Essendo la calunnia un reato doloso, è necessario dimostrare la specifica volontà di dire il falso, nonostante la consapevolezza del carattere non veridico delle accuse.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 49397 del 9 dicembre 2013. Il fatto. La Corte d’Appello dell’Aquila conferma la sentenza di condanna resa nei confronti di un uomo per aver accusato falsamente, nel ruolo di amministratore di una società, il suo commercialista di essersi appropriato della somme di denaro affidategli per il pagamento dei tributi. Secondo i giudici di merito, la versione della buona fede era inverosimile perché l’intento di calunnia era dimostrato dalla insistenza con la quale, anche all’esito della richiesta di archiviazione, avuta quindi notizia dell’infondatezza delle accuse, l’uomo chiedeva la prosecuzione del procedimento. L’imputato ricorre in Cassazione. Rilevanza del dolo. Il ricorrente sostiene che la denuncia che si assume essere volutamente falsa era, in realtà, inconsapevole egli era stato indotto in errore dalla presenza di un corposo verbale della Guardia di Finanza che dava atto della mancata dichiarazione di parte dei redditi, non riuscendo egli a comprendere che oggetto della contestazione non era il mancato pagamento delle imposte per le quali aveva versato somme al commercialista a ulteriore sostegno del suo errore e della assenza di dolo precisava di aver dato incarico ad un difensore che aveva predisposto la querela da lui sottoscritta pur senza adeguata verifica del contenuto. La Corte d’Appello, invece, di fatto, afferma che vi è un comportamento colpevole in quanto l’imputato «avrebbe potuto e dovuto leggere» ovvero «avrebbe potuto e dovuto farsi spiegare» «Eppure, essendo il reato di calunnia un reato doloso, era necessario dimostrare e confermare che il ricorrente fosse consapevole dell’innocenza dell’accusato ma ciononostante decidesse di denunciarlo. Invece la Corte di merito gli attribuisce la responsabilità di non essersi adeguatamente informato, affermazione che sarebbe fondata solo se fosse configurabile una calunnia colposa». In altre parole, secondo la Corte aquilana il reato sussiste anche se la denuncia sia stata fatta per “equivoco”, confermando ulteriormente di ritenere che la calunnia sia un reato configurabile anche a fronte di un errore di apprezzamento della responsabilità dell’accusato e non solo a fronte della certezza della sua innocenza. Quanto detto impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 ottobre – 9 dicembre 2013, numero 49367 Presidente Agrò – Relatore Di Stefano Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12 gennaio 2012 la Corte di Appello di L'Aquila confermava in punto di responsabilità, riducendo la pena, la sentenza di condanna resa nei confronti di B.A. in sede di giudizio abbreviato dal giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Chieti per il reato di calunnia consistito nell'avere il ricorrente accusato falsamente, nel ruolo di amministratore di una società, il commercialista U.A. di essersi appropriato delle somme di denaro affidategli per il pagamento di tributi. 2. La Corte di Appello rigettava anzitutto l'eccezione di nullità della sentenza impugnata per essere il giudice procedente incompatibile per attività svolte nel corso del procedimento ritenendo che l'incompatibilità possa dar luogo a ricusazione ma non a vizio alcuno della sentenza. Nel merito riteneva infondata la tesi difensiva secondo la quale il ricorrente, non avendo letto attentamente il verbale di accertamento delle violazioni tributarie, aveva erroneamente ritenuto che risultassero non pagate tutte le imposte e, quindi, che effettivamente il denaro versato al commercialista fosse stato da costui incamerato. Al contrario, la versione della buona fede era inverosimile anche perché l'intento di calunnia era dimostrato dall'insistenza con la quale, anche all'esito della richiesta di archiviazione, avuto quindi notizia della infondatezza delle accuse, il B. chiedeva la prosecuzione del procedimento. 3. B.A. con atto a propria firma propone ricorso avverso tale sentenza. 4. Con il primo motivo deduce la violazione di legge con riferimento all'articolo 34 cod. proc. penumero , nonché per essere la decisione fondata su prove inutilizzabili nel giudizio abbreviato. Rileva come, per le attività svolte dal medesimo giudicante, sussistesse una causa di incompatibilità per la quale il giudice avrebbe dovuto astenersi. Propone, altresì, eccezione di incostituzionalità in riferimento all'articolo 34 cod. proc. penumero nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice che ha emesso ordinanza di archiviazione a seguito di opposizione per i medesimi fatti per cui viene giudicato l'imputato. 5. Con secondo, terzo, quarto e quinto motivo deduce la violazione di legge, il vizio di motivazione in generale nonché l'ingiustificato diniego della applicazione della non menzione della condanna. 6. Ricostruisce la vicenda in modo da dimostrare le ragioni dell'errore in buona fede del ricorrente che aveva fatto firmato un atto predisposto dal suo avvocato senza avere consapevolezza del contenuto tale consapevolezza non poteva essere desunta dalla condotta successiva di opposizione alla richiesta di archiviazione del procedimento iniziato sulla base della sua querela. Rileva che, peraltro, non sono utilizzabili a fini probatori l'atto di opposizione all'archiviazione e successivi atti non presenti nella fase delle indagini preliminari e fascicolo del pubblico ministero e che, comunque, l'integrazione probatoria poteva essere disposta soltanto con la riapertura del dibattimento. Quanto alla non menzione della condanna, osserva che, a fronte dell'applicazione della pena minima, la stessa andava applicata. 7. Disposto un primo rinvio dell'udienza innanzi a questa Corte per difetto di notifica, il 17 settembre 2013 il difensore ha depositato motivi aggiunti rilevando con un primo la violazione di legge emergendo dal testo della sentenza che la condanna è stata disposta pur se il fatto era accertato non oltre ogni ragionevole dubbio e con secondo motivo rilevando il difetto di motivazione della sentenza quanto alla ritenuta inattendibilità di un teste della difesa. Considerato in diritto 8. Il ricorso è fondato nei sensi di cui appresso. 9. Il primo motivo è manifestamente infondato. La parte, nel dedurre la presunta incompatibilità di uno dei componenti del collegio, innanzitutto non svolte argomentazioni specifiche tanto da non indicare quale sarebbe il vizio conseguente alla pretesa incompatibilità e quindi precisare quale sia l'effetto che intende ottenere laddove le proprie ragioni risultino fondate. In ogni caso, correttamente la Corte d'Appello ha già risposto che la condizione di incompatibilità del giudice ben può essere motivo di dichiarazione di ricusazione che, a quanto risulta, nel caso di specie non è stata presentata , ma non produce di per sé sola la nullità della sentenza. 10. La assenza di dichiarazione di ricusazione comporta anche la irrilevanza della eccezione di costituzionalità perché, anche se fondata, non avrebbe comunque effetto sulla sentenza impugnata. 11. È invece fondato il motivo relativo al difetto di motivazione sul punto della sussistenza di un effettivo dolo di calunnia nella condotta della ricorrente. 12. Il ricorrente aveva proposto un motivo di appello con il quale intendeva sostenere come la denunzia che si assume essere volutamente falsa era in realtà frutto di un errore e quindi inconsapevole. Nella prospettazione difensiva, il ricorrente era stato indotto in errore dalla presenza di un corposo verbale della GdF che dava atto della mancata dichiarazione di parte dei redditi, non riuscendo cosi il B. a comprendere che oggetto della contestazione non era il mancato pagamento delle imposte per le quali aveva versato somme al commercialista a ulteriore sostegno del suo errore e della assenza di dolo precisava di aver dato incarico ad un difensore che aveva predisposto la querela da lui sottoscritta pur senza adeguata verifica del contenuto. 13. Poco importando, ovviamente, in questa sede apprezzare la serietà o meno degli argomenti difensivi e la possibilità di ritenerli fondati all'esito della valutazione del contenuto degli atti in questione, si nota come la Corte di Appello si limiti a rispondere Nel merito, è certamente infondata la tesi difensiva della inconsapevolezza dell'innocenza dell'U. . È di ogni evidenza che il B. , prima di sporgere querela, avrebbe potuto e dovuto leggere attentamente il contenuto del verbale inviatogli dalla Guardia di Finanza o, quantomeno, avrebbe potuto e dovuto farsi spiegare da qualcuno in grado di farlo l'esatto contenuto della contestazione, che riguardava, come emerge pacificamente dagli atti, la mancata dichiarazione di una parte dei redditi introitati e il conseguente mancato pagamento delle imposte relative . 14. Quindi la Corte di Appello nel rispondere al ricorrente non motiva nel senso che non sia credibile la tesi della sua buona fede ma di fatto afferma che vi è un suo comportamento colpevole in quanto avrebbe potuto e dovuto leggere ovvero avrebbe potuto e dovuto farsi spiegare . 15. Eppure, essendo il reato di calunnia un reato doloso, era necessario dimostrare, e confermare a fronte dei motivi di appello, che ricorrente fosse consapevole della innocenza dell'accusato ma ciononostante decidesse di denunziarlo. 16. Invece la Corte di merito, anziché dimostrare che il ricorrente fosse consapevole della falsa accusa e questa, con i dovuti argomenti, sarebbe stata la risposta congrua rispetto ai motivi di appello , gli attribuisce la responsabilità di non essersi adeguatamente informato, affermazione che sarebbe fondata solo se fosse configurabile la calunnia colposa. 17. In tale senso è anche la valutazione che la Corte fa della condotta successiva alla richiesta di archiviazione del procedimento a carico del commercialista. La questione della insistenza del ricorrente - fatto che, se del caso, doveva essere valutato nella sua capacità di dimostrare che vi fosse condizione di dolo sin dall'inizio - nella motivazione della sentenza impugnata viene indicata come insistenza nella accusa anche in un momento in cui, se fosse vero quanto sostenuto nell'atto di appello, egli era venuto certamente a conoscenza dell'equivoco . In questo modo, però, la Corte afferma che il reato sussiste anche se la denuncia sia stata fatta per equivoco , confermando ulteriormente di ritenere che la calunnia sia reato configurabile anche a fronte di un errore di apprezzamento della responsabilità dell'accusato e non solo a fronte della certezza della sua innocenza. 18. La erronea prospettazione in diritto comporta la carenza della motivazione sulla sussistenza del dolo di calunnia e la inadeguata risposta ai motivi di appello che affermavano la convinzione del B. della condotta abusiva del suo commercialista. 19. Quanto detto impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al giudice individuato del dispositivo che dovrà valutare, rendendone conto con adeguata motivazione, se al momento della denuncia il ricorrente si rappresentasse con certezza la innocenza di U. . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Perugia.