L’appartenenza di un pusher ad un’associazione a delinquere può dedursi dalla fiducia in lui riposta dai capi

In materia di associazione diretta alla diffusione di sostanze stupefacenti, l’associazione stessa sussiste anche quando il vincolo associativo poggia sul rapporto che accomuna, in maniera durevole, il fornitore della sostanza e gli spacciatori, sempre che vi sia consapevolezza di operare nell’ambito di un’unica associazione e di contribuire alla realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 45612 del 13 novembre 2013. Il caso. La Corte d’Appello di Messina, sezione per i minorenni, in parziale riforma della statuizione del Tribunale per i minorenni, riteneva colpevoli rideterminando le pene quattro minori del delitto mezzo” di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti art. 74 D.P.R. n. 309/1990 e di quelli fine” di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990. In particolare, agli imputati veniva addebitata la partecipazione ad un sodalizio criminale, diretto da tre maggiorenni, caratterizzato da un’articolata struttura divisa in vari settori di commercio riguardanti le varie sostanze stupefacenti , da rigide regole di appartenenza e in grado di diffondere svariate tipologie e grandi quantità di droghe, per un importo economico di sicuro rilievo, anche con la disponibilità e l’utilizzo di armi. Tale partecipazione veniva desunta da una serie di circostanze, quali i costanti rapporti con i capi dell’associazione i quali riponevano grande fiducia nei loro pushers , la disponibilità ad operare per il bene del sodalizio in particolare per quanto riguarda il loro comportamento nei confronti dei controlli delle forze dell’ordine e il loro desiderio di partecipare all’attività di spaccio nonostante l’impedimento degli arresti domiciliari . L’identificazione degli imputati avveniva attraverso il riconoscimento delle loro voci, captate tramite intercettazioni telefoniche, e dei loro soprannomi. Tutti i minori venivano considerati perfettamente in grado di comprendere il disvalore delle loro azioni e veniva esclusa la loro sottomissione” al volere degli adulti che guidavano l’associazione, essendo i quattro, al contrario, in grado di operare scelte completamente libere. In ragione delle summenzionate caratteristiche dell’associazione criminale la Corte d’Appello riteneva di non poter configurare l’associazione di cui all’art. 74, co. 6 D.P.R. n. 309/1990, prevista nel caso in cui l’obbiettivo della stessa sia la commissione di fatti di lieve entità ex art. 73, co. 5 del citato D.P.R Avverso tale sentenza proponevano ricorso in Cassazione tutti gli imputati. Il primo contestava la propria partecipazione all’associazione a delinquere, sostenendo al contrario che il suo apporto avrebbe dovuto considerarsi semplicemente occasionale, non avendo mai il medesimo minore avuto contatti telefonici con i capi del sodalizio e avendo egli partecipato ad un solo episodio di spaccio. Inoltre, veniva dedotta la violazione dell’art. 192 c.p.p. in relazione all’identificazione dello stesso imputato, ritenendosi insufficiente, a tal fine, il riferimento, che nelle conversazioni telefoniche veniva fatto, ad un soggetto con il medesimo nome di battesimo del predetto minore. Il secondo accusato impugnava la sentenza di secondo grado, contestando anch’egli la propria partecipazione all’associazione contestazione fondata su una serie di circostanze quali, ad esempio, il non essere stato punito come un altro soggetto egli sì partecipe al sodalizio a causa di una sottrazione di stupefacente dalla riserva” della consorteria. Con un altro motivo veniva posta in dubbio l’imputabilità del minore al momento del fatto, non essendosi mai appurata tecnicamente la maturità del medesimo. Infine, ulteriore doglianza poggiava le proprie fondamenta sull’erronea applicazione dell’art. 133 c.p., per non aver il collegio d’Appello contenuto la pena nei minimi edittali. Il terzo ed il quarto imputato proponevano ricorso congiunto, adducendo anch’essi la violazione dell’art. 192 c.p.p. in riferimento alla valutazione degli elementi di prova della loro partecipazione all’associazione, non essendo gli stessi consapevoli della struttura organizzata e non avendo contribuito a rafforzare tale unione criminale. In secondo luogo si deduceva la violazione dell’art. 74, co. 6, D.P.R. n. 309/1990 per la mancata qualificazione di particolare tenuità dei fatti di reato contestati, consistenti nello smercio di modesti quantitativi di droga. La sentenza impugnata avrebbe, invece, liquidato in poche battute tale circostanza, limitandosi a ribadire quanto affermato nel provvedimento del Tribunale. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha respinto i ricorsi, dichiarandoli infondati. Se c’è fiducia, c’è associazione. La Suprema Corte non condivide assolutamente quanto asserito dal primo imputato nel proprio atto di impugnazione. In particolare, la presunta occasionalità della partecipazione del minore in questione all’associazione è smentita dalle risultanze processuali, dalle quali la Corte d’Appello ha correttamente desunto la stabilità dell’apporto del ricorrente al sodalizio criminale. Dal tenore dei contatti intercorsi tra questi e i capi dell’associazione si poteva tranquillamente dedurre, infatti, come l’imputato godesse della fiducia dei suoi superiori”, elemento che caratterizza rapporti duraturi e costanti. Inoltre, gli stessi capi si erano lamentati del fatto che il minore fosse agli arresti domiciliari, non potendo perciò fruire della sua affidabilità. Parimenti, la I sezione penale ribadisce la correttezza dell’impianto motivazionale della sentenza di secondo grado rispetto all’identificazione dell’imputato. Il collegio d’Appello, infatti, ha correttamente fatto propri una serie di elementi tra cui il riconoscimento vocale da parte degli operatori di Polizia analiticamente esplicitati dalla sentenza di primo grado e non oggetto di contestazione nell’atto di appello. Pertanto, nessuna illogicità può cogliersi nel ragionamento della Corte territoriale. Non serve conoscersi per essere associati. Rispetto alle doglianze del secondo imputato il Supremo Collegio evidenzia come anche la partecipazione di questi al sodalizio criminale non possa essere messa in discussione. A nulla valgono, in proposito, gli argomenti addotti dalla difesa, in specie quello inerente la mancata punizione del minore, in considerazione del fatto che lo stesso si era più volte detto disponibile a fornire la propria opera” di spacciatore in favore del gruppo”, anche contro il consiglio di uno dei capi, il quale gli aveva suggerito, a seguito di un controllo di Polizia, di sospendere per qualche tempo la propria attività per motivi di sicurezza. Corretta, quindi, deve ritenersi la motivazione della sentenza impugnata. Inoltre, nessuna rilevanza può conferirsi, secondo la I sezione, alla circostanza per cui nessuno degli altri sodali conoscesse l’imputato. La conoscenza reciproca tra gli associati, infatti, per giurisprudenza della stessa Corte in sentenza richiamata non costituisce elemento decisivo ai fini della configurabilità del sodalizio finalizzato al commercio di sostanze stupefacenti, essendo, al contrario, sufficiente, a tal fine, la mera consapevolezza di partecipare con almeno altre due persone, connotate dal medesimo atteggiamento psicologico, ad una società criminosa strutturata con l’obbiettivo di commettere i delitti di cui al D.P.R. n. 309/1990. Per quanto riguarda l’imputabilità del minore al momento del fatto e la mancata inflizione di una pena contenuta nei limiti edittali, la Corte di Cassazione sottolinea la linearità e la coerenza del percorso motivazionale della Corte d’Appello, la quale ha ritenuto accertata la maturità di tutti gli imputati e la loro capacità di autodeterminarsi, infliggendo, tuttavia, in ragione della loro minore età e delle attenuanti generiche, una pena minima, con un contenuto aumento per la ritenuta continuazione tra i delitti ascritti. L’associazione è lieve” se i reati-fine sono lievi”. I motivi di ricorso del terzo e del quarto imputato seguono la stessa sorte di quelli precedentemente illustrati. La Suprema Corte ricorda il dato per cui il giudice di secondo grado ha correttamente basato il proprio convincimento rispetto alla partecipazione di quelli all’associazione sulla conoscenza che gli stessi avevano dei luoghi in cui lo stupefacente era nascosto e sulla funzione di mentori” e referenti da essi svolta nei confronti dei nuovi pushers . In riferimento alla dedotta violazione dell’art. 74, co. 6 D.P.R. n. 309/1990, inoltre, la I sezione penale ribadisce la correttezza della statuizione della Corte d’Appello, avendo questa applicato l’orientamento giurisprudenziale per cui, perché possa ritenersi sussistente la fattispecie su citata, è necessario che tutte le condotte attuative del programma criminoso siano connotate dalla lieve entità di cui all’at. 73, co. 5 D.P.R. n. 309/1990. Una simile evenienza non può dirsi verificata, ad avviso del Supremo Collegio, nella vicenda in questione, avendo il contestato commercio interessato varie tipologie di sostanze stupefacenti ed essendo lo stesso connotato da rilevante valore economico. Ne derivano, pertanto, il naturale rigetto di tutti i ricorsi e la conferma della sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 ottobre - 13 novembre 2013, n. 45612 Presidente Chieffi – Relatore Caprioglio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16.2.2012 la corte d'appello di Messina, sezione per i minorenni, in parziale riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale per i minorenni, il 4.7.2011 rideterminava la pena inflitta a P.E. , N.A. e B.R. in quella di anni quattro e mesi sei di reclusione e la pena inflitta a M.D. , in quella di anni quattro e mesi dieci di reclusione, riaffermando la loro colpevolezza per i reati loro contestati in materia di associazione a delinquere diretta al traffico di sostanze stupefacenti e reati satellite di violazione art. 73 dpr 309/90. La Corte territoriale evidenziava come il compendio probatorio in atti costituito dall'esito di intercettazioni ambientali e telefoniche avesse dato contezza di una struttura associativa capeggiata da BO.Do. , R.G. ed A.A. , di indiscusso spessore criminale, in grado di contare su un'articolata struttura di mezzi e uomini, dagli stessi diretta ed organizzata divisa in settori quali quello cocaina e quello erba fumo e pillole” , con ferree regole gerarchiche, attiva nonostante i controlli di polizia, in grado di diffondere svariate tipologie di sostanze stupefacenti, per quantitativi di rilevante importo economico, nonché servirsi di armi per conseguire i fini dell'associazione medesima. Proprio la dimensione del commercio gestito e realizzato portava ad escludere la ricorrenza delle diminuenti di lieve entità previste dagli artt. 73 e 74 dpr 309/90, atteso che l'attività di pusher degli imputati si inseriva in un ingranaggio temibile per la collettività, in quanto molto ben oleato ed efficiente, mentre le complessive modalità delle singole azioni si spaccio non consentivano neppure di sottovalutare la portata dei reati satelliti. Veniva in particolare affermato che ciascuno dei quattro imputati era risultato pienamente capace di orientare in maniera libera e consapevole le proprie azioni, ovvero di cogliere il disvalore sociale dei reati posti in essere. Né veniva ritenuto che gli stessi fossero soggiogati dalle personalità degli adulti, quali il Bu. , poiché ciascuno di loro aveva dimostrato capacità, libera da condizionamenti. Quanto alla loro identificazione attraverso il riconoscimento della voce dei singoli imputati, nei colloqui intercettati, veniva messo in evidenza che non solo la voce era stata riconosciuta da parte dell'operatore di Polizia, ma il riconoscimento era stato associato ai soprannomi assegnati a ciascuno ed erano stati portati elementi individualizzanti. Ciascuno dei quattro imputati era emerso con un ruolo di preposto alle cessioni in istrada, nelle piazze e Municipio di numerose telefonate davano conto della posizione del P. , al soldo di Bo. lo stesso fu fermato in compagnia di B. , una sera in cui era stato loro affidato stupefacente dal Bo. , stupefacente di cui i due si liberarono prima di entrare in caserma. Lo stesso P. risultava riscuotere un'alta fiducia presso il Bu. , che lo fece partecipe della conoscenza dei luoghi ove lo stupefacente e le armi del gruppo erano nascosti, essendo al centro di un'attività vorticosa di spaccio. Quanto al N. , indicato con i soprannomi di omissis , risultavano telefonate con cui lo stesso venne convocato per ricevere lo stupefacente da smerciare l'indomani, ovvero gli venne dato mandato di consegnare a terzi stupefacente. In altre conversazioni lo stesso N. venne colto a parlare di denaro incassato e di cessioni effettuate, anche di pillole. Quanto al B.,.l.s.v.c.i.a. Perrone.i.2 1 2.n.d.t.s.d.a.s.,.s.d.d. B. risulta essere stato convocato da A. per consegnargli lo stupefacente, che insieme al P. avrebbe dovuto diffondere il giorno dopo il riconoscimento della sua collaborazione all'interno del gruppo veniva colto dal tenore di una conversazione nel corso della quale Bo. e P. si rammaricavano che il B. fosse agli arresti domiciliari e che quindi non potesse collaborare di più con l'associazione. Quanto a M. veniva identificato grazie anche al fatto che si accompagnava con Au. , così come confermato dal controllo di polizia del 27.10.2007 Au. che ebbe a subire una cruenta punizione per avere sottratto stupefacente a lui affidato, a cui assistette pure il M. . Dopo esser stato fermato dalla polizia, il M. ebbe a relazionare con dettagli molto particolari l'accaduto, dettagli che non potevano spiegarsi se non con il fatto di aver vissuto personalmente detto evento. Il Bo. , oltre che compiacersi del comportamento tenuto, lo invitò a non farsi vedere con lui e ad astenersi per un certo periodo dallo spaccio, con ciò evidenziando come M. agisse per lui quale membro dell'associazione. A tale invito il M. rispondeva chiedendogli che gli mandasse qualche cliente, così continuando la collaborazione, senza effettuare le consegne ed i trasporti. 2. Avverso tale pronuncia hanno interposto ricorso per cassazione tutti e quattro gli imputati. 2.1 B. personalmente ha sviluppato tre motivi di ricorso. Con il primo, si duole della ritenuta partecipazione all'associazione a delinquere, considerata l'occasionalità del suo eventuale apporto, non avendo mai né ricevuto telefonate dal Bu. , né fatto telefonate al menzionato. Deduce che la partecipazione all'associazione non può essere desunta da un singolo episodio, bensì da una serie significativa di condotte che non ricorrerebbe. Con un secondo motivo, si duole del fatto che i giudici di appello non abbiano motivato sugli specifici motivi di impugnazione quanto alla ricostruzione del fatto. Con un terzo motivo, si duole il B. del fatto che sia stata violata la regola prevista dall'art. 192 cod.proc.pen., nel senso che il Roberto di cui alla conversazione intercettata il 28.10.2007 sia stato identificato con il B. , visto che nulla di obiettivo conduceva a simili conclusioni. 2.2 M.D. , pel tramite del suo difensore, ha sviluppato sette motivi di ricorso. In primo luogo ha contestato che il M. sia stato ritenuto partecipe dell'associazione, laddove l'imputato mai fu animato dalla volontà di partecipare all'associazione, non ebbe a contribuire alla gestione e sopravvivenza del gruppo non avendo mai assunto un ruolo funzionale all'associazione ed alle sue dinamiche operative. Non fu membro, né partecipe dell'associazione, non era conosciuto da alcuno degli associati, i promotori dell'associazione non avevano il suo recapito e non erano in grado di rintracciarlo. Con un secondo motivo, lamenta la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, laddove non è stato valorizzato il fatto che a seguito della sottrazione dello stupefacente ad Au. fu inflitta punizione esemplare, mentre il M. non subì reazioni di sorta, circostanza che dimostrava la differenza di trattamento, in ragione della differente posizione dei due in ambito associativo. Con un terzo motivo, la difesa si duole della violazione dell'art. 74 dpr 309/90, mancando elementi che riconducessero il M. all'associazione, tanto è vero che la richiesta di emissione di misura cautelare era stata rigettata per mancanza di gravi indizi. Con un quarto motivo, è stata contestata la genericità dei capi di imputazione dei reati satellite, quanto a quantità e tipo di sostanza. Con un quinto motivo viene contestata la imputabilità del minore al momento del fatto, atteso che non venne compiuta un'analisi tecnica per appurare il grado di maturità del prevenuto. Con un sesto motivo, è stata contestata la sentenza sotto il profilo della carenza della motivazione, non essendo state argomentate analiticamente le deduzioni esposte nell'atto di appello. Con un ultimo motivo di ricorso, è stato dedotto la violazione dell'art. 133 cod.pen. per non avere contenuto nei minimi edittali al sanzione da infliggere. 2.3 N.A. e P.E. , con un unico ricorso a firma del comune difensore, hanno dedotto due motivi di ricorso. Con un primo motivo hanno anche loro contestato l'affermazione di colpevolezza quanto al reato associativo, sotto il profilo della violazione dell'art. 192 cod. procomma pen. e dell'art. 74 dpr 309/90. Secondo i ricorrenti la corte territoriale si sarebbe limitata a ribadire quanto enunciato nella sentenza di primo grado, secondo cui dovevano ritenersi inseriti a pieno titolo nella consorteria criminosa oggetto di esplorazione processuale, solo ed esclusivamente per il ruolo di pusher dagli stessi rivestito. Di conseguenza si imponeva di accertare la consapevolezza della struttura organizzata e di valutare l'apporto individuale in termini di valorizzazione della stabilità dell'unione e di attuazione del programma. La provata esistenza di un'associazione non poteva portare automaticamente a ritenere la partecipazione di soggetti che ebbero a relazionarsi in un limitato arco temporale, con un solo dei presunti partecipi non sarebbe emerso dalle intercettazioni un saldo e continuativo legame tra i due imputati e la consorteria. Non sarebbe sufficiente quindi limitare l'analisi della rilevanza della condotta posta in essere dai due menzionati alla semplice materialità di loro comportamenti enucleagli dalle modeste ed evanescenti conversazioni captate, prescindendo dalla verifica sull'effettiva consapevolezza da parte loro di operare nell'interesse dell'associazione. Con un secondo motivo, è stato dedotto vizio di violazione dell'art. 192 cod.proc.pen. e dell'art. 74 VI comma dpr 309/90 la corte avrebbe liquidato la richiesta di ravvisare la diminuente con una motivazione tautologica, laddove la manifestata difficoltà di reperite la sostanza, i modesti quantitativi di volta in volta ceduti, la mancanza di dati sulla qualità dello stupefacente e sulle effettive quantità acquisite, non potevano portare a liquidare, come ha fatto la corte territoriale, la questione in poche battute. La difesa rileva che non si può confondere il momento dell'approvvigionamento della sostanza con quello dello smercio o per meglio dire, delle condotte di cessione che caratterizzano le dinamiche operative della medesima associazione e che devono per legge rappresentare il momento qualificante ai sensi dell'art. 73 comma 5 e 74 comma 6 dpr 309/90. Considerato in diritto I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati. La corte territoriale minorile ha correttamente applicato i principi espressi da questa corte di legittimità in materia di associazione diretta alla diffusione di sostanze stupefacenti, secondo cui l'associazione sussiste, anche quando il vincolo associativo poggia sul rapporto che accomuna, in maniera durevole, il fornitore della sostanza e gli spacciatori, sempre che vi sia consapevolezza di operare nell'ambito di un'unica associazione e di contribuire alla realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga Sez. II, 23.1.2013, n. 6261, Rv 254498 . Nel caso di specie va ricordato che la struttura associativa è emersa nella sua nitidezza, grazie al controllo telefonico, in capo a Bo.Gi. , R.G. e A.A. , operante il commercio di stupefacente, suddiviso per tipologia, in consistenti quantità struttura organizzata ed armata, che si avvaleva di un gruppo di minori, composto dagli imputati ricorrenti, per quanto riguarda la diffusione dello stupefacente sulle piazze del centro di , in orari per lo più notturni. Al dato risultante dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, si aggiunse l'esito di controlli di polizia che portarono a controllare il B. , unitamente al P. , subito dopo essere stati chiamati per operare le consegne ancora dal controllo telefonico di poteva accertare che i due si erano liberati dello stupefacente, prima di essere portati in casera. Quanto a B. , va detto che le doglianze mosse in termini di violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione non possono essere condivise, avendo i giudici del merito dato conto di una continuità di contatti che passava attraverso il controllo del 23.10.2007, attraverso le telefonate del 28 e del 31 ottobre 2007 dalle evidenze così acquisite si è potuto evincere che il B. offrì la sua collaborazione stabile continuativa, ben consapevole dell'esistenza di un gruppo al quale dava conto, come diede conto, non appena venne rilasciato nell'occasione di cui sopra e con cui continuò ad avere contatti nella fase in cui si trovava agli arresti domiciliari dal 29.10.2007. I segmenti di condotta che sono stati valorizzati dai giudici di merito consentono di istituire un legame continuativo tra il B. ed il gruppo per conto del quale diffondeva lo stupefacente, considerato che sono dimostrativi di un rapporto non nato sul momento, bensì di un rapporto di fiducia già altrimenti verificato sul campo, tanto che nel corso di un telefonata tra P. e Bo. i due si dolsero del fatto che il B. fosse agli arresti e quindi non si potesse fare conto sulla sua collaborazione preziosa, data la provata affidabilità . L'identificazione del Ro. nel B. seguiva, come l'identificazione degli altri imputati, al riconoscimento vocale da parte dell'operatore di Polizia, nonché da una serie di elementi analiticamente esplicitati nella sentenza di primo grado, che non erano stati contestati e che consentivano di pervenire all'attribuzione in modo certo delle voci captate ai singoli imputati. Nessuna forzatura è quindi dato cogliere in termini di logicità del percorso ricostruttivo, essendo stati valorizzati indici di sicura conducenza, né in termini di non corretta applicazione del parametro normativo di riferimento, essendo stata seguita la linea interpretativa suindicata. Anche per quanto riguarda M. , i plurimi motivi di ricorso non possono essere condivisi, atteso che la sua identificazione si consolidò con il controllo operato il 27.10.2007, come colui che utilizzava una vecchia vespa a cui si fece più volte riferimento nel corso delle comunicazioni ascoltate a distanza non solo, ma lo stesso risultava operare insieme ad Au. e risultò aver concorso con questi in alcuni episodi di infedeltà, contrassegnati dalla sottrazione di stupefacente, che determinarono una violenta reazione del gruppo criminale, per mano del Bu. che aveva affidato loro lo stupefacente per lo smercio per sfortuna loro i due vennero poi controllati dalle forze dell'ordine e M. dopo esser stato rilasciato relazionò dettagliatamente il Bo. , ricevendo da un lato i complimenti per la condotta tenuta e per l'altro verso il suggerimento a tenersi lontano per qualche tempo dal gruppo per motivi di sicurezza, incontrando peraltro la reazione del M. , che manifestò invece la ferma volontà a continuare a lavorare per la compagine, chiaro ed indiscusso segnale della consapevolezza della realtà di gruppo. Tali evidenze sono state correttamente ritenute in entrambi i gradi di giudizio evocative di un legame consapevole, stabile, non occasionale, di talché il discorso giustificativo che ha fatto perno su dette emergenze non può essere censurato per difetto di logicità, né per non corretta applicazione del disposto normativo. L'apporto consapevolmente fornito doveva essere interpretato come contributo causale alla operatività del gruppo criminale sul florido mercato della sostanza stupefacente. Gli argomenti sviluppati dalla difesa, quanto al fatto che il M. non venne castigato come lo fu Au. , una volta scoperta la sottrazione di sostanza, ovvero il fatto che il nome del M. non fosse stato annotato dagli altri associati, sono argomenti di puro fatto che non hanno alcuna incidenza sulla tenuta logica della motivazione, in ordine alla partecipazione al gruppo organizzato. Del resto questa Corte ha insegnato che per la configurabilità dell'associazione dedita al narcotraffico non è richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale Sez. VI, 16.2.2012, n. 11733, Rv 252232 . Nessuna genericità è poi dato cogliere nel capo di imputazione sub b e c , avendo operato il M. come soggetto a disposizione del gruppo per la diffusione di qualsivoglia tipo di stupefacente, considerato l'ampio mercato che è stato provato essere gestito, suddiviso in settori a seconda del tipo di stupefacente trattato e gli elementi a supporto sono stati offerti dall'esito delle conversazioni ascoltate a distanza, di inequivoco significato. Quanto alla maturità del ricorrente, la corte ha adeguatamente rilevato la mancanza di qualsivoglia indice indicativo di anomalie psichiche in capo agli imputati, tali da comportare pregiudizio alle loro capacità di orientamento in modo libero e consapevole, nonché di cogliere il disvalore sociale dei reati contestati, mettendo in luce come dalle emergenze disponibili si abbia contezza della capacità degli stessi di autodeterminarsi, senza subire più di tanto la soggezione nei confronti del Bo. . Il discorso giustificativo è stato completo ed adeguato, non esponendosi alla censura in termini di carenza che è stata avanzata. Quanto infine alla pena, deve essere sottolineato che la sentenza ha stabilito una pena minima, diminuita sia per la minore età, che per le circostanze attenuanti generiche, contenendo l'aumento per la continuazione, con il che la valutazione operata non si presta ad alcun appunto. Quanto al N. ed al P. , le comuni doglianze avanzate non colgono nel segno, in quanto nella motivazione della sentenza è stato fatto corretto riferimento ancora una volta alle conversazioni ascoltate a distanza, che disegnavano la posizione del P. come quella di soggetto a stretto contatto con il Bo. , tanto da avere preso il posto di R.G. , una volta che questi si allontanò dal gruppo, da essere venuto a conoscenza del luogo in cui lo stupefacente era nascosto, da poter interloquire sul prezzo da praticare, da intrattenere rapporti con A.A. e G.C. , membri dell'associazione, nonché tanto da partecipare alla spedizione punitiva ai danni dell'Au. . Il suo coinvolgimento in attività di programmazione ed esecuzione dell'attività diffusiva dello stupefacente veniva considerato oltre che la prova della commissione di reati fine, il caposaldo probatorio della sua adesione alla compagine associativa ed al programma delinquenziale. Parimenti per quanto riguarda il N. , la corte ha evidenziato come il medesimo abbia intrattenuto rapporti con vari sodali, abbia svolto indefessamente il ruolo di pusher per conto del gruppo, discutendo su clienti e prezzi con Bo. ed A. , riscuotendo fiducia, tanto da aver avuto l'incarico di svolgere il ruolo di referente sul nuovo pusher, che era stato nel frattempo arruolato. Tali dati sono stati correttamente valutati, senza forzature, come espressivi di continuità, di incondizionata disponibilità ad operare per conto di una realtà di gruppo, in cui il medesimo di sentiva coinvolto in ruolo via via sempre più di rilievo. Il discorso giustificativo non si espone pertanto ad alcuna critica. Quanto alla mancata valutazione della ipotesi associativa prevista dal comma sesto dell'art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, ancora corretta è stata la valutazione dei giudici del merito, che si sono orientati secondo i principi interpretativi elaborati da questa Corte, che ha indicato quale imprescindibile condizione, che tutte le singole condotte commesse in attuazione del programma criminoso siano sussumibili nella fattispecie dei fatti di lieve entità e di minima offensività previsti dall'art. 73, comma quinto, del medesimo dpr 309/90 Sez. I, 19.12.2012, n. 4875, Rv 254194 . Una realtà in questi termini non risultava ricorrente, considerata la natura del commercio intrapreso dal gruppo dei maggiorenni, la rilevanza degli interessi economici in gioco, la molteplicità delle specie di stupefacente trattato erba, pillole, cocaina , che non consentivano di valutare di lieve entità l'attività intrapresa. In conclusione, i ricorsi vanno quindi rigettati. Ai sensi del d.Lgs. 28 luglio 1989, n. 272, art. 29, la persona minore degli anni diciotto al momento del fatto è esentato dalle spese processuali in caso di soccombenza. Non può quindi seguire la condanna alle spese. P.Q.M. Rigetta i ricorsi.