Condannata l’azienda a provvedere al versamento delle somme previste nell’originario accordo istitutivo della indennità. Irrilevante l’impegno a rivedere, in sede di contrattazione collettiva, l’indennità. Nessuna possibilità, checché ne dica la società, di sostenere la tesi della soppressione.
Dipendente di ‘Poste Italiane’, inquadrato come “autista” ma operativo anche sul fronte di “ritiro e consegna”. Riconosciuto al lavoratore, di conseguenza, il diritto alla “indennità di agente unico”. Cassazione, ordinanza numero 8458, sezione Sesta Civile - Lavoro, depositata il 28 aprile 2016 . Mansioni. Punto di svolta, favorevole al lavoratore, in appello lì i giudici condannano «la società al pagamento delle differenze retributive maturate dall’anno 2002 a titolo di indennità di ‘agente unico’», introdotta «con accordo sindacale» del settembre 1996, finalizzata a «compensare le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali, svolte unitamente a quelle di autista» ma «non più pagata dopo la fine del 1997». Per i giudici, quindi, ‘Poste’ dovrà versare «3,87 euro» al giorno «per i turni di effettivo servizio svolto». Respinta la tesi difensiva aziendale, centrata sulla presunta «soppressione dell’indennità». Indennità. E le ulteriori contestazioni mosse dai legali di ‘Poste’ vengono respinte in modo definitivo in Cassazione. Per i Magistrati del ‘Palazzaccio, difatti, «l’indennità» richiesta dal lavoratore «ha causa retributiva» ed è «oggetto di un obbligo contrattuale, sicché, in assenza di concorde volontà delle parti, non può essere ridotta e tanto meno abolita, neppure ove, in ipotesi, siano mutate le condizioni economiche aziendali, non avendo la datrice di lavoro neppure invocato una eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta». Allo stesso tempo, «la scadenza del termine di un accordo o contratto collettivo gli toglie efficacia» ma «non sottrae il datore di lavoro dall’obbligo di retribuzione». E, infine, «il carattere meramente eventuale», prospettato dalla società, cioè l’inquadramento della «indennità» come «non corrispettivo di un’attività lavorativa effettivamente prestata», non è plausibile, poiché esso, sottolineano i Giudici, «trasformerebbe l’indennità da oggetto di un’obbligazione in elargizione graziosa». Senza dimenticare, peraltro, che «il principio di non riducibilità della retribuzione è esteso alla voce compensativa di particolari e gravose modalità di svolgimento del lavoro». Di conseguenza, «l’impegno, assunto con accordo collettivo, di rivedere entro un certo termine l’importo dell’indennità» fa sì che «alla scadenza» e senza «ulteriore accordo», comunque, «l’indennità debba essere conservata, eventualmente nel suo ammontare attuale» qualora, come in questo caso, «il datore di lavoro abbia disdetto l’accordo istitutivo».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 10 marzo – 28 aprile 2016, numero 8458 Presidente Curzio – Relatore Marotta Fatto e diritto 1 - Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto «Con sentenza numero 6016/2012 depositata il 29/11 /2012, la Corte di appello di Napoli, in accoglimento del gravame proposto da D.C., dipendente di Poste Italiane S.p.A. con la qualifica di autista, accoglieva la domanda di quest'ultimo e condannava la società al pagamento, in favore dell'appellante, delle differenze retributive maturate dall'anno 2.002 a titolo di indennità di agente unico introdotta con accordo sindacale del 12/9/96, intesa a compensare le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unitamente a quelle di autista e non più pagata dopo la fine del 1997 pur permanendone i presupposti nella misura di euro 3,87 giornaliere per i turni di effettivo servizio svolti alla data della sentenza, oltre accessori. Disattendeva la Corte territoriale la tesi della datrice di lavoro, secondo cui l'impegno di rivedere in sede di contrattazione collettiva la materia in questione dopo il 31 / 12/97 avrebbe significato la soppressione dell'indennità in caso di mancata revisione e confermava, invece, l'esattezza della prospettazione del lavoratore, secondo cui la prevista revisione avrebbe riguardato esclusivamente l'ammontare dell'indennità. Per la cassazione di tale sentenza ricorre Poste Italiane S.p. 1. con due morivi con i quali deduce violazione dell'ars. 2099 cod. civ., dell'articolo 36 della Cost. e vizio di motivazione circa la natura dell'indennità in discorso, erroneamente definita dalla Corte di appello come retributiva, ma in realtà soltanto incentivante, nonché violazione dell'articolo 1362 c.c. e ss., con riferimento alle fonti negoziali susseguitesi dal 1996 in poi, sempre sostenendo che l'indennità di agente unico non remunera il lavoro prestato, ma ha carattere incentivante e comunque accessorio e non necessario, in quanto giustificata da determinati presupposti economici di gestione aziendale e derivante da un accordo collettivo disdetto ed ancora violazione dell'articolo 2074 cod. civ., assumendo che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che alla scadenza del patto sull'indennità di agente unico le parti avrebbero manifestato per facta concludentia una concorde cd univoca volontà di prorogarne l'applicazione. Il lavoratore resiste con controricorso. Il ricorso è manifestamente infondato, atteso che nutrita e costante giurisprudenza di questa S.C. cfr. ex multis Cass. 30 settembre 2014, numero 20651 Cass. 22 maggio 2014, numero 11330 Cass. 13 marzo 2014, numero 5838 Cass. 22 febbraio 2013, numero 4561 id. 13 dicembre 2012, numero 4561 22 giugno 2011, numero 17830 19 maggio 2010, ti. 17724 15 marzo 2010, numero 6274 14 marzo 2008, numero 20310 , da cui non vi è ragione di discostarsi, ha già statuito che l'indennità in questione remunera le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unitamente a quelle di autista, sicché ha causa retributiva, non esclusa dal motivo incentivante essa è oggetto di un obbligo contrattuale sicché, in assenza di concorde volontà delle parti, non può essere ridotta e tanto meno abolita neppure ove - in ipotesi - siano mutate le condizioni economiche aziendali, non avendo la datrice di lavoro neppure invocato un'eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta. Ancora questa S.C. ha già osservato che la scadenza del termine di un accordo o contratto collettivo gli toglie efficacia, ma non sottrae il datore di lavoro dall'obbligo di retribuzione ex articolo 2099 cod. civ., il cui ammontare ben può essere determinato dal giudice di merito ex articolo 36 Cost., comma 1, con riferimento all'importo già previsto dal contratto individuale, recettivo di quello collettivo Cass. SU. 30 maggio 2005, numero 11325 . II carattere meramente eventuale, prospettato dalla società ricorrente, ossia non corrispettivo di un'attività lavorativa effettivamente prestata, non è plausibile poiché esso trasformerebbe l'indennità in questione da oggetto di un'obbligazione in elargizione graziosa inoltre, il noto principio di non riducibilità della retribuzione ricavato dall'articolo 2103 cod. civ., e articolo 36 Cost. è esteso alla voce compensativa di particolari e gravose modalità di svolgimento del lavoro anche a tale riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata cfr., per tutte, Cass. 11 maggio 2000, numero 6046 per l'effetto, l'impegno, assunto con accordo collettivo, di rivedere entro un certo termine l'importo dell'indennità in questione fa sì che, alla scadenza di questo non seguita da ulteriore accordo modificativo od abolitivo , l'indennità medesima debba essere conservata, eventualmente nel suo ammontare attuale, ex articolo 36 Cost, qualora il datore di lavoro abbia come avvenuto nel caso di specie disdetto l'accordo istitutivo. L'impugnata sentenza ha, dunque, correttamente respinta le tesi della società e con motivazione immune da vizi logico - giuridici. 2 - Per tutto quanto sopra consideralo, si propone il rigetto del ricorso con ordinanza, ai sensi dell'articolo 375, numero 5, cod. proc. civ. ». - Non sono state depositate memorie ex articolo 380 bis cod. proc. civ 3 - Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell'ars. 375, numero 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo. 4 - Conseguentemente il ricorso va rigettato. 5 - La regolamentazione delle spese segue la soccombenza. 6 - li ricorso è stato notificato in data successiva a quella 31/1/2013 di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 del 2012 , che ha integrato l'articolo 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore. Quando l'impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma articolo 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso . Essendo il ricorso in questione integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in curo 100,00 per esborsi ed curo 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15% da corrispondersi agli avvocati L.O e F.F., anticipatari. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1 quater, del d.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 10 marzo 2016