Il rapporto di lavoro può cessare solo per cause tipiche

L’atto di recesso datoriale non può qualificarsi in termini diversi dal licenziamento, non essendo configurabili cause estintive del rapporto di lavoro a tempo indeterminato diversa da quelle individuate e disciplinate dall’ordinamento.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 24181 del 25 ottobre 2013. Il caso. La Corte di Appello di Cagliari, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda con cui l’ex dipendente di una nota compagnia aerea lamentava l’illegittimità del recesso, comunicatole in seguito alla perdita da parte del proprio datore di lavoro della tratta Milano/Cagliari. In particolare, successivamente al mancato rinnovo della tratta, la società aveva concluso con un soggetto terzo un accordo - sottoscritto a livello sindacale con l’intervento del Ministero dei trasporti – in base al quale il personale occupato nello scalo di Cagliari sarebbe passato alle dipendenze di quest’ultimo, con salvaguardia dell’inquadramento e del trattamento economico acquisito e con liquidazione del TFR maturato. In virtù di tale accordo, la resistente aveva quindi comunicato ai 37 dipendenti interessati, a mezzo telegramma, l’impossibilità di utilizzare ulteriormente la loro prestazione lavorativa. Comunicazione che veniva ritenuta illegittima dalla ricorrente - pur passata alle dipendenze del nuovo datore di lavoro - per la mancata osservanza della procedura di cui alla Legge numero 223/1991. Ad avviso dei Giudici di secondo grado la domanda della lavoratrice era infondata atteso che, nella specie, non era configurabile alcun licenziamento collettivo, bensì un «licenziamento in attuazione dell’accordo» intervenuto con il terzo subentrato. Questa circostanza rendeva superflua l’osservanza «della procedura prevista dalla legge finalizzata alla conclusione di un accordo per evitare licenziamenti ed attenuarne gli effetti, non essendovi ragione di consultare i sindacati per liberarsi di personale passato alle dipendenze di altra impresa». Concludeva la Corte di Appello affermando che l’osservanza della procedura de quo sarebbe stata necessaria solo nell’ipotesi in cui i lavoratori non avessero accettato l’accordo concluso con i sindacati, circostanza a suo avviso non ipotizzabile rispetto alla lavoratrice-ricorrente, la quale non aveva contestato immediatamente il licenziamento prestandovi così tacitamente acquiescenza , aveva accettato il TFR e prestato subito servizio presso il nuovo datore di lavoro nonché, una volta vittoriosa all’esito della pronuncia di primo grado, immediatamente optato per l’indennità sostitutiva della reintegrazione «mostrando così il carattere speculativo dell’impugnazione». Contro tale pronuncia la lavoratrice proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Il recesso datoriale è sempre licenziamento. Per quel che qui interessa, la ricorrente lamentava una violazione di legge da parte della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che il telegramma datoriale non integrasse un licenziamento, posto che nel nostro ordinamento «non sono ammissibili fattispecie estintive del rapporto di lavoro non sottoposte ai limiti generali del sistema dei licenziamenti». Lamentava inoltre come, nella specie, non fosse nemmeno ravvisabile alcuna risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o una sua cessione ad altra azienda, atteso che in entrambi i casi mancava una inequivocabile accettazione della lavoratrice. Motivi che vengono condivisi dalla Corte di Cassazione la quale, in virtù del principio esposto in massima, ritiene che la comunicazione datoriale diretta a far cessare il rapporto di lavoro non possa che qualificarsi come licenziamento il quale, coinvolgendo 37 lavoratori, doveva essere effettuato nel rispetto delle procedure previste dalla Legge numero 223/1991. Attesa la documentale obliterazione di tali adempimenti, il recesso in esame non poteva che considerarsi illegittimo con le conseguenze di cui all’articolo 18 Stat. lav. La risoluzione consensuale deve essere dimostrata attraverso un comportamento chiaro ed univoco. Nemmeno nel caso di specie era ipotizzabile una risoluzione consensuale del rapporto o una acquiescenza della lavoratrice al provvedimento datoriale, atteso che non risultava l’esistenza di una «chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo», la cui prova non fornita gravava sul datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 giugno - 25 ottobre 2013, numero 24181 Presidente Stile – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 23 luglio 2010 la Corte d'Appello di Cagliari, in riforma della sentenza del Tribunale, ha respinto la domanda proposta da P F. , dipendente della compagnia aerea Meridiana come impiegata di terzo livello presso l'Aeroporto di omissis , volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato con telegramma del 22 febbraio 2002. La Corte territoriale ha osservato che nel dicembre 2001 la compagnia aerea Meridiana aveva perso la tratta omissis assegnata alla società Air One, con conseguente possibilità per l'azienda di licenziare il personale addetto allo scalo di ., avendo, tra l'altro, la società pochi mesi prima denunciato lo stato di crisi con esubero di 152 dipendenti su scala nazionale. La Corte ha, poi, esposto che a seguito di trattative a livello sindacale e con intervento del ministro dei trasporti, la società aveva concluso un accordo che prevedeva che il personale addetto allo scalo di ., con esclusione di cinque funzionali supervisori, sarebbe passato alle dipendenze della società Air One per il tramite della società EAS con salvaguardia dei livelli economici acquisiti, con liquidazione del trattamento di fine rapporto salva richiesta di trasferimento alla nuova azienda che a seguito di detto accordo Meridiana con telegramma del 17 febbraio 2002 aveva comunicato ai 37 dipendenti operanti presso l'aeroporto di . l'impossibilità di utilizzare ulteriormente la loro prestazione tenuto conto dell'obbligo della società Air One di procedere immediatamente all'assunzione che la F. era transitata pertanto alla società Air One mantenendo inalterato il trattamento retributivo ma aveva impugnato il licenziamento lamentando l'inosservanza della procedura di cui alla legge 223 del 1991. Secondo la Corte territoriale non era configurabile un licenziamento collettivo, ma un licenziamento in attuazione dell'accordo intervenuto con Air One che infatti in base a detto accordo non vi era più necessità di procedere a una riduzione di personale e all'osservanza della procedura prevista dalla legge finalizzata alla conclusione di un accordo per evitare licenziamenti e attenuarne gli effetti, non essendovi ragione di consultare i sindacati per liberarsi di personale passato alle dipendenze di altra impresa. Ha osservato altresì che l'osservanza della procedura di licenziamenti collettivi sarebbe stata necessaria qualora i lavoratori non avessero accettato l'accordo concluso con i sindacati che invece la stessa ricorrente non aveva contestato immediatamente il licenziamento facendovi acquiescenza, aveva ricevuto il trattamento di fine rapporto e prestato immediatamente servizio con la nuova società che inoltre non era fondata la giustificazione fornita dalla lavoratrice secondo cui non era indifferente lavorare per una società o per un'altra atteso che la società Meridiana non risultava affatto solida che la ricorrente non aveva alcun interesse a rimanere alle dipendenze di Meridiana tanto che, ottenuta la sentenza di reintegra, avevo optato per l'indennità sostitutiva pari a 15 mensilità mostrando il carattere speculativo dell'impugnazione del licenziamento. Avverso la sentenza propone ricorso in Cassazione la lavoratrice formulando tre motivi. La società Meridiana è rimasta intimata. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'articolo 2118 cc, degli articoli 1 e 3 della legge numero 604 del 1966, dell'articolo 24 della legge numero 223 del 1991, nonché omessa insufficiente motivazione. Lamenta che la Corte d'appello ha erroneamente ritenuto che il telegramma del 22 febbraio 2002 non costituisse un licenziamento. Osserva che un atto di recesso del datore di lavoro non possa qualificarsi in termini diversi da licenziamento e che non sono ammissibili fattispecie di estinzione del rapporto di lavoro non sottoposte ai limiti generali del sistema dei licenziamenti. Rileva che la Corte d'appello ha omesso di motivare circa l'inidoneità della documentazione e della condotta aziendale a costituire chiara manifestazione della volontà di licenziare. Con il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 1321, 1372 e dell'articolo 1406 cc, dell'articolo 5 della legge numero 223 del 1991 e dell'articolo 18 della legge numero 300 del 1970, nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione. Osserva che la Corte d'Appello, dopo aver affermato che l'atto di recesso di Meridiana non poteva essere qualificato come licenziamento, in modo contraddittorio aveva affermato che si trattava di un licenziamento in attuazione dell'accordo sul passaggio di personale , introducendo in tal modo una fattispecie nuova di recesso. Osserva, inoltre, che non era ravvisabile una risoluzione consensuale del contratto di lavoro ovvero una cessione dello stesso contratto ad altra azienda, atteso che in entrambi i casi mancava un'espressa ed inequivoca volontà di accettazione da parte della lavoratrice non desumibile dal impugnazione del licenziamento dopo circa due mesi ma nel rispetto del termine di decadenza, dalla percezione del TFR per esclusiva volontà del datore di lavoro, dalla mancata iscrizione della ricorrente alle organizzazioni sindacali firmatarie che avrebbe imposto la necessità di un'esplicita volontà di accettare l'accordo, dalla percezione delle 15 mensilità per rinunciare alla reintegra trattandosi facoltà prevista dalla legge. Con il terzo motivo denuncia violazione dell'articolo 24 della legge numero 223 del 1991 nonché omessa insufficiente motivazione. Rileva che il licenziamento non può essere che qualificato come collettivo con conseguente necessità di applicare la legge numero 223 del 1991. La circostanza che Meridiana aveva raggiunto al di fuori della procedura di cui all'articolo 24 della legge del 1991 non poteva comportare una diversa qualificazione del licenziamento considerato in particolare che la ricorrente non era iscritta, né aveva conferito mandato alle organizzazioni sindacali. Il primo ed il secondo motivo sono fondati. Il terzo motivo resta assorbito. La sentenza impugnata è censurabile nella parte in cui ha ritenuto da un lato che il telegramma del 22/2/2002 inviato dalla soc Meridiana ai 37 dipendenti, addetti allo scalo di OMISSIS , non costituisse comunicazione di licenziamento per riduzione di personale da sottoporre alla normativa di cui alla L. 223/1991 e dall'altro lato, in modo contraddittorio, ha affermato che si trattava di un licenziamento in attuazione dell'accordo sul passaggio di personale alla soc. Air One, nuova concessionaria della tratta omissis . La Corte territoriale omette di valutare che l'atto di recesso del datore di lavoro non può qualificarsi in termini diversi dal licenziamento e che non sono configurabili cause estintive del rapporto di lavoro a tempo indeterminato differenti rispetto a quelle già individuate e disciplinate dall'ordinamento. Il recesso del datore di lavoro comunicato alla lavoratrice con il telegramma del 22/2/2002 non può essere qualificato che licenziamento e nella specie, coinvolgendo 37 dipendenti della soc Meridiana, è riconducibile al licenziamento collettivo disciplinato dalla L. numero 223/1991. La Corte territoriale, invece, ha ravvisato un'ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro diversa da quelle legislativamente disciplinate e tipizzate dal legislatore con un'evidente violazione di legge. Risulta, altresì, fondata la censura della ricorrente con riferimento all'affermazione della Corte territoriale dell'avvenuta accettazione da parte della lavoratrice dell'accordo concluso dai sindacati comportante il passaggio alle dipendenze di una diversa società. Le censure della ricorrente secondo cui non era ravvisabile una risoluzione consensuale del contratto di lavoro ovvero una cessione dello stesso contratto ad altra azienda sono fondate. La motivazione della sentenza impugnata appare, sul punto, insufficiente nel ravvisare un'espressa ed inequivoca volontà di accettazione da parte della lavoratrice desumendola dall'impugnazione del licenziamento dopo circa due mesi, senza valutare che, comunque, era stato rispettato il termine di decadenza o dalla percezione del TFR, sebbene ciò fosse avvenuto per esclusiva iniziativa del datore di lavoro o, ancora, dalla percezione delle 15 mensilità per rinunciare alla reintegra pur trattandosi di facoltà prevista dalla legge ed avvenuta dopo anni dalla comunicazione del licenziamento. Non risulta, pertanto, adeguatamente motivata l'esistenza di un'esplicita volontà della F. di accettare l'accordo tenuto conto, tra l'altro, che la ricorrente non risulta neppure aderente alle organizzazioni sindacali firmatarie. Affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo e, comunque, grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro v. ad es. Cass. 2-12-2002 numero 17070 . Per le ragioni che precedono il primo ed il secondo motivo del ricorso devono trovare accoglimento restando assorbito il terzo relativo alla necessaria applicabilità al licenziamento in esame della normativa di cui alla L. numero 223/1991. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Cagliari, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della controversia in base ai rilievi e alla stregua dei principi sopra menzionati. Il medesimo giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbito il terzo cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Cagliari in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.