Non si può censurare il comportamento di una persona, capace di prendere di mira, a colpi di saliva, la vetrina di un negozio, semplicemente come testimonianza di inciviltà. Legittimo anche contestare il reato penale di deturpamento di cose altrui.
Anche un comportamento che appare semplicemente come testimonianza lapalissiana dell’inciviltà di una persona può essere perseguibile penalmente. Esemplare la condanna nei confronti di un uomo che aveva preso di mira, a colpi di saliva, la vetrina di un negozio Cassazione, sentenza numero 5828, Seconda sezione Penale, depositata oggi . Modi inurbani. Secondo il Giudice di pace, invece, il comportamento tenuto dall’uomo – e acclarato anche grazie alle riprese «effettuate da una telecamera posizionata all’esterno del negozio» –è da valutare come «fastidioso» e «incivile», senza dubbio, ma, di certo, non «penalmente rilevante». Per questo l’uomo è salvo. Chiarissima l’ottica adottata ci si trova di fronte modi assolutamente inurbani, insopportabili e da censurare. Ma non è possibile, secondo il Giudice di pace, la collocazione della vicenda su un piano penale, con l’addebito, come ipotizzato dall’accusa, del reato di «deturpamento e imbrattamento di cose altrui». Peso penale. Ma questa visione viene completamente ribaltata dai giudici di Cassazione, i quali, accogliendo il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, spiegano, a chiare lettere, che «l’imbrattamento è l’effetto che nuoce alla ‘nettezza’ della cosa altrui che risulta insudiciata», e tale condotta «può prodursi indifferentemente con qualsiasi mezzo e in qualunque modo». E questo principio si attaglia perfettamente alla vicenda in esame l’uomo ha «sporcato, con sputi, la vetrina di un negozio», ripetendo l’azione a più riprese in un arco temporale di ben diciassette mesi! Consequenziale è la valutazione dei giudici «lo sputare ripetutamente sulla vetrina di un esercizio commerciale costituisce forma di imbrattamento tale da integrare, sul piano materiale, la condotta prevista» dal Codice Penale, ossia il «deturpamento di cose altrui», e, soprattutto, «la lesione dell’interesse giuridico protetto». Evidentemente, tale atto «non può essere considerato tout court penalmente irrilevante». Per questo motivo, va azzerata la pronuncia del Giudice di pace, e a quest’ultimo va nuovamente affidata la questione.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 24 ottobre 2012 – 6 febbraio 2013, numero 5828 Presidente Carmenini – Relatore De Crescienzo Motivi della decisione Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tolmezzo, ricorre per Cassazione avverso la decisione 20.12.2011 con la quale il Giudice di pace ha assolto B.S. dal reato di cui agli articolo 639, 81 cpv., c.p. perché il fatto non sussiste. L’ufficio ricorrente denuncia in particolare il vizio di erronea applicazione della legge penale articolo 606 1° comma lett. b c.p.p. , perché, diversamente da quanto ritenuto dal Giudicante, doveva ritenersi integrata la fattispecie contestata, posto che risulta provato nel concreto che l’imputato, nel corso del tempo ha “sputato” ripetutamente contro la vetrina di un esercizio commerciale, sulla pubblica via. L’assoluzione dello imputato dal reato ascritto si pone come decisione, da un lato in sé illogica e dall’altro frutto di un non corretta applicazione della norma penale sostanziale. Ritenuto in diritto Il ricorso è fondato e va accolto. Dalla motivazione della decisione impugnata si evince che dal giugno del 2009 all’ottobre del 2010 il B.S. avrebbe sporcato con sputi la vetrina del negozio dell’esercizio commerciale appartenente a B.R., circostanza quest’ultima confermata da riprese effettuate da una telecamera posizionata all’esterno del negozio e dalla deposizione del testimone V. Osserva il decidente che la condotta ascritta all’imputato non presenta i caratteri dell’offensività, mancando la lesione del bene giuridico protetto dall’articolo 639 c.p. Il giudice di pace ha quindi concluso ritenendo che il fatto ascritto all’imputato non può assurgere a fatto penalmente rilevante dovendosi ritenere che lo stesso è un comportamento al massimo fastidioso o incivile di qui l’affermazione della insussistenza del fatto. Tralasciando le considerazioni relative all’erroneità della formula assolutoria che più correttamente doveva essere quella “il fatto non costituisce reato”, attesa la provata esistenza del fatto storico si deve osservare che la interpretazione della norma da parte del giudicante è errata. L’articolo 639 c.p. che è sussidiario rispetto al delitto di cui all’articolo 635 c.p. - V. Cass. Sez. II 26.3.2010 numero 24739] punisce la condotta di chi deturpi o imbratti la cosa altrui nel senso che produce solo un’alterazione temporanea e superficiale della “res”, il cui aspetto originario, quale che sia la spesa da affrontare, è comunque facilmente reintegrabile [Cass. Sez. II, 16.6.2.005 numero 28793]. Il deturpamento costituisce un danno all’estetica in senso assoluto, cioè è un atto che incide sull’estetica della cosa sì da escludere ogni possibile questione di gusto essendone indifferenti i mezzi con i quali la azione viene commessa . L’imbrattamento è l’effetto che nuoce alla “nettezza” della cosa altrui che risulta insudiciata. Anche tale condotta può prodursi indifferentemente con qualsiasi mezzo e in qualunque modo idoneo. Su tale premessa in diritto si deve osservare che lo sputare ripetutamente su una vetrina di un esercizio commerciale costituisce forma di “imbrattamento” tale da integrare, sul piano materiale, la condotta prevista dall’articolo 639 c.p. e la lesione dell’interesse giuridico protetto e la modalità o l’intensità dell’azione o l’entità dell’imbrattamento costituiscano il paradigma di riferimento relativo alla gravità del fatto. La condotta del B., ampiamente descritta e provata come si evince dalla sentenza impugnata, integra pertanto la fattispecie contestata e l’atto non può essere considerato tout-court come azione penalmente irrilevante. Infatti la divaricazione tra conformità del fatto al modulo normativo e la lesività della condotta vale ad escludere ex articolo 49 c.p. il reato solo nel caso in cui non vi sia stata la lesione dell’interesse giuridicamente protetto, che nel caso di specie appare riscontrabile in misura che deve essere oggetto di valutazione da parte dei giudice di merito. Per le suddette ragioni, pertanto, ravvisandosi il vizio di erronea applicazione della lega e penale, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio al Giudice di Pace di Tolmezzo per un nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla l’impugnata sentenza con rinvio al Giudice di Pace di Tolmezzo per il nuovo giudizio.