa POSTE ITALIANE, di accertamento del diritto di precedenza nella scelta della destinazione, come previsto dall'accordo di mobilità interaziendale 17.10.2001, in qualità di familiare di soggetto portatore di handicap e ha condannato la società a trasferire il lavoratore presso le sedi optate. Il Tribunale ha escluso che il riferimento contenuto nell'accordo al personale nei cui confronti trovino applicazione le disposizioni di cui alla legge 5.2.92 numero 104 implichi il richiamo integrale al contenuto normativo dell'articolo 33 della legge citata. limitando così la categoria dei lavoratori che fruiscono della disciplina in deroga ai criteri generali. 2. Con ricorso depositato il 31.3.2005 la spa POSTE ITALIANE ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale. Secondo l'appellante i documenti prodotti, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non erano idonei a dimostrare i requisiti necessari all'accoglimento della domanda. L'appellato ha resistito all'impugnazione chiedendone il rigetto. La Corte d'appello di Milano con sentenza dell'11.10.2006 - 29 gennaio 2007 ha confermato la sentenza numero 1056/04 del Tribunale di Milano ed ha condannato Poste Italiane a pagare a M. le spese del grado. 3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società Poste Italiane con due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. Il ricorso è articolato in due motivi. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia la violazione degli articolo 1362 ss. c.c. e dell'accordo collettivo 17 ottobre - 23 ottobre 2001 nonché vizio di motivazione. Secondo la società il criterio di preferenza nei trasferimenti, previsto dall'accordo sindacale del 23 ottobre 2001, faceva riferimento a coloro nei cui confronti trovavano applicazione le disposizioni della legge numero 104 del 1992. Quindi il diritto di preferenza o precedenza rispetto agli altri lavoratori aspiranti alla trasferimento richiedeva che il lavoratore assistesse un familiare nelle condizioni di cui alla legge numero 104 del 1992. Erroneamente la sentenza impugnata invece ha ritenuto sufficiente la mera intenzione del lavoratore di instaurare un rapporto di assistenza con il familiare. Con il secondo motivo di ricorso la società denuncia la violazione degli articolo 2697 e 1362 e seguenti c.c. e degli accordi collettivi del 17 ottobre - 23 ottobre 2001 nonché vizio di motivazione. Deduce la società che non risultava provata l'esclusività dell'assistenza al familiare ossia non era provato che non vi fosse altro soggetto che prestava o poteva prestare tale assistenza. 2. Il ricorso - i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato. 3. Innanzitutto deve considerarsi che - ove anche se il contratto collettivo per i dipendenti delle Poste Italiane fosse da qualificare come contratto collettivo nazionale suscettibile di interpretazione diretta ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. in tal senso, con riferimento ad altro contratto collettivo aziendale, ma parimenti con estensione territoriale nazionale, cfr. Cass., sez. lav., 4 agosto 2008, numero 21080, che ha affermato che «l'azienda in questione ha dimensione nazionale e quindi anche il contratto collettivo, seppur aziendale, può qualificarsi come nazionale agli effetti di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, e articolo 420 bis c.p.c » - nella specie la norma contrattuale di cui si controverte è in realtà contenuta in un accordo sindacale che riguardava specificamente la mobilità interaziendale. Pertanto tale accordo aveva la stessa valenza di un contratto collettivo integrativo e quindi l'interpretazione non poteva essere diretta ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. di ciò peraltro le parti non sembrano dubitare . Consegue che il controllo sull'interpretazione offerta dai giudici di merito della clausola contrattuale va fatto indirettamente per il tramite dei criteri legali di interpretazione negoziale. Sotto questo profilo l'interpretazione offertane dalla Corte d'appello - secondo cui non è richiesto, al fine dell'operatività del criterio preferenziale invocato dal dipendente e disconosciuto invece dalla società, l'assistenza in atto del familiare, ma soltanto la astratta applicabilità della legge numero 104 del 1992 - è rispettosa dei canoni legali di interpretazione negoziale. 4. La società censura l'interpretazione che i giudici di merito hanno dato dell'accordo sindacale 17/23 ottobre 2001 laddove attribuisce titolo preferenziale a coloro ai quali si applica la legge numero 104 del 1992. Ha puntualmente osservato la Corte d'appello che detto accordo, dopo avere stabilito il criterio generale secondo cui i trasferimenti del personale avvengono in base alla posizione in graduatoria e con riserva del 50% delle posizioni disponibili nelle regioni del Centro e del Sud Italia al personale delle regioni del Nord e del Centro, stabilisce «Si farà eccezione per il personale nei cui confronti trovino applicazione le disposizioni di cui alla legge 5 febbraio 1992 numero 104 e successive modificazioni ed integrazioni. Detto personale, ove inserito nella sopra citata graduatoria di mobilità avrà la precedenza nella scelta della destinazione, indipendentemente dal posto occupato dallo stesso nella relativa graduatoria di appartenenza». Ha quindi considerato che l'espressione il personale nei cui confronti trovino applicazione le disposizioni di cui alla legge 5 febbraio 1992, numero 104 definisce oggettivamente un insieme di soggetti che trae o può trarre vantaggi dalle disposizioni della detta legge il cui obiettivo è quello di tutelare anche indirettamente i soggetti portatori di handicap. In particolare, dopo le modifiche apportate dalla legge 53/2000, le agevolazioni per l'assistenza a portatori di handicap sono state estese ai familiari lavoratori che assistano con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente articolo 33 . Anche la normativa sul congedo straordinario per l'assistenza a persone portatrici di handicap grave è ispirata ad analoga finalità di tutela il cui ambito di operatività è risultato progressivamente ampliato in ragione di ripetuti interventi della Corte costituzionale. Cfr. recentemente C. cosa. numero 203 del 2013 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 42, comma 5, d.lgs. 26 marzo 2001, numero 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l'affine entro il terzo grado convivente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave. Quindi la ratio che accomuna le misure di indiretto sostegno dei familiari disabili orienta per una interpretazione della normativa contrattuale suddetta che realizzi a pieno questa finalità di tutela. Secondo la società ricorrente la normativa contrattuale in questione non sarebbe applicabile per la carenza dei prescritti presupposti in quanto un qualche rapporto di assistenza deve pur sussistere e deve essere verificabile oggettivamente . Ma - motivatamente e facendo corretta applicazione dei canoni legali di interpretazione negoziale - la Corte d'appello ha rilevato che tale tesi non tiene nel dovuto conto che l'allegato presupposto dell'attualità della assistenza continua è contraddetta dal fatto stesso della possibilità per il dipendente di prestare attività lavorativa ad una distanza proibitiva e dunque la portata del richiamo non può che essere quella che si raccorda alla effettiva - ma non necessariamente attuale - possibilità di assistenza al familiare disabile. Con riferimento poi al caso di specie la Corte d'appello non ha mancato di rilevare che dallo stato di famiglia risultava evidente che il M. era l'unico componente del nucleo familiare in grado di assistere il familiare disabile, la cui necessità di assistenza era documentalmente provata. 5. Il ricorso va quindi rigettato. Alla soccombenza consegue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 100,00 cento per esborsi ed in euro 3.500,00 tremilacinquecento per compensi d'avvocato ed oltre accessori di legge.