La configurazione della colpa generica in capo al datore di lavoro non esclude una eventuale colpa specifica del lavoratore

Pur in assenza di una adeguata opera di prevenzione dei rischi ed informazione sugli stessi addebitabile al datore di lavoro, l’operaio è comunque tenuto a verificare la sicurezza nell’impiego di materiali, attrezzature e sostanze pericolose, utilizzando gli stessi in maniera corretta e prudente, astenendosi dal porre in essere attività potenzialmente dannose per la propria ed altrui incolumità.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 45918 del 15 novembre 2013. Il caso. Il Tribunale di Taranto affermava la penale responsabilità di P.C. – nella sua qualità di amministratore unico della società S. – e L.M. – quale dipendente della medesima – per il reato di cui all’art. 589 c.p., per avere colposamente cagionato il decesso di E.B., operaio della stessa società. In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, i due imputati, in violazione degli obblighi di prudenza, diligenza e perizia, nonché in violazione degli specifici obblighi di legge afferenti la sicurezza dei lavoratori avrebbero, con la loro condotta, causalmente provocato la morte dell’operaio E.B. . Dalle indagini era, infatti, emerso come L.M. aveva causato un’esplosione all’interno del capannone industriale, avendo appoggiato una torcia elettrica accesa collegata alla saldatrice su di un fusto metallico contenente liquido infiammabile donde, a causa di tale esplosione, il coperchio del predetto fusto era stato espulso violentemente, ed aveva colpito alla testa E.B. – che stava regolarmente espletando le proprie mansioni presso la sua postazione di lavoro – causandone l’immediato decesso. La Corte di Appello, pur operando una parziale riforma della statuizione di prime cure relativamente al solo trattamento sanzionatorio, confermava interamente la decisione del Tribunale per ciò che concerneva il merito della vicenda processuale. In effetti, la Corte aveva ugualmente ravvisato la sussistenza di un duplice profilo di responsabilità colposa, diversamente configurato in capo ai due appellanti P.C., quale datore di lavoro, rispondeva a titolo di colpa consistita nell’aver agito in violazione, oltre che dei generali obblighi di prudenza, diligenza e perizia, anche degli obblighi specifici e non delegabili previsti dalla normativa in materia di sicurezza dei lavoratori, precipuamente riferiti, tra l’altro, alla scelta delle attrezzature ed alla sistemazione dei luoghi di lavoro. L’operaio L.M., invece, ferma restando la colpa generica, rispondeva anche a titolo di colpa specifica, avendo violato le disposizioni di legge afferenti il corretto utilizzo dei macchinari, degli attrezzi, delle sostanze pericolose, non essendosi astenuto dal porre in essere operazioni potenzialmente lesive per la propria ed altrui incolumità. La colpa specifica del lavoratore. Avverso le decisione dei Giudici di Appello, il solo imputato L.M. ricorreva per Cassazione deducendo, in primis , l’inosservanza delle legge penale con precipuo riferimento al reato di cui all’art. 589 c.p. nonché alla normativa in materia di sicurezza dei lavoratori in secundis , lamentava vizi motivazionali. In particolare, secondo il ricorrente l’evento mortale sarebbe da ricondurre esclusivamente alla responsabilità colposa del datore di lavoro P.C., reo di non avere né allontanato il contenitore dal capannone, né vietato l’impiego, né informato i lavoratori sui rischi derivanti dalla sua utilizzazione. In effetti, sostiene la difesa, L.M. confidava nell’intervenuta bonifica del recipiente ritenendo che, diversamente, lo stesso non sarebbe stato lasciato in officina, a libera disposizione degli operai, donde non si profilerebbe alcuna responsabilità colposa per lo stesso. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha precisato come la sussistenza di una acclarata responsabilità colposa del datore di lavoro non è, sic et simpliciter , sufficiente ad escludere la contestuale presenza di una ulteriore responsabilità in capo al lavoratore. In effetti, i Supremi Giudici chiariscono come – ferma restando la responsabilità a titolo di colpa generica in capo al P.C., così come correttamente profilata nelle sentenze di merito – nella fattispecie de qua sussiste, inequivocabilmente, anche una responsabilità colposa specifica a carico del lavoratore L.M Altrimenti detto, pur in assenza di una adeguata opera di prevenzione dei rischi ed informazione sugli stessi addebitabile al datore di lavoro, l’operaio dipendente è comunque tenuto a verificare la sicurezza nell’impiego di materiali, attrezzature e sostanze pericolose, utilizzando gli stessi in maniera corretta e prudente, astenendosi dal porre in essere attività potenzialmente dannose per la propria ed altrui incolumità. Pertanto, l’imputato – fermo restando l’utilizzo improprio del fusto quale piano di appoggio – stante la pericolosità della sostanza presente nel contenitore, così come evidenziata dalla relativa etichetta, avrebbe dovuto prevedere il rischio derivante dalla propria condotta, ed avrebbe dovuto evitare di avvicinare fonti di calore allo stesso, trattandosi di circostanza di comune esperienza sicuramente nota agli addetti alle lavorazioni metalmeccaniche.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 15 marzo - 15 novembre 2013, n. 45918 Presidente D’Isa – Relatore Savino Ritenuto in fatto Con sentenza del Tribunale di Taranto, emessa in data 24.3.2010, i Sig.ri P C. e Leonardo M. venivano dichiarati colpevoli del reato di cui all'art. 589 c.p., il primo in qualità di amministratore unico della Siderlame S.r.l., quindi datore di lavoro con poteri decisionali e di spesa ex art. 626/94, ed il secondo in qualità di dipendente della predetta impresa metalmeccanica, per aver cagionato la morte del dipendente E B. . Si addebitava loro una condotta colpevole contraria agli obblighi di prudenza, diligenza e perizia, nonché adottata in violazione degli obblighi specifici e non delegabili previsti dall'art. 1, comma 4ter, d.lgs. 626/94 di valutare utilmente, nella scelta delle attrezzature di lavoro e nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza dei lavoratori e, conseguentemente, di elaborare un efficace documento contenente l'indicazione dei criteri adottati per la individuazione delle misure di prevenzione a tutela dei lavoratori e l'informazione ai fini della sicurezza art. 4, commi 1-2 letta e 11 d.lgs. 626/94 . La colpa conseguiva inoltra dalla violazione degli obblighi ex art. 249 d.p.r. 547/55 e 5 d.lgs. 626/94 di collocare in appositi posti separati i recipienti adibiti al trasporto di liquidi o materie infiammabili con l'indicazione di pieno o vuoto , di non usare i recipienti che abbiano già contenuto liquidi infiammabili o materie corrosive o tossiche per usi diversi da quelli originari cui erano stati adibiti, senza aver eliminato ogni traccia del loro contenuto, di informare adeguatamente i lavoratori dei rischi specifici cui erano esposti in occasione dell'attività svolta e, limitatamente all'imputato M. , di usare correttamente i macchinari, gli utensili, i preparati e le sostanze pericolose, non compiendo di propria iniziativa operazioni che possono compromettere la sicurezza propria e degli altri lavoratori. La sentenza di primo grado, impugnata da entrambi gli imputati, veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Lecce che, con sentenza emessa in data 17.4.2012, riduceva la pena inflitta ad anni uno di reclusione per C. ed a mesi otto di reclusione per M. , concedendo a quest'ultimo il beneficio della non menzione e revocando altresì le statuizioni civili per effetto della revoca delle costituzioni delle parti civili. Come risulta dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, il giorno OMISSIS si era verificata un'esplosione all'interno del capannone dell'impresa metalmeccanica Siderlame S.r.l., che aveva interessato un recipiente metallico adibito al trasporto di liquido infiammabile butile acetato utilizzato, privo del contenuto, come piano di appoggio e posto in adiacenza del banco di lavoro. In conseguenza di detta esplosione, il coperchio metallico del recipiente era stato espulso violentemente ed era andato a colpire alla testa l'operaio E B. , che si trovava, intento nelle sue lavorazioni, nelle vicinanze della postazione di lavoro e proprio lungo la traiettoria del coperchi del fusto che era stato eiettato con notevole intensità a causa dell'esplosione. A seguito del violento urto il B. riportava un gravissimo trauma cranico con fuoriuscita di materia cerebrale che ne cagionava l'immediato decesso. Sulla base della ricostruzione delle cause dell'esplosione effettuata dagli ispettori del lavoro accorsi sul cantiere e, dopo, nel corso delle indagini, fu possibile appurare che il fusto metallico era stato prelevato dall'interno del capannone, ove si trovava, dall'operaio L M. che lo aveva avvicinato alla postazione di lavoro per utilizzarlo come piano di appoggio. Il M. aveva poi poggiato sul coperchio la torcia accesa della saldatrice sino ad allora adoperata e, mentre era andato a prendere la valigetta delle attrezzature per avvicinarla alla postazione di lavoro, aveva sentito il forte boato provocato dall'esplosione. A pochi metri dal banco di lavoro, immediatamente dietro al punto in cui era stato rinvenuto il corpo del B. , era stato ritrovato il coperchio metallico ripiegato, recante un foro circolare annerito ed altre tracce evidenti di bruciatura, a conferma che il M. aveva appoggiato sul coperchio del fusto la torcia della saldatrice accesa. La combustione e la foratura del recipiente, provocata da tale fonte di calore, aveva prodotto l'innesco nell'accensione dei vapori altamente infiammabili di cui il fusto era saturo, visto che era stato utilizzato per il trasporto di butile acetato, ed aveva cagionato una violenta esplosione in conseguenza della quale il coperchio che lo chiudeva ermeticamente era stato sbalzato lontano andando malauguratamente a colpire alla testa il B. . La Corte di Appello, recependo in foto le argomentazioni dei primi giudici, aveva ritenuto che la responsabilità dell'incidente dovesse essere addebitata sia al C. che al M. in quanto, benché la causa diretta ed immediata dell'esplosione da cui era derivata la morte del B. dovesse ricercarsi nell'imprudente comportamento del compagno di lavoro, consistito nell'appoggiare la torcia elettrica della saldatrice accesa sul coperchio del fusto metallico ancora intriso di materiale altamente infiammabile, l'antecedente causale di detta condotta era da rinvenirsi nella violazione da parte del C. , quale datore di lavoro, di specifichi obblighi riguardanti la sicurezza del luogo di lavoro. Più in dettaglio, i giudici di merito registravano l'inosservanza della specifica regolamentazione che prescrive di collocare in luoghi separati i recipienti adibiti al trasporto di liquidi o materiali infiammabili e che vieta di usare detti recipienti, una volta svuotati del materiale trasportato, per usi diversi da quelli cui sono destinati senza aver eliminato ogni traccia del loro contenuto, nonché l'inosservanza dell'obbligo di informazione dei lavoratori circa i rischi cui sono esposti nello svolgimento delle attività lavorative e, nello specifico, nell'uso dei fusti in questione. Quanto all'imputato M. , i giudici di merito ritenevano accertata una diretta relazione causale tra l'evento morte e l'incauta condotta dello stesso, consistita nell'utilizzare il fusto metallico come piano di appoggio per la torcia elettrica accesa collegata alla saldatrice, che, pur essendo vuoto, poteva contenere vapori e residui altamente infiammabili della sostanza indicata nel coperchio. Sussisteva dunque a carico del M. un profilo di colpa generica in quanto lo stesso doveva prefigurarsi, trattandosi di circostanza di comune esperienza e nota ad operai addetti a lavorazioni metalmeccaniche, il pericolo derivante dall'uso di attrezzature a fiamma o ad arco voltaico a distanza ravvicinata con sostanze altamente infiammabili, nonché un profilo di colpa specifica poiché la sua condotta era stata posta in essere in violazione della prescrizione di cui all'art. 5 d.lgs. 626/94, secondo il quale ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni ed utilizzare correttamente i macchinari, le attrezzature e le sostanze pericolose. Avverso la sentenza della Corte di Appello proponeva, tramite il difensore, ricorso per Cassazione il solo M. , deducendo i seguenti motivi. 1 Inosservanza della legge penale con riferimento agli artt. 589 e 41 c.p., 249 d.p.r. 547/1955, 4, 5, 11.e 21 d.lgs. 626/94. 2 Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Assume la difesa del ricorrente che il fusto in questione si trovava in officina e non nel luogo adibito allo stoccaggio dei vuoti il recipiente, non essendo stato allontanato, bensì lasciato sul luogo di lavoro, era posto a disposizione degli operai che potevano essere pertanto indotti ad utilizzarlo quale base di appoggio. La presenza del fusto costituiva quindi una fonte di pericolo alla quale il datore di lavoro non aveva ovviato, né provvedendo ad allontanare il contenitore dal capannone, né vietandone l'impiego sia pure per scopi diversi da quelli per i quali era destinato, né svolgendo adeguata informazione dei rischi cui i suoi dipendenti erano esposti utilizzandolo. Sostiene ancora la difesa che, qualche giorno prima dell'incidente, lo stesso C. aveva dato disposizione ad alcuni operai di asportare i coperchi dei fusti in questione in modo da ricavarne dei contenitori per i morsetti dei ponteggi da usare sui cantieri esterni. Nessun addebito, a parere della difesa, poteva dunque essere mosso all'operaio M. in quanto egli confidava sull'intervenuta bonifica del recipiente, ritenendo che, diversamente, non sarebbe stato lasciato nell'officina a disposizione degli operai. In presenza di quel protocollo operativo che prevedeva lo stoccaggio dei recipienti in luogo separato dall'officina ed il successivo adattamento degli stessi come contenitori di materiale edile, previa, l'eliminazione di ogni residuo della sostanza prima in essi contenuta, il M. , trovando il recipiente sul luogo di lavoro, non poteva sapere che lo stesso non era stato oggetto di bonifica che lo avrebbe potuto rendere utilizzabile per altri usi. La difesa del ricorrente rileva altresì la illogicità della sentenza impugnata in quanto, pur mostrando di tenere ben presenti le inadempienze del datore di lavoro, ritiene ugualmente che sussista un profilo di colpa anche a carico del lavoratore, mentre la di lui condotta, che ha portato incolpevolmente all'esplosione, è anch'essa il derivato delle omissioni dell'imprenditore. Ritenuto in diritto Ritiene la Corte che il ricorso sia infondato e pertanto debba essere rigettato. Il difensore del ricorrente confonde infatti i profili di colpa del datore di lavoro con quelli addebitati al lavoratore al quale si contesta, quale colpa generica, di non aver considerato i rischi connessi all'appoggio di una torcia elettrica accesa sul coperchio del recipiente contenente residui di sostanza infiammabile, pur essendo dato di comune esperienza o quantomeno conoscibile da parte di personale addetto alle lavorazioni metalmeccaniche. I giudici di merito hanno inoltre, del tutto correttamente, ravvisato in capo al M. anche un profilo di colpa specifica derivante dalla inosservanza della prescrizione di cui all'art. 5 d.lgs. 626/94 secondo la quale ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, utilizzando in maniera corretta i macchinari, le attrezzature e le sostanze pericolose. Con motivazione adeguata ed immune da vizi logico-giuridici i giudici di merito hanno pertanto ritenuto l'evento morte conseguenza delle concorrenti condotte colpose di entrambi gli imputati. Sussiste infatti una responsabilità del M. del tutto indipendente e non sovrapponibile a quella del datore di lavoro, fondata sul rilievo che il dipendente, indipendentemente dalla mancata informazione dei rischi connessi all'uso improprio del recipiente, doveva verificare la sicurezza nell'impiego di materiali ed attrezzature. A tal riguardo, occorre evidenziare che, come certificato dalle fotografie scattate sul luogo della tragedia dagli ispettori intervenuti, sul coperchio del fusto rinvenuto vicino alla vittima si trovava ancora applicata una etichetta ben visibile recante l'indicazione del prodotto chimico Butile Acetato. Il M. , pertanto, attesa la pericolosità della sostanza segnalata dall'etichetta, avrebbe dovuto prevedere la pericolosità della sua condotta in quanto, sebbene il fusto fosse ormai vuoto, doveva presumersi la presenza di residui del liquido altamente infiammabile. Il M. avrebbe dovuto in primo luogo astenersi dall'utilizzare impropriamente il fusto metallico rinvenuto nell'officina - per la contemporanea condotta colposa del C. - come piano di appoggio, del resto è lo stesso imputato a dichiarare nel corso del suo esame di essere stato lui quel giorno a prendere il fusto metallico per utilizzarlo per tale scopo, precisando di non aver avuto mai istruzioni sull'uso di tale fusto. In secondo luogo, vista la dicitura leggibile sull'etichetta del coperchio del recipiente, avrebbe dovuto assicurarsi della intervenuta bonifica del fusto e, nel dubbio, senz'altro evitare di avvicinare allo stesso fonti di calore. Si noti, inoltre, che il M. , da quanto ricostruito nella fase di merito, rientrava proprio in tale data dalle ferie e, quindi, avrebbe dovuto informarsi con ancora più diligenza delle operazioni, quali quella di svuotamento e ripulitura del fusto, eventualmente compiute durante la sua assenza. La motivazione del provvedimento impugnato, in definitiva, è logicamente ineccepibile e ben articolata in ogni suo passaggio. Tutto ciò premesso, la Corte. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.