È punibile il praticante avvocato che patrocina una causa con un valore superiore ai limiti consentiti. Ciò avviene anche se si tratta di un evento unico, effettuato senza scopi di lucro, in quanto si tratta di un reato contro la P.A., che difende l’esigenza di garanzia, nell’interesse della collettività, di un controllo generale e preventivo dei requisiti per l’esercizio di specifiche professioni.
Lo statuisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 11493, depositata il 10 marzo 2014. Il caso. La Corte d’appello di Caltanissetta confermava la sentenza di condanna nei confronti di un’imputata, accusata del reato di abusivo esercizio della professione legale ex articolo 348 c.p La donna, iscritta nel registro dei praticanti avvocati, aveva patrocinato, davanti al giudice di pace, una causa civile del valore di 50.000 euro, eccedente i limiti del patrocinio legale consentitole. In più, riassumeva la causa davanti al Tribunale, continuando a svolgere il patrocinio, anche dopo la notifica della sanzione disciplinare dell’avvertimento, inflittale dal locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, proprio per aver espletato un patrocinio legale non permesso dalla sua qualità di praticante abilitato. La donna ricorreva in Cassazione, affermando che la sua condotta non aveva integrato la fattispecie criminosa contestatale, la quale presuppone un’attività continuativa e organizzata della professione. Doveva, quindi, considerarsi l’unicità della sua condotta. Inoltre, in relazione a questa unica pratica, agiva nell’interesse della madre e, quindi, senza trarne alcun beneficio economico. Unicità della condotta. Analizzando la richiesta, la Corte sottolineava che il reato in questione non richiede attività continuative o organizzate della professione esercitata dal soggetto agente. Quando questo esercizio investa atti tipici della professione, il reato ha natura istantanea, perfezionandosi, di conseguenza, anche con il compimento di un solo atto abusivo, che realizza definitivamente il verificarsi dell’evento lesivo. Questo evento è, perciò, unico, così come la condotta che lo realizza, anche se si sviluppa in più atti professionali abusivi. Da ciò derivava l’irrilevanza dell’unicità della pratica giudiziaria, indebitamente trattata dalla ricorrente. L’interesse protetto. Per quanto riguarda, invece, la rilevanza economica o i risvolti patrimoniali dell’attività abusiva, questi sono elementi estranei alla struttura della fattispecie criminosa. Il reato disciplinato dall’articolo 348 c.p. è, infatti, un reato contro la P.A., il cui evento è costituito dall’elusione di una previa abilitazione speciale, rilasciata una tantum da appositi organi pubblici o da enti pubblici professionali, per il durevole esercizio di attività professionali riservate a soggetti muniti di specifica qualificazione. Mancato fine economico. Di conseguenza, l’eventuale scopo di lucro non connota la lesione del bene protetto dalla norma, cioè il bene immateriale della P.A., rappresentato dall’esigenza di garanzia, nell’interesse della collettività, di un controllo generale e preventivo dei requisiti per l’esercizio di specifiche professioni. Nel caso di specie, quindi, l’assenza di finalità di profitto, i moventi di natura privata o anche il previo assenso del destinatario dell’attività professionale non potevano produrre, in alcun modo, degli effetti esimenti sull’inequivoca apprezzabilità penale della condotta esercitata dall’imputata. Per questi motivi, la Cassazione rigettava il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 ottobre 2013 – 10 marzo 2014, numero 11493 Presidente Di Virginio – Relatore Paoloni Motivi della decisione 1. Decidendo sul gravame dell'imputata, la Corte di Appello di Caltanissetta con la sentenza indicata in epigrafe ha confermato in punto di responsabilità la decisione del Tribunale di Gela, che all'esito di giudizio ordinario ha dichiarato T.N. colpevole del reato di abusivo esercizio della professione legale e l'ha condannata in concorso di generiche circostanze attenuanti alla pena di un mese di reclusione sostituita dalla corrispondente pena pecuniaria di Euro 1.140,00 di multa. La Corte ha unicamente riconosciuto all'imputata i doppi benefici di cui agli articolo 163 e 175 c.p Condotta criminosa che la Corte nissena, condividendo le conclusioni del giudice di primo grado, ha considerato univocamente dimostrata sul piano oggettivo e soggettivo consapevolezza e volontarietà dell'abusiva opera legale svolta dalle evenienze documentali acquisite in atti. Condotta specificamente integrata dall'avere la T. , quale iscritta nel registro dei praticanti avvocati di Gela, patrocinato davanti al Giudice di Pace di Gela una causa civile azione risarcitoria per inadempimento contrattuale promossa dalla madre del valore di Euro 50.000, eccedente i limiti del patrocinio legale consentitole, altresì riassumendo dichiaratosi incompetente per valore il G.d.P. la causa innanzi al Tribunale, ivi continuando a svolgere come già prima innanzi al G.d.P. il patrocinio udienze 15.5.2008 e 15.1.2009 pur dopo la notifica in data 21.4.2008 della sanzione disciplinare dell'avvertimento inflittale dal locale Consiglio dell'Ordine degli avvocati per aver espletato patrocinio legale non permesso dalla sua qualità di praticante abilitato. 2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia della T. , deducendo i seguenti tre vizi di legittimità. 2.1. Violazione dell'articolo 420 ter c.p.p. e nullità della sentenza. Su istanza del difensore, impedito per concomitante impegno professionale, la Corte di Appello ha differito l'udienza del 19.1.2012 al 26.1.2012, differimento determinato anche da coevo legittimo impedimento per malattia dell'imputata. Della data dell'udienza di rinvio nessun avviso è stato notificato al difensore e all'imputata. Evenienza che, unitamente all'incongrua brevità del termine di differimento una sola settimana , ha vulnerato il diritto di difesa della T. , che non ha avuto modo di rappresentare le ragioni volte a chiarire più aspetti della vicenda processuale. 2.2. Violazione dell'articolo 175 c.p.p. e nullità dell'ordinanza in data 16.2.2012 con cui la Corte di Appello ha respinto l'istanza del difensore dell'imputata di essere restituito nel termine per esercitare il mandato difensivo in grado di appello. Termine non potuto rispettare per forza maggiore indotta dallo stato di malattia in cui versava lo stesso difensore il 26.1.2012, quando la Corte di Appello ha definito il giudizio di merito. 2.3. Erronea applicazione dell'articolo 348 c.p. e illogicità della motivazione. La condotta attuata dalla T. non integra la fattispecie criminosa contestatale, che presuppone un'attività continuativa e organizzata della professione. Se è vero che l'imputata non aveva ancora conseguito il titolo abilitativo di avvocato e non era quindi iscritta nell'apposito albo professionale, deve tuttavia considerarsi l'unicità della sua condotta. La T. , in vero, ha svolto patrocinio cui non era autorizzata come praticante avvocato in relazione ad una sola pratica , nella quale ha agito nell'interesse di una persona della sua famiglia la madre e, quindi, senza trarre da detto patrocinio alcun vantaggio o beneficio di carattere economico . 3. Il ricorso deve essere rigettato perché sorretto da motivi infondati. 3.1. I rilievi in rito articolati con i connessi primi due motivi di ricorso non hanno pregio alla luce della verifica degli atti processuali, consentita a questo giudice di legittimità in ragione della natura di errores in procedendo dei due dedotti vizi del giudizio di appello. Questo, come precisa la stessa sentenza impugnata, si è sviluppato per più udienze scandite da differimenti ad udienza fissa determinati da varie cause. Nella prima udienza del 28.6.2011 è stata dichiarata la contumacia dell'imputata regolarmente citata e non comparsa contumacia revocata con la successiva comparizione della T. all'udienza di rinvio del 24.11.2011 libera presente , in cui era disposto ulteriore rinvio all'udienza del 19.1.2012 per il termine concesso, su sua richiesta, al difensore di ufficio per preparare la difesa. Intervenuta nomina del difensore di fiducia dell'imputata, l'udienza del 19.1.2012 è stata differita per congiunti documentati impedimenti legittimi del difensore preesistente impegno professionale e della T. malattia guaribile in tre giorni . All'udienza di differimento del 26.1.2012, non comparsi l'imputata e il suo difensore di fiducia, è avvenuta nominato alla T. un difensore di ufficio ex articolo 97 c.p.p. tra i legali presenti in udienza in persona, per altro, dello stesso legale cui il 24.11.2011 era stato concesso termine per la difesa ha avuto luogo la discussione e la Corte di Appello ha emesso la sentenza oggetto di ricorso. Alla stregua del descritto quadro processuale né il difensore di fiducia della T. né quest'ultima avevano diritto ad alcun avviso o comunicazione della data di differimento dal 19.1.2012 al 26.1.2012. Non il difensore, che avrebbe avuto diritto all'avviso della nuova udienza solo nel caso in cui non se ne fosse già stabilita la data nell'ordinanza di differimento della Corte di Appello. Quando come nel caso di specie il rinvio sia avvenuto a c.d. udienza fissa, l'avviso è validamente recepito in forma orale dal difensore presente designato quale sostituto ai sensi dell'articolo 97 co. 4 c.p.p. S.U., 28.2.2006 numero 8285, Grassia, rv. 232906 Sez. 5, 4.6.2008 numero 36643, Sorrentino, rv. 241721 Sez. 5,11.5.2010 numero 26168, Terlizzi, rv. 247897 . Non l'imputata T. per le medesime ragioni, essendo anche costei che non ha comunicato alcun impedimento a comparire all'udienza di rinvio del 26.1.2012 , rappresentata in giudizio dal difensore di ufficio ex articolo 97 c.p.p. e dovendo, per tanto, considerarsi presente all'udienza del 19.1.2012 precedente il rinvio Sez. U, 28.2.2006, cit. Sez. 3,24.3.2010 numero 24240, Romano, rv. 247689 . Corretta e consequenziale rispetto al descritto rituale svolgimento della conclusiva udienza di appello del 26.1.2012 è, poi, l'ineccepibile motivazione con cui la Corte nissena a giudizio ormai concluso , ha respinto -con ordinanza del 16.2.2012 oggetto di odierna impugnazione la singolare istanza di restituzione in termine del difensore di fiducia, invocante la fissazione di una nuova udienza per esercitare l'attività difensiva non potuta svolgere in favore dell'imputata. In vero il legale non ha fatto pervenire alla Corte di Appello per l'udienza del 26.1.2012, della cui data per quel che si è prima chiarito doveva ritenersi pienamente edotto, alcuna certificazione medica oggetto di postuma produzione solo con l'istanza ex articolo 175 c.p.p. attestante un suo impedimento per malattia alla data del 26.1.2012. 3.2. Destituite di fondamento si mostrano anche le censure espresse in relazione alla sussistenza del reato di abusivo esercizio della professione legale ascritto alla T. . 3.2.1. Il reato punito dall'articolo 348 c.p. non richiede alcuna attività continuativa e/o organizzata della professione esercitata abusivamente dal soggetto agente, come erroneamente sostiene il ricorso. Quando l'esercizio della professione vietato all'agente investa atti tipici della professione, quali quelli posti in essere dalla T. come patrocinatore legale, il reato ha natura istantanea, perfezionandosi anche con il compimento di un solo atto abusivo che realizza definitivamente il verificarsi dell'evento lesivo. Evento che è unico, come unitaria è la condotta che lo realizza anche se sviluppata è il caso della ricorrente T. con più atti professionali abusivi. Donde la perfetta irrilevanza della unicità della pratica giudiziaria indebitamente trattata dalla prevenuta segnalata in ricorso cfr. Sez. 6, 2.7.2012 numero 30068, Pinori, rv. 253272 . L'avere la T. rassegnato nell'udienza finale della causa civile da lei patrocinata davanti al giudice di pace udienza del 29.10.2007 individuante la data del commesso reato le conclusioni in relazione ad un valore del risarcimento richiesto per la parte assistita eccedente in ampia misura i limiti di valore dell'attività legale che come praticante avvocato abilitato al patrocinio era autorizzata a svolgere, è elemento sufficiente ad integrare il contestato reato di cui all'articolo 348 c.p. Attività abusiva che ella, come spiegano i giudici di merito, ha continuato ad esercitare anche davanti al Tribunale, ivi riassumendo e patrocinando la causa dismessa per ragioni di valore dal giudice di pace, anche dopo essere stata sanzionata in sede disciplinare dal locale Consiglio dell'Ordine forense. È ovvio, per altro, che l'istantaneità e unisussistenza del reato non implica che tutti gli atti di abusivo esercizio della professione successivi al primo compiuto dall'agente divengano irrilevanti quasi sorta di post factum non punibile . L'istantaneità del reato non esclude certamente la coesistenza di una pluralità di atti professionali abusivi e istantanei che si susseguano nel tempo e divengano eventualmente unificabili sotto il vincolo della continuazione ex articolo 81 co. 2 c.p. nel caso della T. il p.m. non ha ritenuto di doversi dolere della mancata applicazione del regime di cui al citato articolo 81 cpv. c.p. . 3.2.2. Parimenti errati sono i rilievi esposti in ricorso sulla mancata percezione dalla abusiva attività legale svolta di alcun vantaggio o beneficio economico per la T. , avendo costei patrocinato una causa promossa dalla madre. Dato che varrebbe ad escludere il reato ascrittole per difetto di antigiuridicità. La rilevanza economica o i risvolti patrimoniali dell'abusiva attività professionale esercitata dall'imputato sono elementi affatto estranei alla struttura della fattispecie criminosa. Il reato di cui all'articolo 348 c.p. è un reato contro la pubblica amministrazione, il cui evento è costituito dalla elusione di una previa speciale abilitazione , rilasciata una tantum da appositi organi pubblici o da enti pubblici professionali, per il durevole esercizio di attività professionali riservate a soggetti muniti di specifica qualificazione. L'eventuale scopo di lucro che possa aver spinto l'agente alla condotta abusiva non connota la lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice, cioè il bene immateriale della P.A. rappresentato dall'esigenza di garanzia, nell'interesse della collettività, di un controllo generale e preventivo dei requisiti per l'esercizio di specifiche professioni di più o meno elevato spessore tecnico. Avuto riguardo alla indisponibilità dell'interesse protetto dall'articolo 348 c.p., la mancanza nell'azione dell'imputato di finalità di profitto o guadagno patrimoniale ovvero i moventi di natura meramente privata e perfino il previo assenso del destinatario dell'attività professionale al suo illegale id est abusivo svolgimento non possono produrre alcun effetto esimente sulla inequivoca apprezzabilità penale della condotta tecnico professionale esercitata dall'imputato con la sicura contezza di essere privo del corrispondente titolo abilitativo cfr. Sez. 6,29.11.1983 numero 2286, Rosellini, rv. 163146 Sez. 2,22.8.2000 numero 10816, Magaddino, rv. 217219 . Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.