Si configura il delitto di rifiuto di atti d’ufficio anche in assenza di un danno prodotto dall’indebito comportamento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Si tratta, infatti, di un reato di pericolo, per la cui realizzazione non è richiesto necessariamente il rifiuto di un atto urgente richiesto od ordinato da altri, bensì è sufficiente la reiezione di un atto dovuto senza ritardo quando le circostanze sostanziali ne richiedano il compimento.
E’ questo l’approdo decisionale cui è pervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza numero 49537, depositata il 27 novembre 2014, pronunciata in tema di rifiuto di atti d’ufficio nell’ambito sanitario. Più segnatamente, con il provvedimento in commento, i Giudici di Piazza Cavour sono stati chiamati a deliberare sulle responsabilità dell’infermiere, in relazione alle mansioni “proprie” di questa particolare figura professionale. Il caso. La vicenda in esame trae origine dal rifiuto opposto da due infermieri professionali, in servizio nel reparto psichiatria, di prestare assistenza ad una paziente con disturbi mentali - che lamentava forti emicranie e capogiri, a causa dei quali era anche caduta riportando lesioni all’arcata sopraccigliare - nonché di allertare il medico di turno per vagliarne eventuali patologie. I due infermieri venivano condannati dal Tribunale di Palmi, per il delitto di cui all’articolo 328, comma 1, c.p., alla pena di mesi quattro di reclusione, con conferma della sentenza da parte della Corte d’Appello di Reggio Calabria. Ricorrono, pertanto, alla Corte di ultima istanza i due imputati, lamentando in primis un’erronea lettura delle emergenze processuali, in quanto il Tribunale e la Corte territoriale avrebbero dovuto ritenere non attendibile la persona offesa che era sotto effetto di farmaci. Con i successivi motivi di doglianza, i ricorrenti oppongono l’inesattezza dell’inquadramento dogmatico del delitto a loro contestato, in virtù della non riferibilità dello status di incaricato di pubblico servizio agli infermieri professionali. La posizione della Corte. L’infermiere riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio. La Suprema Corte rigetta il ricorso, dichiarandolo inammissibile in relazione ai motivi con i quali è richiesta una diversa lettura della piattaforma dibattimentale, nonché infondato in riferimento alle doglianze con cui è contestata l’insussistenza del delitto di cui all’articolo 328, comma 1 c.p., quale reato proprio, per la mancanza della qualità di incaricato di pubblico servizio in capo agli infermieri. Su quest’ultimo punto si concentra la Corte di legittimità, confermando, nel provvedimento in esame, il risalente ed immodificato orientamento giurisprudenziale, secondo cui l’infermiere è investito della qualità di incaricato di pubblico servizio, giacché la natura delle prestazioni attribuite alla figura professionale in parola rientrano a pieno titolo nell’alveo dell’attività sanitaria e sono, dunque, connotate da particolare rilievo pubblicistico. L’obbligo giuridico dell’infermiere. Tanto premesso, resa pacifica la quaestio sulla qualità di incaricato di pubblico servizio, la Suprema Corte, con la decisione in commento, evidenzia che è compito precipuo dell’infermiere quello di controllare il decorso della malattia o della convalescenza del paziente ricoverato, costituendo un vero e proprio canale di mediazione con il medico di turno o di reparto. Anche in assenza dell’ eventus damni l’indebito rifiuto costituisce delitto Così come prospettato dalla dottrina maggioritaria, anche la giurisprudenza di legittimità, di cui la sentenza in esame ne rappresenta conferma, è dell’avviso che l’indebito rifiuto od omissione nei casi di cui all’articolo 328, comma 2, c.p. opposto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio vada ad integrare tanto l’elemento soggettivo quanto l’elemento materiale della fattispecie delittuosa de qua , anche in assenza di un evento dannoso concreto. La disposizione normativa contenuta nell’articolo 328 c.p., infatti, non punisce solo i casi in cui vi sia rifiuto od omissione di un atto urgente – la cui mancanza o ritardo provochi un danno effettivo – bensì sanziona anche le condotte di tal guisa relative ad atti dovuti per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, che necessitano di essere compiuti senza ritardo. Conclusioni. E’ evidente, quindi, che il delitto di rifiuto di atti d’ufficio rientri nell’alveo dei reati di pericolo. Si tratta, infatti, di una fattispecie criminosa che per ritenersi integrata non necessita della sussistenza di un danno materiale nei confronti né della Pubblica Amministrazione né dei privati. Pertanto, si deve concludere che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio debbano attivarsi non solo nei casi in cui ricevano richieste od ordini, ma anche, e soprattutto, nelle circostanze in cui si prospetti un’urgenza “sostanziale” che renda indifferibile e necessario il compimento dell’atto d’ufficio, senza sottovalutare alcuna possibile evoluzione delle situazioni che sono chiamati a gestire in ragione delle proprie qualità.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 – 27 novembre 2014, numero 49537 Presidente Garribba – Relatore Lanza Ritenuto in fatto 1. L.P. e F.C. , infermieri professionali, ricorrono, a mezzo dei loro difensori, avverso la sentenza 12 dicembre 2012 della Corte di appello di Reggio Calabria che ha confermato la sentenza 21 settembre 2010 del Tribunale di Palmi di condanna per il delitto di indebito rifiuto di atto d'ufficio. 2. Con sentenza del 21.9.2010 il Tribunale di Palmi in esito al giudizio ordinario, ha dichiarato L.P. e F.C. responsabili del reato p. e p. dall'articolo 110, 328 co 1 c.p. perché, in concorso tra loro, nella loro qualità di infermieri professionali, in servizio presso il reparto di psichiatria dell'ospedale civile di omissis , indebitamente rifiutavano di eseguire il seguente atto del loro ufficio, omettendo di prestare assistenza sanitaria a M.M.C. , ovvero di chiamare il medico di guardia affinché valutasse le patologie sofferte dalla predetta, sia in relazione alla forte e progressiva emicrania di cui soffriva e di cui si era esplicitamente lamentata, sia in relazione alla caduta, causata da un capogiro, in esito alla quale subiva una contusione dell'arcata sopraccigliare comportamenti che, per ragione di sanità, dovevano essere compiuti senza ritardo in omissis il omissis e li condannava previa concessione delle generiche alla pena di 4 mesi di reclusione ciascuno. Pena sospesa e non menzione. Condannava altresì gli imputati al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile. 3. Avverso tale decisione proponeva appello la difesa dell'imputato F. che ne chiedeva l'assoluzione perché il fatto non sussiste, sostenendo che il Giudice di prime cure aveva errato nel fondare la propria decisione sulla presunta attendibilità della p.o. che era stata ricoverata, presso l'Ospedale di omissis , per avere ingerito una dose consistente di farmaci, sicché sarebbe stata opportuna una approfondita indagine sullo status della denunciante sulla sua credibilità del resto, la versione dei fatti resa dalla stessa appare inattendibile già sul piano logico, atteso che la donna, se veramente fosse stata bisognosa di aiuto, avrebbe potuto chiedere aiuto anche per mezzo del cellulare che aveva a sua disposizione chiamando le forze dell'ordine o i suoi familiari del resto sottolinea la difesa come il personale infermieristico non possa somministrare di propria iniziativa farmaci e che ragionevolmente la patologia mentale di cui la donna era affetta poteva far propendere per una ordinaria crisi isterica la quale normalmente può manifestarsi sotto forma di isteria o crisi di vomito. Contesta infine la difesa la riferibilità dello status di incaricato di un pubblico servizio agli infermieri professionali poiché essi svolgono, sotto le direttive del medico mansioni d'ordine e non altro. 4. Avverso tale decisione proponeva appello anche la difesa dell'imputato L. che ne chiedeva l'assoluzione, proponendo le argomentazioni sulla credibilità della p.o. di cui si è detto a proposito del F. , e sottolineando che la paziente in questione era una ricoverata diversa dalle altre essendo stata ricoverata per una sconsiderata ingestione di farmaci e per problemi di salute mentale, e tenuto altresì conto che nessun medico aveva prescritto alcunché per la stessa, né era mai stata compilata una cartella. 5. Per la Corte di appello, che ha ribadito il giudizio di responsabilità, F. e L. si sono rifiutati indebitamente di chiamare il medico reperibile ed hanno volontariamente lasciato cadere nel vuoto le richieste loro rivolte dalla persona offesa, proprio in quanto la consideravano - probabilmente anche a causa di attriti verificatisi nei giorni precedenti - un soggetto, fastidioso “piantagrane” il cui unico intento era quello di provocarli dichiarazioni F. 5.1. In tale ambito la Corte a ha ribadito lo status e la qualità di incaricato di un pubblico servizio agli infermieri professionali, poiché la tutela dei malati ricoverati, compete non solo i medici ma anche gli infermieri, i quali ultimi, negli ospedali, hanno una funzione di “garanzia e svolgono un compito cautelare essenziale nella salvaguardia del paziente” si cita correttamente in proposito Cass. penumero sez. 4, 13 maggio 2011 numero 24573 ricorso Monopoli-Di Palma b ha chiarito che, nel quadro di tale attività, di essenziale cautela e controllo nel decorso clinico della malattia, la situazione di dubbio, quale quella in questione persona spedalizzata ma non in terapia farmacologica, colpita da forte emicrania accompagnata da vomito, perdita di equilibrio e caduta a terra, determinante una contusione all'arcata sopracciliare , imponeva l'intervento del medico di turno, con la conseguenza che il rifiuto alla chiamata del medico di guardia ha integrato il delitto ex articolo 329 cod. penumero contestato. Considerato in diritto 1. I due infermieri professionali, assistiti dal medesimo difensore, prospettano, con un unico motivo di impugnazione, vizio di motivazione per contraddittorietà ed illogicità sul punto e sulla valutazione dell'omessa richiesta di intervento del medico di turno, a fronte della patologia manifestata dalla paziente M.M.C. . 1.1. In particolare si sostiene che, non essendosi verificato alcun danno, quale conseguenza diretta della realizzata omissione “il presunto malore o stato ansioso non ha avuto alcuno strascico” , la condotta addebitata non sarebbe punibile ex articolo 328 cod. penumero . 1.2. Per ciò che attiene poi al F. si rileva che costui ha avuto un solo contatto con la paziente, limitandosi a darle una bottiglietta di Gatorade. 2. Ritiene la Corte che i ricorsi siano in parte inammissibili ed in parte manifestamente infondati. 2.1. L'inammissibilità colpisce tutte le argomentazioni intese ad ottenere un diverso giudizio di responsabilità, a seguito di una più favorevole e non consentita lettura delle emergenze processuali, nonché le doglianze circa l'attendibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa, la cui descrizione - prima nell'appello ed ora nel ricorso - è intesa a screditarne la credibilità, ignorando la congrua diversa giustificazione sul punto apprestata nella doppia conforme pronuncia di responsabilità. 2.2. La palese infondatezza invece qualifica le doglianze sulla qualità degli operanti, infermieri professionali, e sul preteso erroneo inquadramento dogmatico del ritenuto delitto di omissione. 2.3. Va subito chiarito, ferma la qualità di incaricato di pubblico servizio attribuibile, per risalente ed immodificata giurisprudenza all'infermiere Cass. penumero sez. 6, 2996/1996, Preconia Rv. 204520 , considerato che la circostanza che la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle U.S.L. sia retta dalle norme del codice civile, non vale a rendere privatistica la natura delle prestazioni dei suddetti soggetti le quali sono inserite nell'attività, certamente di natura pubblica, del servizio sanitario per tutte quelle persone, infermieri ed anche operatori tecnici addetti all'assistenza, con rapporto diretto e personale, del malato conforme Cass. penumero sezione. 6, 34359/2010 Rv. 248269, Ragazzo . 2.4. Quanto al delitto ritenuto, la corte distrettuale - con puntualità e rigore - ha spiegato che rientra nel proprium dell'infermiere professionale quello di controllare il decorso della malattia o convalescenza del paziente ricoverato, fungendo da necessario tramite con il medico del reparto a fronte di situazioni, come quella di specie ricoverata non protetta farmacologicamente che segnala violento mal di testa, accompagnato da vomito e perdita di equilibrio, con caduta, che ha causato una contusione all'arcata sopracciliare suscettibili di spiegazioni plurime in termini di ragionevoli sviluppi patologici, tali comunque da esigere l'intervento di mediazione ed interpretazione professionale del medico del reparto. 2.5. Il rifiuto di provvedere in tal senso integra la materialità e la soggettività richiesta dalla norma la quale, contrariamente all'assunto difensivo, non esige affatto che l'atto omesso o ritardato produca danno al paziente il delitto di omissione di atti d'ufficio infatti è un reato di pericolo la cui previsione sanziona il rifiuto, non già di un atto urgente, bensì di un “atto dovuto che deve essere compiuto senza ritardo”, ossia con tempestività, in modo da conseguire gli effetti che gli sono propri in relazione al bene oggetto di tutela, indipendentemente dal nocumento che in concreto possa derivarne cfr. in termini cass. penumero sezione 6, 13519/2009, Rv. 243684, Gardali . 2.6. In conclusione va ribadita la regola che il rifiuto, l'omissione o il ritardo di un atto d'ufficio, per essere giuridicamente rilevante e cadere sotto la sanzione penale, non deve necessariamente cagionare un danno materiale alla Pubblica amministrazione o ledere interessi legittimi dei privati, essendo sufficiente il pregiudizio all'ufficio o al servizio, insito nella condotta illegittima del pubblico ufficiale o dell'incaricato del pubblico servizio va inoltre ribadito che la condotta di rifiuto si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando, come nella specie, a prescindere dalla pressante invocazione di assistenza e cura della persona ricoverata, sussista un'urgenza sostanziale impositiva del compimento dell'atto in tal senso vds. Cass. penumero sez. 6, u.p. 6 giugno 2013 in ricorso Pedalino . 2.7. Nessun dubbio quindi sulla sussistenza del delitto di cui all'articolo 328 comma 1 cod. proc. penumero nei termini correttamente e persuasivamente argomentati dai giudici di merito con doppia conforme pronuncia, priva di invalidità apprezzabili in questa sede. 3. I ricorsi risultano pertanto inammissibili ed i ricorrenti vanno entrambi condannati al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al pagamento della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al pagamento della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.