Limiti operativi per le guardie zoofile delle associazioni

Le guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute partecipano alla vigilanza sul rispetto della stessa legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali con riguardo agli animali di affezione.

Tuttavia, è proprio la precisazione contenuta nella legge «con riguardo agli animali di affezione» che esclude la partecipazione degli stessi soggetti all'esercizio della funzione di vigilanza per la prevenzione e repressione delle infrazioni previste dai regolamenti generali e locali relativi alla protezione degli animali ed alla difesa del patrimonio zootecnico, in senso lato, quindi, contrariamente a quanto preteso dalle associazioni nei limiti delle leggi nazionali e regionali in materia nel ricorso avverso i decreti della Prefettura di Torino. Guardie zoofile non ammessi ad attività di autonoma di vigilanza. E’ vero, ha affermato la Sezione, che l’articolo 5 d.P.R. numero 6/1979, ammette le guardie zoofile alla partecipazione a programmi di amministrazioni, non li ammette ad attività autonoma di vigilanza. Gli appellanti, peraltro, avevano sostenuto che il provvedimento prefettizia impugnato contrasta con l’articolo 41, comma 4, della legge regionale del Piemonte numero 22/2009, il quale, nel modificare l’articolo 15 della legge regionale numero 34/1993, al comma 4 ha disposto che «la vigilanza sull'osservanza della presente legge e delle altre leggi in materia di tutela ed identificazione degli animali, con l'accertamento delle violazioni relative è affidata - omissis - e alle guardie zoofile ed alle guardie ecologiche che, nell'ambito dei programmi di controllo disposti dall'autorità nazionale o dagli enti locali, esercitano le funzioni previste dall'articolo 6 della legge 189/2004». Ma, a tale proposito, precisa la sentenza, la norma conferma soltanto la possibilità che le guardie zoofile collaborino con le amministrazioni, ma non le ammette affatto a svolgere attività generalizzata di tutela a favore di specie diverse da quelle inquadrabili come animali d’affezione. In sostanza, l’articolo 6, comma 2, legge numero 189/2004, va interpretato nel sopraindicato senso e non rileva il fatto che alcune amministrazioni abbiano, sbagliando, eventualmente seguito interpretazioni differenti.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 13 ottobre – 9 novembre 2016, numero 4653 Presidente Maruotti – Estensore Atzeni Fatto e diritto 1. Con ricorso al Tribunale Amministrativo del Piemonte, rubricato al numero 317/2010, L.A.C. – Lega per l’Abolizione della Caccia, Gordanelli Bruno, Piana Roberto, Gagliardi Marco, Balzano Guerino, Pistone Davide, Bosco Arcangelo, Giorda Eleonora e Baldi Mirco impugnavano i decreti della Prefettura di Torino del 26 novembre 2009 prot. 11118/G e dell’8 giugno 2011 prot. 1579/G, 11186/G, 11316/G, 15616/G, 15808/G, 17443/G, 19649/G, nella parte in cui limitano la competenza delle guardie volontarie zoofile alla vigilanza rivolta ai soli animali d’affezione deducevano profili diversi di violazione di legge e eccesso di potere, chiedendo l’annullamento dei provvedimenti impugnati, nonché l’accertamento del diritto a essere nominati guardie volontarie zoofile, per il biennio 2009/2011 e per il biennio 2011/2013, con l’attribuzione della funzione di vigilanza per la prevenzione e repressione delle infrazioni previste dai regolamenti generali e locali relativi alla protezione degli animali ed alla difesa del patrimonio zootecnico, nei limiti delle leggi nazionali e regionali in materia. Con la sentenza in epigrafe, numero 1315 in data 14 agosto 2015, il Tribunale Amministrativo del Piemonte, Seconda Sezione, dichiarava improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso, peraltro affermando sinteticamente, in motivazione, la sua infondatezza. 2. Avverso la predetta sentenza Lac - Lega per l'Abolizione della Caccia - Sezione Piemonte in persona del legale rappresentante p.t., Bruno Gordanelli, Roberto Piana, Arcangelo Bosco e Mirco Baldi propongono il ricorso in appello in epigrafe, rubricato al numero 2479/2016, contestando la sentenza di primo e affermando la permanenza dell’interesse alla decisione ripropongono inoltre le censure già dedotte in primo grado, chiedendo la riforma della sentenza e l’ammissione in rito e l’accoglimento nel merito del ricorso. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno e l’U.T.G. - Prefettura di Torino, chiedendo il rigetto dell’appello. L’appellante ha depositato memoria. La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 13 ottobre 2016. 3.1. Deve essere rilevato che la copia dell’appello originariamente depositata in giudizio è incompleta. Peraltro, gli appellanti hanno successivamente depositato copia integrale e comunque l’appello è, sebbene con difficoltà, intellegibile con l’aiuto del ricorso di primo grado. L’appello deve quindi essere ammesso in rito. 3.2. Le argomentazioni degli appellanti devono essere condivise nella parte in cui contestano la declaratoria dell’improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse, pronunciata dal primo giudice. E’ vero che, come sottolineato dal primo giudice, il provvedimento impugnato ha esaurito i suoi effetti. Peraltro, permane l’interesse dei ricorrenti al suo annullamento, in modo che i nuovi atti di esercizio del medesimo potere siano vincolati dal giudicato. Deve poi essere osservato che - qualora il caso renda evidente la possibilità di successivi esercizi del potere, assoggettati a termine temporale di efficacia - imporre all’opponente di proporre successive impugnazioni, da definire prima del venir meno dell’efficacia di ciascun atto, costituirebbe onere di impossibile adempimento. Deve quindi essere affermato che qualora, come nel caso di specie, l’atto impugnato abbia nelle more del processo perso effetto, ma l’Amministrazione possa, o meglio debba, provvedere nuovamente, la perdita di efficacia del suddetto atto non comporti la cessazione dell’interesse del ricorrente alla pronuncia del giudice amministrativo. La sentenza di primo grado deve quindi essere riformata sul punto. Peraltro, tale pronuncia non rientra fra quelle che ai sensi dell’articolo 105 del codice del processo amministrativo impongono la rimessione degli atti al primo giudice, per cui il Collegio deve decidere la controversia nel merito. 3.3. Gli appellanti deducono la loro pretesa, proponendo una azione di accertamento e una azione di impugnazione. La proposizione in termini di accertamento del diritto della pretesa sostanziale - a far svolgere alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute attività di vigilanza sul rispetto delle norme relative alla protezione di tutti gli animali, non solo quelli di affezione - è inammissibile, in quanto lo svolgimento dell’attività di guardia giurata è assoggettato al potere autorizzatorio dell’Amministrazione. 3.4. L’impugnazione è infondata. Gli appellanti, ricorrenti in primo grado, sono un’associazione ambientalista e suoi associati e impugnano “in parte qua” i decreti con i quali il Prefetto di Torino, nel rinnovare le nomine di questi ultimi a guardia volontaria zoofila, ne ha limitato l’applicazione alla vigilanza sui soli animali d’affezione. I ricorrenti contestano la lettura seguita dall’Amministrazione nell’interpretare l’articolo 6, secondo comma, della legge 20 luglio 2004, numero 189, ai sensi del quale “la vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute”. Essi sostengono che l’interpretazione limitatrice della loro possibilità di azione contrasta con l’articolo 5 del d.P.R. 31 marzo 1979, numero 6, ai sensi del quale, “fermi rimanendo la qualifica di guardie giurate, le guardie zoofile aventi la qualifica di agenti di pubblica sicurezza perdono tale ultima qualifica e potranno essere utilizzate a titolo volontario e gratuito dai comuni singoli o associati e comunità montane per la prevenzione e repressione delle infrazioni dei regolamenti generali e locali, relativi alla protezione degli animali ed alla difesa del patrimonio zootecnico”. Gli appellanti rilevano inoltre che la norma ha avuto differenti applicazioni presso altri Uffici territoriali del Governo del Piemonte. Quest’ultima osservazione è sicuramente irrilevante. Nella specie si discute dell’applicazione necessaria di norme di legge, non dell’esercizio di facoltà discrezionali, che può essere diverso nelle singole realtà locali. Di conseguenza, oggetto del presente giudizio è la corretta interpretazione dell’articolo 6, secondo comma, della legge 20 luglio 2004, numero 189, individuata la quale non rileva il fatto che alcune amministrazioni abbiano, sbagliando, eventualmente seguito interpretazioni differenti. Osserva il Collegio che la norma è, in realtà, univoca, nell’affermare che le guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute partecipano alla vigilanza sul rispetto della stessa legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali con riguardo agli animali di affezione, e la precisazione “con riguardo agli animali di affezione” esclude la partecipazione degli stessi soggetti alle suddette attività. Diversamente opinando, infatti, l’inciso non avrebbe alcun senso. Negli stessi termini si sono espressi questo Consiglio di Stato, Sezione III, con la sentenza 23 giugno 2016, numero 3329, nonché la Cassazione Penale, Sezione Prima, 10 luglio 2008, numero 34510. E’ vero che l’articolo 5 del d.P.R. 31 marzo 1979, numero 6, ammette le guardie zoofile alla partecipazione a programmi di amministrazioni, ma l’osservazione conferma quanto fino a ora esposto, atteso che ammette i soggetti in questione a partecipare a programmi gestiti da enti pubblici, ma non li ammette ad attività autonoma di vigilanza. Gli appellanti sostengono infine che il provvedimento impugnato contrasta con l’articolo 41, quarto comma, della legge regionale del Piemonte 6 agosto 2009, numero 22, il quale, nel modificare l’articolo 15 della legge regionale 26 luglio 1993, numero 34, al quarto comma ha disposto che “la vigilanza sull'osservanza della presente legge e delle altre leggi in materia di tutela ed identificazione degli animali, con l'accertamento delle violazioni relative è affidata - omissis - e alle guardie zoofile ed alle guardie ecologiche che, nell'ambito dei programmi di controllo disposti dall'autorità nazionale o dagli enti locali, esercitano le funzioni previste dall'articolo 6 della legge 189/2004.” La norma, infatti, conferma quanto si è fino a ora argomentato circa la possibilità che le guardie zoofile collaborino con le amministrazioni, ma non le ammette affatto a svolgere attività generalizzata di tutela a favore di specie diverse da quelle inquadrabili come animali d’affezione. 4. In conclusione, l’impugnazione proposta si appalesa infondata, e deve essere respinta. Le spese del giudizio devono essere integralmente compensate, in ragione della parziale novità delle questioni trattate. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza definitivamente pronunciando sull'appello numero 2479/2016, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza gravata respinge il ricorso di primo grado. Compensa integralmente le spese e gli onorari del giudizio fra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.