Il rispetto della distanza legale a tutela del diritto di veduta presuppone che l’inspectio e la prospectio siano esercitabili in condizioni di comodità e sicurezza.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 18910/12, depositata il 5 novembre. Il caso. Due coniugi chiedono la condanna all’arretramento della costruzione del vicino alla distanza legale di almeno tre metri rispetto al parapetto perimetrale del lastrico solare, a tutela dell’esercizio del diritto di veduta. La loro domanda, tuttavia, non trova accoglimento nei due gradi di merito e la causa è pertanto sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità. Inspectio e prospectio. I ricorrenti censurano anzitutto le motivazioni che hanno portato i Giudici d’Appello a escludere che fosse possibile il comodo affaccio, cioè la possibilità di guardare verso il fondo dei vicini di fronte, obliquamente o lateralmente in condizioni di sicurezza. A giudizio degli Ermellini, però, è inconfutabile che le oggettive caratteristiche del parapetto in questione alto 90 cm e spesso 20 cm non permettano l’esercizio dell’inspectio e della prospectio con sufficiente comodità e sicurezza. Perché non c’è sicurezza. L’altezza del muretto in questione, infatti, corrisponde più o meno a quella del «basso ventre» di una persona di ordinaria statura, così da non consentire la protezione del «petto» della stessa nell’eventuale affaccio. Tale considerazione, secondo la S.C., risulta sufficiente a escludere il requisito della sicurezza, a prescindere da ogni valutazione in merito alla rilevanza dello spessore del parapetto. Per accertarlo basta la comune esperienza. Con un secondo motivo, i coniugi censurano sotto vari profili il richiamo ad alcune fonti normative operato dai giudici di merito in particolare, essi contestano il riferimento alle disposizioni concernenti la sicurezza sul lavoro, che impongono un’altezza minima di un metro per i parapetti nei cantieri. Tale elemento, tuttavia, è stato usato quale mero elemento di comparazione, dal momento che l’insufficiente altezza del muretto è stata adeguatamente motivata dai giudici di merito sulla base di riscontri fondati sulla comune esperienza. Per questi motivi la Cassazione respinge il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 26 settembre – 5 novembre 2012, numero 18910 Presidente e Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con sentenza del 14.3.01 il Tribunale di Trani, sez. dist. di Andria, a conclusione del giudizio instaurato con ricorso per denunzia di nuova opera del 15.12.95 dai coniugi G.L. e L.R. , cui aveva fatto seguito, con citazione del 27.5.96, la domanda possessoria, di condanna all’arretramento, con risarcimento dei danni, della costruzione realizzata dal vicino Lo.Anumero , alla distanza legale di almeno tre metri rispetto al parapetto perimetrale del lastrico solare del fabbricato degli attori, a tutela dell'assunto esercizio della veduta verso il fondo del convenuto,ritenuto che nel caso di specie non fossero configurabili i necessari estremi dell’inspectio e della prospectio in alienum, rigettava la suddetta domanda, disattendendo altresì quelle riconvenzionali che non mette conto menzionare, in quanto non riproposte in appello proposte dal convenuto. La suddetta decisione veniva confermata, con condanna degli appellanti G. - L. alle spese del grado, dalla Corte di Bari, con sentenza del 30/3 - 28/4/05, ribadendo che, nella specie, le oggettive caratteristiche risultate dalle espletate consulenze tecniche del parapetto in questione, in ragione della ridotta altezza cm. 90 e dell'esiguo spessore cm. 20 del muretto perimetrale del lastrico, non fossero idonee a consentire il comodo affaccio, vale dire la possibilità di guardare non solo frontalmente,ma anche obliquamente e lateralmente, verso il fondo dei vicini, in condizioni di sufficiente sicurezza. Sotto quest'ultimo profilo, la corte citava l'articolo 26 co. 1 lett. b del D.P.R. numero 547/1955, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro,prescrivente per i parapetti nei cantieri di lavoro l'altezza minima di mt. 1 ed analoghe disposizioni contenute nel D.M. numero 236/89 ed in una circolare del 1965 del Ministero dei Lavori Pubblici. Avverso tale sentenza i soccombenti G. - L. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati con successiva memoria. Ha resistito l'intimato Lo. con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 900, 905 e 907 c.c., nonché insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, censurandosi la ratio decidendi in narrativa riportata, per contrarietà ai principi giurisprudenziali in materia di affaccio ed ai criteri della logica e della comune esperienza, deducendosi in particolare l'inadeguatezza ed opinabilità del criterio rapportato alla statura delle persone, tenuto conto della variabilità della stessa, e l'incomprensibilità di quello relativo allo spessore del muretto. Il motivo va disatteso risolvendosi nella confutazione di una valutazione che i giudici di merito, in primo ed in secondo grado, hanno adeguatamente motivato, partendo dalla corretta premessa, secondo cui per configurarsi gli estremi di una veduta ai sensi dell'articolo 900 u.p. c.c, conseguentemente, soggetta alla regole di cui ai successivi articolo 905 e 907, è necessario che le c.d. inspectio et prospectio in alienum, vale a dire le possibilità di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente , siano esercitagli in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza al riguardo v., tra le altre, Cass. nnumero 5904/81, 3265/87, 7267/03 , ed escludendo in concreto,sulla scorta di ragionevoli considerazioni basate, ex articolo 115 co. 2 c.p.c., su nozioni di comune esperienza, che tali condizioni ricorressero nel caso di specie, in cui il muretto perimetrale del terrazzo è risultato essere alto soltanto cm. 90. La sola considerazione,basata su un dato di oggettiva inconfutabilità, che tale altezza corrisponda, più o meno, a quella del basso ventre di una persona di ordinaria statura da intendersi, come già è stato precisato da questa Corte, compresa tra i limiti minimi e massimi che normalmente si registrano nell'ambito della popolazione, e non necessariamente coincidente con la media di tali valori v. sent. nnumero 76267/93, 3285/87 così da non consentire l'adeguata protezione del petto della stessa nell'eventuale affaccio che comporterebbe intuibili e pericolosi sbilanciamenti in avanti dell'osservatore , risulta di per sé sola sufficiente ad escludere il requisito della sicurezza,a prescindere dalla rilevanza o meno dell'esiguità dello spessore del muretto in questione, manufatto che per la sua ridotta elevazione rispetto al pavimento neppure può definirsi un parapetto . Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli articolo 8.1.8 D.M. 14.6.89 numero 236, 54 Circomma 27.6.65 numero 86 ter Minumero L.L.P.P., 26 co.1 D.P.R. 547/55 e connessi vizi della motivazione, si censura, sotto vari profili indebita applicazione, anche retroattiva, ai rapporti civilistici, di disposizioni rispondenti alle diverse esigenze della sicurezza nel lavoro, assenza di contenuto normativo esterno della circolare, mancata considerazione di norme di segno diverso contenute nel citato D.P.R. , il richiamo alle suddette fonti. Il motivo va disatteso,per difetto di rilevanza,non avendo la Corte d'Appello affermato la diretta applicabilità alla controversia delle disposizioni in questionerà soltanto indicato le stesse quali elementi comparativi e di indiretto riscontro della valutazione, già di per sé adeguatamente motivata sulla base della comune esperienza, basata sull'insufficiente altezza del muretto di recinzione del terrazzo, inidoneo a consentire l'affaccio,in particolare la prospectio, in condizioni di sicurezza. Pertanto la censura,attenendo ad un argomento aggiuntivo esposto in funzione meramente rafforzativa di quello principale, di per sé solo decisivo, non risultando essenziale ai fini della motivazione della decisione, è inammissibile. Il ricorso va conclusivamente respinto. Le spese,infine,seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, in misura di complessivi Euro 2.500,00, di cui 200 per esborsi.