Sancita, in via definitiva, la legittimità del provvedimento adottato da Poste Italiane. Confermato l’allontanamento del portalettere, finito sotto accusa per i disservizi provocati nelle zone a lui affidate. Irrilevante il richiamo alla complessità del territorio da ‘coprire’ e alla forzatura del lavoro straordinario non retribuito.
Arretrati monstre da smaltire centinaia di chilogrammi di corrispondenza accumulati nell’arco di pochi mesi! Inevitabili gli ‘strali’ dei cittadini nei confronti del portalettere, il quale, però, deve soprattutto fare i conti con le contestazioni mossegli dall’azienda. A suo carico l’addebito è quello di non aver mostrato adeguata diligenza nello svolgere il proprio lavoro. E ciò basta per legittimare il licenziamento deciso da Poste Italiane, nonostante la complessità delle zone di recapito affidategli, e nonostante le sue proteste per l’impegno lavorativo ‘straordinario’ richiestogli e non retribuito dall’azienda Cass., sent. numero 10367/2014, Sezione Lavoro, depositata oggi . Disservizi. Lunga e annosa la battaglia legale che vede di fronte un portalettere e Poste Italiane non a caso, sul licenziamento, per «insufficiente rendimento», adottato dall’azienda, già una volta hanno dovuto pronunciarsi i giudici del Palazzaccio Ora, però, si è arrivati, finalmente, al redde rationem, ai conti finali! E per il lavoratore quei conti sono salatissimi Per i giudici di secondo grado, difatti, è corretta la scelta di Poste Italiane di optare per il provvedimento estremo, il «licenziamento». Ciò perché «le ‘zone’ affidate» al lavoratore «dettero adito a reclami e proteste dei fruitori del servizio postale». E rispetto a questo quadro vengono ritenuti irrilevanti il presunto «carattere impegnativo delle zone, in quanto estese, popolose e sede di numerose attività commerciali» e la «difficoltà di smaltimento della corrispondenza», testimoniata, secondo il lavoratore, dalla «necessità di prolungare anche di una ora e mezza o due ore al giorno la durata del tempo di consegna rispetto allo standard fino alle ore 14 » e, per giunta, «senza retribuzione» ‘straordinaria’. Fondamentale è, ad avviso dei giudici, la «valutazione» della «diligenza del lavoratore», assolutamente «non compatibile con l’accumulo spropositato di centinaia di chilogrammi di corrispondenza nel giro di alcuni mesi», e quindi da catalogare come «obiettivamente insufficiente», essendosi tradotta in «inadempimento» e avendo «determinato disservizi non addebitabili all’inesigibilità del carico di lavoro». E su quest’ultimo punto, poi, vengono evidenziate le «modalità organizzative» e l’«impegno» del lavoratore, il quale «partiva per il ‘giro’ giornaliero, lasciando sistematicamente in ufficio le ‘stampe’ e iniziava la ‘trasferta’ ben oltre le ore 9 per fare rientro da 10 a 35 minuti prima delle ore 13». Nessun dubbio, quindi, sulla condotta, non diligente, del lavoratore. Nessun dubbio, perciò, sulla «legittimità» della «sanzione del licenziamento». Rendimento. E la posizione del lavoratore non muta affatto in Cassazione, laddove, difatti, e in maniera definitiva, viene ‘cristallizzato’ il «licenziamento» adottato da Poste Italiane. Decisivo il ‘peso’ riconosciuto alle «condotte accertate», tali da essere valutate come «grave inadempimento», alla luce del fatto che le «zone» affidate al lavoratore «avevano dato adito a reclami e proteste» dei cittadini. Quadro chiarissimo, quindi, anche per i giudici del Palazzaccio, i quali ritengono indiscutibile che il «grado di diligenza» mostrato dal lavoratore sia stato assolutamente insufficiente. Allo stesso tempo, aggiungono ancora i giudici, è impensabile «far assurgere a parametro valutativo del grado di diligenza» le «opinioni soggettive» del lavoratore – negative, ovviamente – rispetto la «non esigibilità del ricorso al lavoro straordinario non retribuito». Ciò significa, valutando la «prestazione lavorativa», il «carico di giacenza accumulato», il «disservizio» registrato da ‘Poste Italiane’, che, concludono i giudici, il «licenziamento» del ‘portalettere’ per «insufficiente rendimento» è da considerare pienamente legittimo.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 marzo – 13 maggio 2014, numero 10367 Presidente Roselli – Relatore Bandini Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Perugia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda proposta dalla Poste Italiane spa avente ad oggetto la declaratoria di legittimità di due licenziamenti intimati, entrambi per insufficiente rendimento, nei confronti del dipendente G.P. Sul ricorso della parte datoriale, questa Corte di legittimità, ravvisato il denunciato vizio di motivazione, cassò con rinvio la sentenza d'appello, osservando che - con riferimento al primo licenziamento, la Corte territoriale aveva correttamente individuato il principio di diritto da applicare alla fattispecie, avendo affermato che, nel licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, rientrante nel tipo di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro non poteva limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l'oggettiva sua esigibilità, ma doveva anche provare che la causa di esso derivava da colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell'espletamento della sua normale prestazione, dovendo tenersi conto, nella valutazione delle relative risultanze probatorie - alla stregua di un bilanciamento dei principi costituzionali sanciti dagli articolo 4 e 41 della Costituzione - del grado di diligenza normalmente richiesto per la prestazione lavorativa e di quello effettivamente usato dal lavoratore, oltre che dell'incidenza della organizzazione complessiva del lavoro nell'impresa e dei fattori socio-ambientali la Corte territoriale, pur considerando provato il mancato raggiungimento del risultato atteso mancato recapito delle stampe e suo accumulo , aveva affermato che era mancata la dimostrazione che ciò fosse addebitabile ad una negligenza del lavoratore nell'espletamento del suo lavoro di portalettere e non piuttosto all'eccessivo carico di lavoro - tale affermazione si poneva però in insanabile contraddizione logica con l'affermazione, pure contenuta nella motivazione, secondo cui non risultava che il lavoratore avesse fatto tutto il possibile per consegnare tutta la corrispondenza giornaliera nell'arco del normale orario di lavoro, il che equivaleva a dire che non era risultato che il lavoratore avesse svolto le mansioni affidategli usando l'ordinaria diligenza - il contenuto dell'obbligo di diligenza si sostanziava non solo nell'esecuzione della prestazione lavorativa secondo la particolare natura di essa diligenza in senso tecnico , ma anche nell'esecuzione dei comportamenti accessori necessari in relazione all'interesse del datore di lavoro ad un'utile prestazione - l'articolo 2104 cc, nell'indicare, quale criterio di valutazione della diligenza che il prestatore è tenuto ad usare, l'adeguatezza della prestazione in relazione all'interesse del datore di lavoro e non già rispetto all'impegno o allo sforzo soggettivo del lavoratore, dimostrava il carattere oggettivo dell'obbligo di diligenza - si evinceva dunque l'intrinseca contraddittorietà della motivazione concernente un aspetto decisivo della controversia, e cioè il profilo della sussistenza o meno della violazione dell'obbligo di diligenza, non potendosi dubitare del fatto che, nel caso di specie, l'esecuzione della prestazione lavorativa secondo la particolare natura di essa implicava l'impegno a smaltire tutta la posta durante il normale orario di lavoro e che la mancanza di tale impegno doveva essere considerato comportamento negligente - a causa della suddetta contraddittorietà in ordine alla sussistenza della prova della negligenza, la Corte di merito aveva ritenuto non rilevanti le sanzioni disciplinari in precedenza comminate al lavoratore per comportamenti analoghi - la rilevata contraddittorietà incideva non soltanto sulle conclusioni relative al primo dei licenziamenti in esame, ma anche su quelle relative al secondo relativamente a quest'ultimo, infatti, la Corte territoriale si era limitata ad affermare che la lettera di contestazione - la quale, dopo aver richiamato il precedente licenziamento, aveva contestato al lavoratore di aver perseverato nel medesimo comportamento, che a sua volta aveva determinato i medesimi disservizi ed aveva indicato il nuovo periodo di tempo nel quale era stato omesso il recapito del cosiddetto corriere giornaliero - era priva di contestazione su fatti e/o comportamenti idonei a dimostrare che il mancato recapito era dipeso da negligenza del lavoratore. Riassunto il giudizio la Corte d'Appello di Ancona, designata quale Giudice del rinvio, con sentenza del 23.12.2011-9.1.2012, rigettò l'appello proposto avverso la pronuncia di prime cure. Il Giudice del rinvio, a sostegno del decisum, osservò quanto segue - non giovava alla tesi dell'appellante la considerazione che i colleghi di lavoro avessero riferito del carattere impegnativo delle zone affidate allo G., in quanto estese, popolose e sede di numerose attività commerciali, della difficoltà di smaltimento della corrispondenza e della necessità di prolungare anche di una e mezza o due ore al giorno la durata del tempo di consegna rispetto allo standard fino alle ore 14,00 , senza retribuzione come da impegno contrattualmente assunto, poiché, tali rilievi, in una alla considerazione che nell'intervallo di tempo in cui lo G. venne addetto al servizio telegrammi e sostituito da un lavoratore a tempo determinato non si registrarono accumuli e che solo le zone affidate allo G. dettero significativo adito a reclami e proteste dei fruitori del servizio postale, non escludevano affatto ed anzi confermavano l'esigibilità del risultato atteso dal datore di lavoro - tale valutazione doveva essere compiuta con specifico riferimento alla diligenza del lavoratore, che non era compatibile con l'accumulo spropositato di centinaia di chilogrammi di corrispondenza nel giro di alcuni mesi - che la diligenza prestata fosse stata obbiettivamente insufficiente e si fosse tradotta in inadempimento, avendo comunque determinato disservizi non addebitabili all'inesigibilità del carico di lavoro, era confermato dalla considerazione, puntualmente compiuta dal primo Giudice, delle modalità organizzative e dell'impegno dello G., il quale partiva per il giro giornaliero lasciando sistematicamente in ufficio le stampe e, come risulta documentato per i giorni successivi alla riammissione successiva al primo licenziamento, iniziava la trasferta ben oltre le ore 9,00 per fare rientro dalla trasferta da dieci a trentacinque minuti prima delle ore 13,00 - era dunque evidente che lo G. non aveva adibito un livello normale di diligenza, non riuscendo così a raggiungere un livello di prestazione assolutamente normale - né poteva trascurarsi il protrarsi di questo sostanziale inadempimento, l'inutilità delle sanzioni e dei provvedimenti organizzativi tentati dai responsabili spostamento di zona, sostituzione con altro addetto per lo smaltimento dell'arretrato e, soprattutto, l'assenza di qualsiasi iniziativa volta, a seguito di specifici richiami, a tentare di rimediare al disservizio creato - non poteva quindi dubitarsi della legittimità e proporzionalità della sanzione del licenziamento - d'altra parte, non potevano assumere rilievo considerazioni meramente soggettive e, soprattutto, le intenzioni dì protesta avverso un sistema retributivo considerato ingiusto che avrebbero animato lo G. - doveva ritenersi preclusa ogni ulteriore considerazione in merito ai pretesi vizi formali delle sanzioni conservative irrogate dal datore di lavoro, implicitamente esclusi dal Giudice d'appello, che ne aveva considerato la non conducenza nel merito, con statuizione a cui il lavoratore aveva prestato sostanziale acquiescenza - peraltro, anche a ritenere intrinsecamente viziati tali provvedimenti, le condotte accertate rappresentavano di per sé sufficiente giustificazione della congruenza e legittimità della misura del licenziamento irrogato, sostanziando comunque il grave inadempimento contestato - la legittimità del primo licenziamento privava di oggetto il secondo provvedimento. Avverso l'anzidetta sentenza resa dal Giudice del rinvio, G.P. ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e illustrato con memoria. La Poste Italiane spa ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto che non potevano essere considerate le intenzioni di protesta, che avrebbero animato esso ricorrente, avverso un sistema retributivo considerato ingiusto, avendo cessato, ad un certo punto, di prestare lavoro straordinario gratuito. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli articolo 112 e 115 cpc, nonché vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale abbia tenuto conto di circostanze durata della trasferta quantità della giacenza accumulata contestate con il secondo licenziamento, la cui disamina era stata tuttavia ritenuta assorbita. Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'articolo 112 cpc, si duole che la Corte territoriale non abbia esaminato la rilevanza dei precedenti disciplinari. Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'articolo 115 cpc, si duole che la Corte territoriale gli abbia addebitato un comportamento dovuto da tutti i portalettere, trascurando la disamina del complesso delle risultanze istruttorie, sul quale soltanto poteva fondarsi il giudizio sul suo grado di diligenza e che aveva dimostrato che il disservizio era in sé nel carico abnorme della zona e che l'unica iniziativa di esso ricorrente era quella di assoggettarsi, come gli altri portalettere, al carico di lavoro straordinario non retribuito. 2. I motivi, tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. 2.1 La Corte territoriale, con motivazione coerente ed immune da vizi logici, ha esaminato il complesso delle emergenze processuali acquisite, rilevando, con specifico riferimento alle difficoltà insite nel carattere impegnativo delle zone affidate allo G., come, nell'intervallo di tempo in cui lo stesso era stato addetto al servizio telegrammi e sostituito da un lavoratore a tempo determinato, non si erano registrati accumuli e che solo le zone affidate allo G. avevano dato adito a reclami e proteste dei fruitori del servizio postale al contempo è stato rilevato come la prestazione del servizio straordinario senza retribuzione fosse conforme all'impegno contrattualmente assunto. Ne discende che inammissibilmente il ricorrente richiede in questa sede di legittimità un riesame delle emergenze probatorie, peraltro in sé prive di decisività, già effettuato dal Giudice di merito e infondatamente pretende di far assurgere a parametro valutativo del suo grado di diligenza le proprie soggettive opinioni circa la non esigibilità del ricorso al lavoro straordinario non retribuito. 2.2 Deve poi rilevarsi, con particolare riferimento al secondo motivo, che il riscontro delle modalità di effettuazione della prestazione lavorativa da parte dello G. e del carico di giacenza accumulato, basandosi su emergenze probatorie significative ai fini della valutazione della sua diligenza nell'espletamento della prestazione e da effettuarsi con riferimento alla condotta del lavoratore protrattasi nel tempo e agli esiti, in termini di disservizio, che aveva generato, ben poteva essere considerato dalla Corte territoriale, ancorché tali circostanze fossero state specificamente indicate nell'intimazione del secondo licenziamento, atteso che già con il primo era stato contestato l'accumulo di svariate quantità di corrispondenza e stampe e il mancato smaltimento delle stesse nonostante i ripetuti inviti in tal senso. 2.3 Risulta infine inammissibile la doglianza relativa alla mancata considerazione dei precedenti disciplinari, la cui eventuale illegittimità non potrebbe comunque riverberare a vantaggio del ricorrente, posto che, come specificato dalla Corte territoriale, le condotte accertate sostanziavano comunque il grave inadempimento contestato. 3. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 4.100,00 quattromilacento , di cui euro 4.000,00 quattromila per compenso, oltre accessori come per legge.