In aula con cartelloni di protesta contro l’operato del Giudice di Pace? Non si tratta di libera manifestazione del pensiero

Costituisce reato, nella specie interruzione di pubblico servizio, la condotta del cittadino che manifesti il proprio forte dissenso in ordine all’operato del Giudice di Pace attraverso l’apposizione di cartelloni di protesta tesi a contestare la professionalità del magistrato e la correttezza del suo comportamento.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46461/13, depositata il 21 novembre scorso. La S.C. ha altresì precisato che il reato previsto e punito dall’articolo 340 c.p. tutela non solo l’effettivo funzionamento di un servizio pubblico, ma anche l’ordinato svolgimento di esso, sicché a oggettivo non ha rilievo che la interruzione sia stata temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento del servizio stesso. E poi – viene ulteriormente chiarito - l’esercizio dei diritti di riunione e di manifestazione del pensiero, garantiti dagli articoli 17 e 21 primo comma della Costituzione, cessa di essere legittimo quando travalichi nella lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, come quando si concreti in un comportamento integrante la fattispecie di cui all’articolo 340 c.p. con modalità di condotta che esorbitino dal fisiologico esercizio di quei diritti. Doveva capitare. L’imputato veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di interruzione di pubblico servizio poiché, nell’ambito di 12 differenti udienze tenute dal Giudice di Pace, aveva esposto in aula cartelloni di protesta tesi a contestare la professionalità del predetto magistrato e la correttezza del suo comportamento ed a screditarne quindi sia professionalmente che umanamente la figura agli i occhi dell’utenza . Condannato in primo e secondo grado l’imputato proponeva ricorso per cassazione sostanziandolo in 2 distinti motivi errata applicazione della legge penale in relazione agli articoli 21 Cost. e 51 c.p. in relazione all’articolo 10 CEDU e per manifesta illogicità della motivazione. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, poiché infondato. Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero . Il ricorso formato dall’imputato, il cui contenuto non è dato conoscere dalla lettura della sentenza, appare interessante, sotto il profilo dell’ispirazione che lo ha mosso, quantomeno sotto un duplice profilo quello inerente e relativo alla disciplina contenuta nella CEDU che viene correttamente segnalata quale parte del corpus normativo interno dello Stato e quella non meno affascinante relativa al necessario giudizio di bilanciamento che deve essere effettuato dall’interprete in relazione alle diversa categorie di beni Costituzionalmente protetti che entrino in fra di loro in contrasto. In relazione al primo profilo giovi ricordare come la CEDU e con essa anche tutta la legislazione cosiddetta di terzo pilastro debba necessariamente essere considerata quale direttamente ed immediatamente precettiva per l’ordinamento interno italiano sia sotto il profilo sostanziale che procedurale. Se in relazione al profilo sostanziale, ovvero a quello attinente il riconoscimento di specifici ed inalienabili diritti in capo al Cittadino, la CEDU pare possa insegnare ben poco al Legislatore Costituente, sotto il profilo formale procedurale la CEDU diviene ed appare essere invece allo stesso tempo faro e porto d’approdo per l’elaborazione giurisprudenziale in tema di rispetto del diritto al contraddittorio e di giusto processo . Il fatto che essa venga ‘scomodata’ per vicende attinenti alla giurisdizione ‘minore’ absit injuria verbis costituita dai Giudici di Pace non vede essere visto come paradigma della proverbiale cavillosità dell’avvocato italico ma anzi quale cartina di tornasole relativa all’inarrestabile speriamo ingresso nel sistema di una cultura processuale differente, di stampo, come direbbe un fine commentatore, europeo. Insomma pare che i giuristi italiani abbiano deciso, forse con qualche decennio di ritardo, di utilizzare le norme di sistema europeo per sollecitare i Giudici a risolvere le questioni anche e soprattutto nell’ambito di una più vasta area, ed idea, di giurisdizione. Il bilanciamento fra differenti beni. La questione, interessante sotto il profilo processuale, attiene alla possibilità lasciata al Giudice di effettuare una valutazione fra differenti beni dotato di protezione e rango costituzionale che entrino fra di loro in contrasto a cagione della condotta dell’imputato che al fine di proteggerne od affermarne uno ne aggredisca un altro. Nel caso concreto il diritto di manifestare il proprio fermo dissenso rispetto all’operato del Giudice entrava in insanabile contrasto ? con il diritto dell’Amministrazione, e dei Cittadini, di dar corso al pubblico servizio rappresentato dalla Giustizia. Il Giudice, alla luce del principio illustrato, perfettamente rappresentato nella e dalla dottrina dell’interpretazione costituzionalmente orientata , deve ritenere non punibile la condotta realizzata ai fini di affermare o proteggere un bene costituzionalmente dotato di protezione maggiore rispetto al bene aggredito dalla stessa e dotato di protezione e tutela minore. Come si vede si tratta di un’interpretazione elastica che consente, nello spirito di una corretta interpretazione anche di stampo evolutivo della Carta Costituzionale, di dar corso a quella scrittura del diritto vivente di cui da tempo si parla e che ormai produce quotidiani effetti, non sempre coerenti fra loro, nella cultura giuridica e normativa in senso ampio e assai vicino a quello tipico dei Paesi di common law del Paese. Un’attività che è chiamato a compiere ciascun giudice proprio in virtù di una prevista e felicemente inquadrata non staticità del Diritto che, in quanto fenomeno sociale, è destinato a mutare senza necessità di veder mutati, ad ogni piè sospinti, codici, leggi e regolamenti. Il ricorrente ha ritenuto che nel presente momento storico il diritto all’individuale manifestazione del proprio pensiero fosse ritenuto e considerato superiore al diritto esercitato dal Leviatano di amministrare giustizia. La proposizione, assai semplice e ridotta all’osso, rappresenta lo schema che per secoli, passati e credo anche a venire, ha visto contrapposto il libero ed individuale pensiero a quello della collettività. L’uomo afferma liberamente ciò che pensa il giudice di pace non ha amministrato correttamente la giustizia nel mio caso è probabile che non lo faccia neppure nel vostro il Leviatano non può tollerare che questa manifestazione divenga ex se causa di turbamento della funzione giurisdizionale. Ora il concetto di turbamento andrebbe analizzato avendo il coraggio di spingersi oltre i limiti del mero dato fattuale e rilevando come esso sia, anche nel caso di specie, più collegato ad uno status di natura psicologica. Non è chi non veda infatti come un’attività silenziosa non sia in grado di causare altra interruzione al servizio che quella costituita dal ‘fastidio’ dell’utenza prima e del giudicante soprattutto, nell’atto di esercitare il potere giurisdizionale. L’utenza infatti è certamente turbata da indicazioni che danno per incapace chi dovrà decidere ed il giudice certamente sarà turbato dal percepire il turbamento dell’utenza” che si affiderà non serena al proprio giudizio. Il giudice deve essere sereno. Il giudice non sereno non è in grado, per espressa previsione normativa si vedano in punto le norme sulla legittima suspicione di emettere un giudizio corretto e terzo e, dunque, occorre rimuovere le cause capaci di generare la situazione di carattere psicologico di cui si discute. Ora, nel caso di specie, l’unica strada per rimuovere la condizione ostativa” al corretto esercizio della giurisdizione non poteva che essere quella di dichiarare l’attività posta in essere dall’imputato contra jus , poiché volta non ad impedire ma a turbare” il corretto esercizio del potere giurisdizionale. Potere che regge e presiede al principio stesso della democrazia che proclama l’uomo assoggettato ad una legge applicata in modo corretto nei confronti di chicchessia. Dunque mi pare di poter concludere con un giudizio d’assoluta correttezza dell’operato dei Giudici di Cassazione cui, nel caso di specie, mi pare poter solo offrire umile consiglio l’allocuzione pena di giustizia sospensivamente condizionata è davvero illeggibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 ottobre – 21 novembre 2013, n. 46461 Presidente Serpico – Relatore Capozzi Considerato in fatto e ritenuto in diritto 1. Con sentenza in data 8.6.2012 la Corte di appello di Ancona - a seguito di gravame interposto dall'imputato G.O. avverso la sentenza del 3.10.2010 emessa dal Tribunale di Ancona - ha confermato detta sentenza con la quale è stata riconosciuta la penale responsabilità dell'imputato, condannato a pena di giustizia sospensivamente condizionata, in ordine al reato di cui agli artt. 340-81 cpv. c.p. perché, in più giorni dal 25 gennaio 2007 al 24 gennaio 2008, sostando nei locali antistanti la sala delle udienze del Giudice di pace di Bologna e quindi entrando ed uscendo dalla stessa, esibendo un cartello contenente lamentele varie nei confronti degli organi giudiziari ostentatamente richiamando l'attenzione dei presenti in udienza, non allontanandosi all'invito delle forze di polizia e così determinando varie interruzioni delle udienze, turbato la regolarità del servizio. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del difensore deducendo con unico motivo errata applicazione dell'art. 21 Cost. e 51 c.p. in relazione all'art. 10 CEDU e manifesta illogicità della motivazione. In particolare, secondo il ricorrente, la Corte di merito avrebbe illogicamente eluso il pur affermato diritto di critica sulla base della prevalenza di altro diritto - nella specie dell'ordinato svolgimento delle udienze - non leso dall'imputato che aveva inteso manifestare la propria protesta nei corridoi del palazzo di giustizia, senza comportamenti attivi o passivi volti a disturbare l'udienza, turbamento solo soggettivamente presunto dalla d.ssa M. . 3. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. 4. Integra il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità anche la condotta che causi una temporanea alterazione, purché oggetti va mente apprezzabile, della regolarità dell'ufficio o del servizio. Sez. 5, Sentenza n. 27919 del 06/05/2009 Rv. 244337 Imputato De Angelis. ancora, il reato previsto dall'art. 340 cod. pen. tutela non solo l'effettivo funzionamento di un servizio pubblico, ma anche l'ordinato svolgimento di esso, sicché ai fini della sussistenza dell'elemento oggettivo non ha rilievo che la interruzione sia stata temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento del servizio stesso. Sez. 6, Sentenza n. 44845 del 26/10/2007 Rv. 238096 Imputato Stante . 5. L'esercizio dei diritti di riunione e di manifestazione del pensiero, garantiti dagli artt. 17 e 21, primo comma, Cost., cessa di essere legittimo quando travalichi nella lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, come quando si concreti in un comportamento integrante la fattispecie di cui all'art. 340 cod. pen. con modalità di condotta che esorbitino dal fisiologico esercizio di quei diritti. Sez. 6, Sentenza n. 7822 del 27/11/1998 Rv. 214755 Imputato Magnanelli M e altri . 6. Ritiene il Collegio che la sentenza impugnata si sia correttamente posta nell'alveo di legittimità richiamato. 7. Invero, con insindacabile valutazione in fatto, la sentenza ha osservato che del tutto pacifiche sono le circostanze dei fatti consistiti nella reiterata condotta dell'imputato in relazione allo svolgimento della attività giudiziaria da parte del Giudice di Pace di XXXXXXX, d.ssa N M. , estrinsecatasi nella puntuale esposizione di cartelloni di protesta - tesi a contestare la professionalità del predetto magistrato e la correttezza del suo comportamento e a screditarne quindi sia professionalmente che umanamente la figura agli occhi dell'utenza v. sentenza di primo grado pg. 3 - in occasione di tutte le dodici udienze di cui all'imputazione, tenute dal medesimo magistrato. Ha ritenuto dimostrato il clamore ed il conseguente turbamento provocato da quella protesta all'utenza presente all'interno dell'aula di udienza, tanto che il Giudice predetto si era visto costretto a richiami all'ordine e, in qualche occasione, anche a sospendere l'udienza ed a richiedere l'intervento della forza pubblica per ripristinare l'ordine nei locali e, quindi, riprendere la regolare attività giudiziaria ha rilevato, inoltre, la reiterazione e la sistematicità della condotta volte a provocare, con specifico riferimento alla professionalità della d.ssa M. , fastidio all'attività giudiziaria della predetta con il rischio, in più occasioni concretamente verificatosi, di una sospensione. 8. In particolare, la sentenza ha correttamente negato valenza scriminante alla manifestazione del diritto di critica da parte dello stesso imputato in ragione delle circostanze di fatto nell'ambito delle quali esso si è manifestato, deliberatamente comprimendo quello primario di buon andamento dell'amministrazione della giustizia. Ritiene questo Collegio che correttamente è stata negata una irrilevante condotta passiva” e silente” all'imputato nel manifestare la sua critica, non potendosi qualificarsi tale, ed esulando dal fisiologico esercizio del diritto, la intromissione dell'imputato nell'aula giudiziaria durante la celebrazione della udienza ponendo in essere una pubblica contestazione volta al discredito professionale e personale del Magistrato che la conduce. 9. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.