Il principio di equivalenza del risarcimento al danno effettivamente ricevuto implica che la liquidazione del danno non patrimoniale, come non debba comportare una perdita, non possa comportare neanche un profitto.
Così la Terza Sezione della Cassazione Civile, nell'ordinanza numero 15213/18 del 12 giugno 2018. Il caso. Per la seconda volta giunge in Cassazione la vicenda relativa alla richiesta di risarcimento del danno da diminuzione della capacità lavorativa specifica e di danno morale avanzata da un soggetto che aveva riportato a seguito di un incidente stradale postumi invalidanti nella misura complessiva dell'11% di cui il 5% quale aggravamento del quadro psico-patologico causato da un disturbo depressivo preesistente . Tale domanda era stata rigettata una prima volta dalla Corte d'Appello, poi, dopo che la Cassazione nel 2012 aveva accolto il gravame con la motivazione che fin dal primo grado era stato chiesto il risarcimento di “tutti i danni subiti”, e quindi anche del danno non patrimoniale, nuovamente dalla Corte d'Appello quale giudice del rinvio. Quest'ultima aveva rigettato sia la domanda relativa all'invalidità lavorativa specifica, affermando che, su tale aspetto, fosse sorto il giudicato interno dopo la pronuncia di rigetto della Cassazione, che quella relativa al danno morale, ritenendo che non fossero stati allegati, da parte del danneggiato, elementi di valutazione idonei a consentire la personalizzazione del pregiudizio subito, se non quelli «coincidenti con la sfera del rigettato danno da perdita della capacitò lavorativa specifica sul quale si è già formato il giudicato». La vicenda è stata dunque portata nuovamente all'attenzione della Corte di Cassazione. Spetta al danneggiato allegare e provare i fatti costitutivi del danno non patrimoniale richiesto. Questa volta è stata posta definitivamente la parola “fine” alla vicenda. Secondo la ricostruzione operata dalla Terza Sezione, la Corte d'Appello ha rigettato la domanda di danno morale sulla base dei seguenti presupposti 1 è oramai principio giurisprudenziale pacifico quello per cui il danneggiato ha l'onere di allegare che il fatto lesivo abbia profondamente alterato il complesso dei rapporti personali 2 nel caso di specie, invece, soltanto in memoria conclusionale il danneggiato aveva allegato al chiusura della propria attività artigianale come conseguenza del fatto lesivo 3 tale allegazione coincideva con la tesi relativa alla perdita di capacità lavorativa specifica già rigettata in precedenza con conferma anche da parte della prima sentenza di Cassazione 4 la lesione riportata è stata modesta 5 l'accertamento della non riconducibilità della cessazione dell'attività artigianale all'evento era passato in giudicato, e quindi non più materia di discussione. Ciò premesso, è stata ritenuta corretta dalla Suprema Corte l'applicazione fatta dalla Corte di rinvio dei principi in tema di personalizzazione del danno, come enunciati a partire dalle quadrigemellari Sentenze delle Sezioni Unite del 2008 sentenza nnumero 26972/2008 e seguenti . In particolare, è stata ricordata l'importanza del principio di equivalenza riassunto nel brocado “tout le dommage, rien que le dommage”, consacrato dalla Corte di Cassazione francese sin dal 1955 e ripreso dall'Unione Europea come criterio di riferimento per ogni Stato membro. Proprio seguendo questo filone le Sezioni Unite hanno messo in rilievo il carattere presuntivamente unitario del danno non patrimoniale, in cui devono essere convogliate tutte le varie voci di danno elaborate nel corso degli anni da dottrina e giurisprudenza. Peraltro tali voci, se fondate su circostanze di fatto non risibili, possono rectius devono venire in considerazione in sede di personalizzazione del risarcimento. La Terza Sezione ha dunque validato la sentenza della Corte di rinvio, che ha indicato «in maniera esaustiva le plurime ragioni per cui la pretesa non debba essere accolta, soprattutto a causa della mancata tempestiva produzione di idonee allegazioni in ordine alla sofferenza di un danno ulteriore a quello biologico e psichico già accertato, peraltro di lieve entità».
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 17 aprile – 12 giugno 2018, numero 15213 Presidente Spirito – Relatore Fiecconi Rilevato in fatto 1. Con sentenza numero 1592/2009, depositata in data 29/9/2009, la Corte d’Appello di Venezia, adita in seguito all’impugnazione proposta dal sig. M.A. in ordine all’entità del risarcimento dei danni dallo stesso riportati in un incidente stradale, dovuto ad esclusiva responsabilità del sig. M.C. , assicurato con la Cattolica Assicurazione, confermava la sentenza di rigetto della domanda di danno da diminuzione della capacità lavorativa specifica e di danno morale, quest’ultimo non oggetto di specifica richiesta. Avverso la decisione M.A. proponeva ricorso per Cassazione e, all’esito, la Suprema Corte, con sentenza numero 7259/2012, cassava la sentenza impugnata, disponendo il rinvio ad altra sezione della medesima Corte territoriale. In particolare, la Suprema Corte accoglieva i primi due motivi di ricorso e rilevava, in contrasto con quanto affermato dalla Corte d’Appello, che l’attore aveva richiesto fin dal primo grado il risarcimento di tutti i danni subiti, e quindi anche del danno non patrimoniale rigettava, invece, il terzo motivo di gravame, concernente il mancato riconoscimento del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica. M.A. provvedeva alla riassunzione del giudizio e la società Cattolica di Assicurazione Coop. s.p.a. si costituiva. Con sentenza numero 1531/2015, pubblicata in data 12/6/2015, la Corte d’Appello di Venezia rigettava la domanda di danno morale proposta e condannava M.A. alle spese di lite, rilevando che il motivo attinente al rigetto della domanda di riconoscimento di invalidità lavorativa specifica fosse stato respinto dalla Corte di legittimità, e dunque passato in giudicato. In particolare, la Corte affermava che la portata vincolante del rinvio operato dalla Corte di Cassazione è limitata all’enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione della nella norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase del procedimento logico compresa nell’ambito del libero riesame affidato alla nuova autorità giurisdizionale . Pertanto, la Corte d’Appello, esaminando la pretesa alla luce della giurisprudenza di legittimità Cass. 20111/014 4447/014, 531/014 , la rigettava rilevando che non erano stati allegati elementi di valutazione idonei a consentire una personalizzazione del pregiudizio subito, se non quelli praticamente coincidenti con la sfera del rigettato danno da perdita della capacità lavorativa specifica sul quale si è già formato il giudicato . 2. Avverso la sentenza numero 1531/2015 della Corte d’Appello di Venezia, con atto notificato in data 9/6/2016, M.A. proponeva ricorso per Cassazione deducendo tre motivi di ricorso. Con atto in data 19/7/2016, la società Cattolica di Assicurazione Coop. s.r.l. resisteva con controricorso. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’articolo 360, 1 comma, numero 3, cod. proc. civ. il ricorrente deduce la violazione degli articolo 2043 e 2059 cod. civ., del principio di integralità del risarcimento statuito da Cass. Civ. 12 giugno 2015 numero 11211, alla luce della rivisitazione dogmatica del danno non patrimoniale da parte delle Sezioni Unite con le sentenze 11 novembre 2008 numero 26972 - 26975 e del principio di diritto enunciato al caso concreto con la sentenza della cassazione, sezione III, numero 7259/2012, per aver il Giudice di rinvio, in spregio dei principi cui doveva attenersi, omesso di liquidare alcunché a titolo di risarcimento del danno morale, pur essendo ricavabile già in via presuntiva l’incidenza del danno biologico sulla personalità morale del danneggiato”. Con il secondo motivo ai sensi dell’articolo 360, I comma, numero 4, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli articolo 132 numero 4 e 384, II comma, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale fornito una motivazione del tutto apodittica, contraddittoria ed insufficiente in punto di liquidazione del danno morale, con ciò eludendo il principio di diritto affermato nel caso concreto dalla Suprema Corte e, prima ancora, il principio cardine del processo civile secondo cui il provvedimento decisorio deve essere motivato motivazione da intendersi in senso logico e non in senso meramente grafico . Il ricorrente deduce come tale anomala motivazione sia denunciabile in sede di legittimità in quanto attinente all’esistenza ed alla coerenza della stessa, e non alla sua mera sufficienza. Con il terzo motivo, ai sensi dell’articolo 360, I comma, numero 4, il ricorrente deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’articolo 112 cod. proc. civ., per avere il giudice del rinvio pronunciato ultra petita partium, dal momento che la parte appellata in riassunzione aveva chiesto di limitare il riconoscimento e la liquidazione al solo danno morale, da quantificare nell’importo minimo, e non di rigettare in toto la domanda. 2. Il caso di specie attiene a una lesione alla persona subita in concomitanza di un incidente stradale che ha lasciato alla vittima postumi invalidanti permanenti, accertati dal CTU nella misura complessiva dell’11%. Tale danno si compone della invalidità permanente derivata dal trauma distorsivo cervicale che avrebbe comportato l’aggravamento di un danno all’integrità psicofisica già conseguente a un precedente incidente, e dell’aggravamento nella misura del 5% del quadro psico-patologico causato da un disturbo depressivo preesistente. Nel ricorso la vittima assume che, sulla base degli accertamenti fatti, il giudice avrebbe dovuto comunque conformarsi alla pronuncia di legittimità e liquidare il danno morale come componente, unitamente al danno biologico, del danno non patrimoniale. Impugna quindi la sentenza sotto il profilo della violazione di legge, del vizio della motivazione e del vizio di non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex articolo 112 cod. proc. civ. nella considerazione che nemmeno la compagnia si sia opposta a una liquidazione seppur minima del danno morale. 3. I motivi vanno trattati congiuntamente poiché la supposta erroneità della sentenza resa dalla Corte d’Appello, sotto i diversi profili di violazione di norme di diritto e processuali sopra riportati, deriverebbe dal fatto che il Giudice del rinvio ha preteso che la parte allegasse un quid pluris rispetto a quanto già in atti, mentre avrebbe dovuto limitarsi a giudicare sulla base delle emergenze processuali in atti, vista la natura di giudizio chiuso del procedimento di rinvio, utilizzando la propria discrezionalità nel liquidare la componente morale del danno non riconosciuta dal precedente Giudice di merito, ma non certamente per negarla sic et simpliciter. 4. Osserva la Corte che il giudice del rinvio ha rigettato la domanda di danno morale sostenendo che 1 sulla base della giurisprudenza ormai consolidasi sul punto, occorre che la vittima alleghi che il fatto lesivo abbia profondamente alterato il complesso dei rapporti personali 2 nella specie la vittima nulla ha allegato se non, solo in memoria conclusionale, la chiusura della sua attività artigianale come conseguente all’incidente 3 in questi termini l’allegazione si limita a coincidere con la tesi relativa alla perdita di capacità specifica che è stata già precedentemente rigettata con conferma sul punto da parte della Corte di cassazione 4 la lesione dedotta è in sé modesta 5 è passato in giudicato l’accertamento circa la non riconducibilità della cessazione dell’attività artigianale all’incidente in questione in quanto poteva essere una scelta indipendente della parte lesa . 5. I principi espressi e applicati dalla Corte di merito nel rigettare la pretesa in quanto rimasta priva di riscontro probatorio sono in linea con quanto indicato dalla Corte di legittimità in tema di personalizzazione del danno alla persona, nel senso che il danno morale v. da ultimo, Cass. Sez. 3 -, Sentenza numero 24075 del 13/10/2017 , al di fuori dell’ambito applicativo delle lesioni cd. micro permanenti di cui all’articolo 139 del d.lgs. 7 settembre 2005, numero 209, costituisce una voce di pregiudizio non patrimoniale, ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, da tenere concettualmente distinta dal danno biologico e dal danno nei suoi aspetti dinamico-relazionali tale pregiudizio è pertanto risarcibile autonomamente, ove provato, senza che ciò comporti alcuna duplicazione risarcitoria tuttavia, il giudice di merito non può limitarsi a liquidare la componente di sofferenza soggettiva mediante l’applicazione automatica di una quota proporzionale del valore del danno biologico, né procedere alla riduzione, anche questa automatica, dell’importo corrispondente a quella del danno biologico commisurato alla durata della vita effettiva del danneggiato, ma deve preliminarmente verificare se e come tale specifica componente sia stata allegata e provata dal soggetto che ha azionato la pretesa risarcitoria, provvedendo successivamente - in caso di esito positivo della verifica - ad adeguare la misura della reintegrazione del danno non patrimoniale, indicando il criterio di personalizzazione adottato, che dovrà risultare in coerenza logica con gli elementi circostanziali ritenuti rilevanti a esprimere l’intensità e la durata della sofferenza psichica v. anche Cass. numero 27302/2014 . 6. Il principio di cui sopra rappresenta l’evoluzione naturale di quanto enunciato dalle Sezioni Unite della cassazione con le note sentenze di San Martino nnumero 26972-26975 dell’11.11.2008, secondo cui il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica , come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello cd. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale . La Suprema Corte non ha inteso certamente escludere dalla stima del risarcimento tale componente del danno - ove allegata e dimostrata in relazione alle specifiche circostanze addotte dal danneggiato -, ma ha invece ribadito il fondamentale principio di piena e integrale equivalenza tra entità del pregiudizio e liquidazione dell’importo risarcitorio, per cui il danneggiato deve percepire tutto quanto sia necessario a reintegrarlo nella situazione quo ante, ma nulla di più di quanto abbia effettivamente perduto. Tale enunciato è cristallizzato nel noto principio di equivalenza tout le dommage, rien que le dommage espresso dalla Corte di cassazione francese sin dal 1955, in Cass. civ. 2e, 28 octobre 1954, J.C.P. 1955, II, 8765, e ripreso dall’ordinamento dell’Unione Europea come criterio di riferimento per ogni Stato membro. Fa parte, infatti, di un orientamento costante acquis della Corte di Giustizia dell’Unione Europea l’assunto che il diritto comunitario non osta a che i giudici nazionali vigilino affinché la tutela dei diritti garantiti dall’ordinamento giuridico comunitario, per quanto debba essere piena ed effettiva, non comporti un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto v., in particolare, sentenze nelle cause riunite da C-295/04 a C-298/04, Vincenzo Manfredi e altri contro Lloyd Adriatico Assicurazioni SpA e altri, punto 94 4 ottobre 1979, causa 238/78, Ireks-Arkady/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 2955, punto 14 21 settembre 2000, cause riunite C-441/98 e C-442/98, Michailidis, Racc. pag. 1-7145, punto 31 causa C-453/99, Courage e Crehan, Racc. pag. I6297, punto 30 . 7. Alla stessa stregua, allo scopo di scongiurare il rischio di effetti duplicatori nella liquidazione del danno, determinati dal cumulo di poste dipendenti esclusivamente da una mera proliferazione delle tipologie di lesioni tutte complessivamente riconducibili all’agire quotidiano della persona, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, da un lato, hanno messo in rilievo il carattere presuntivamente unitario del danno non patrimoniale, quale categoria giuridica distinta da quella del danno patrimoniale, venendo normalmente a convergere in esso tutte le diverse voci elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, etc. che non richiedono uno specifico e autonomo statuto risarcitorio inteso come metodologia dei criteri liquidatori per equivalente dall’altro, ha puntualizzato che dette voci - se fondate su circostanze di fatto apprezzabili - possono venire tuttavia in considerazione in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, laddove il danneggiato abbia allegato e dimostrato aspetti peculiari della fattispecie che impongano nella attività di stima di derogare all’applicazione di criteri di liquidazione standard apprestati dalle Tabelle comunemente in uso negli Uffici giudiziari cfr. anche Cass. 24075/2017 Cass. 7259/12 Cass. Sez. 3, Sentenza numero 24864 del 09/12/2010 , venendo a richiedere una personalizzazione del risarcimento. Tale è infatti la indicazione che si ritrae dalla motivazione delle sentenze delle SS.UU. citate, laddove si afferma che determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini, sovente liquidato in percentuale da un terzo alla metà del primo . Esclusa quindi la praticabilità di tale automatica duplicazione, il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle di liquidazione del danno biologico, dovrà procedere a un’ adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde non sia possibile pervenire al ristoro del danno nella sua interezza applicando i comuni criteri di liquidazione . Alla luce del principio di equivalenza sancito dalle Sezioni Unite della cassazione, la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale non implica necessariamente l’esclusione della valutazione - che rimane quindi intrinsecamente dovuta, e risponde alla esigenza di adeguare il ristoro alle peculiari caratteristiche della situazione e della persona del danneggiato - di quella componente del pregiudizio non patrimoniale consistente nel particolare turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti nel caso concreto cfr., in tal senso, Corte Cass. Sez. L, Sentenza numero 687 del 15/01/2014 . 8. Sicché, risulta altrettanto congruente con tutto quanto sopra evidenziato l’ultima affermazione della Corte di cassazione secondo cui la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale come quella prevista per il danno patrimoniale deve essere intesa nel senso di attribuire al soggetto danneggiato una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore cui potrebbe assimilarsi, in una ipotetica simmetria legislativa, il danno emergente, in guisa di vulnus interno al patrimonio del creditore , quanto sotto il profilo dell’alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione, considerata in ogni sua forma ed in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche danno idealmente omogeneo al cd. lucro cessante, quale proiezione esterna del patrimonio del soggetto ne deriva che, non diversamente da quanto avviene in caso di lesione della salute con riferimento al cd. danno biologico, ogni altro vulnus arrecato a un valore od interesse costituzionalmente tutelato deve essere valutato e accertato, all’esito di compiuta istruttoria ed in assenza di qualsiasi automatismo, sotto il duplice aspetto, della sofferenza morale e della privazione, diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal soggetto danneggiato v. Cass. Sez. 3 -, Sentenza numero 901 del 17 gennaio 2018 . 9. Alla luce di quanto sopra osservato appare evidente come il ricorrente, pur avendo richiamato corretti principi di diritto, non si sia con altrettanta scrupolosità confrontato con la motivazione resa dalla Corte d’appello con argomenti fattuali che, lungi dall’apparire giuridicamente errati, logicamente carenti o non rispondenti alla pretesa fatta valere e alle indicazioni date dalla Corte in sede di rinvio, indicano in maniera esaustiva le plurime ragioni per cui la pretesa non debba essere accolta, soprattutto a causa della mancata tempestiva produzione di idonee allegazioni in ordine alla sofferenza di un danno morale ulteriore a quello biologico e psichico già accertato, peraltro di lieve entità. Difatti il principio di equivalenza del risarcimento al danno effettivamente ricevuto implica che la liquidazione del danno non patrimoniale, come non debba comportare una perdita, non possa comportare neanche un profitto. 10. Per tale ragione il ricorso è infondato. Le spese seguono la soccombenza del ricorrente. P.Q.M. I. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in 2.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge II. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.