La distinzione tra il contratto di associazione in partecipazione e il contratto di lavoro subordinato è individuata dalla presenza di specifici elementi che caratterizzano le due forme contrattuali, ovvero l’obbligo di rendiconto e il rischio d’impresa per l’associato nel primo caso, il vincolo di subordinazione, esplicato nel potere gerarchico e disciplinare, nel secondo.
Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 2371/15, depositata il 9 febbraio. Il caso. La Corte d’appello di Perugia riformava la sentenza del Tribunale di Orvieto rigettando la domanda volta ad accertare la natura di lavoro subordinato del rapporto tra l’attore ed una S.numero c., formalmente in essere come associazione in partecipazione, proposta al fine di qualificare il recesso della società come licenziamento illegittimo, con le conseguenze previste dalla legge. La sentenza di secondo grado viene impugnata in Cassazione, lamentando il mancato riconoscimento della presunzione legale di subordinazione ove manchi l’effettiva partecipazione del lavoratore oppure una sua partecipazione agli utili. I caratteri dell’associazione in partecipazione La Suprema Corte non riscontra alcun vizio nell’argomentazione logico – giuridica che ha portato i giudici di merito ad escludere la natura subordinata del rapporto posto in essere dalle parti. In particolare, la Corte ha individuato le caratteristiche tipiche dell’associazione in partecipazione, con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato, nell’ampia autonomia nello svolgimento delle mansioni quotidiane del lavoratore, nella mancanza di un controllo sulla sua presenza da parte della società, nell’assenza di vincoli di orario, nella possibilità di avvalersi di terzi collaboratori, nell’assenza di un potere direttivo e disciplinare nonché nell’accesso alle scritture contabili ed infine nella presenza di un rischio d’impresa per l’associato. e del lavoro subordinato. La diversa fattispecie del rapporto di lavoro subordinato è caratterizzata invece dalla soggezione del lavoratore al vincolo di subordinazione del datore di lavoro, che si esteriorizza nel potere gerarchico e disciplinare. A ciò si aggiunga la considerazione circa le effettive modalità di esplicazione del potere organizzativo e direttivo della parte datoriale che non consiste in mere direttive di ordine generale, ma si concretizza in ordini specifici, reiterati e intrinsecamente inerenti alla posizione lavorativa, con effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale. L’irrilevanza delle disposizioni antielusive del d.lgs. 276/03. Un’altra considerazione dei giudici di legittimità riguarda l’irrilevanza, in tema di individuazione della natura del contratto, della qualificazione del rapporto ai fini dell’applicabilità dell’articolo 86, comma 2, d.lgs. numero 276/03, norma peraltro abrogata dalla l. numero 92/12. Tale disposizione prevede che, al fine di evitare fenomeni elusivi delle norme legali o contrattuali, in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a favore del lavoratore, quest’ultimo ha diritto ai trattamenti economici più favorevolmente previsti dal corrispondente contratto collettivo. La giurisprudenza ha già avuto modo di negare l’introduzione, ad opera della norma citata, di una forma di conversione legale del contratto di associazione in partecipazione in contratto a lavoro subordinato, avendo essa mere finalità antielusive e integrative della disciplina dell’associazione in partecipazione. Ne consegue che la verifica dei presupposti richiesti non comporta la prova della natura di lavoro subordinato del rapporto, il cui accertamento resta di competenza esclusiva del giudice di merito, presupponendo un più complesso tema di indagine circa le concrete modalità applicative del rapporto. Considerando infine che la qualificazione formale del rapporto effettuata dalle parti, pur non essendo decisiva, impone al giudice un accertamento più rigoroso delle circostanze che caratterizzano in concreto il rapporto medesimo, la S.C. esclude qualunque profilo di sindacabilità della motivazione della sentenza di merito impugnata, la quale ha correttamente applicato i principi giurisprudenziali indicati. Per questi motivi, il ricorso viene rigettato, con condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 ottobre 2014 – 9 febbraio 2015, numero 2371 Presidente Roselli – Relatore Buffa Fatto e diritto 1. Con sentenza 17/8/2011, la corte d'appello di Perugia, in riforma della sentenza del 13/3/2010 del tribunale di Orvieto, ha rigettato la domanda proposta contro la Metan petroli snc, volta a far qualificare il rapporto in essere, formalmente di associazione in partecipazione, come lavoro subordinato, e conseguentemente a far qualificare il recesso come licenziamento disciplinare, con ogni conseguenza di legge. In particolare, la corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dei caratteri dell'associazione di partecipazione ed in ogni caso non dimostrati gli estremi del rapporto di lavoro subordinato ed in particolare la soggezione del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro . 2. Avverso tale sentenza ricorre l'assodato per un motivo, cui resiste l'associante con controricorso, illustrato da memoria. 3. Con unico motivo di ricorso - ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. - si deduce violazione degli articoli 2094, 2549, 2697 c.c., 86 d.lgs. 276/03, 35 Cost., per aver trascurato che la legge su richiamata presume la subordinazione ove manchi l'effettiva partecipazione del lavoratore o adeguate erogazioni in suo favore da intendersi quale partecipazione agli utili e diritto al rendiconto . 4. Il motivo è infondato. La corte territoriale ha - con motivazione ampia, adeguata e corretta - esaminato i caratteri della fattispecie tenendo conto degli elementi di fatto invocati dall'assodato, ed ha conduso — all'esito di istruttoria apposita - ritenendo effettiva l'assodazione in partedpazione. In particolare, la corte ha valorizzato che l'associato aveva ampia autonomia per quanto riguardava l'approvvigionamento dei carburanti e la gestione del rapporto con i fornitori, la fissazione dd prezzi e delle condizioni di vendita, la riscossione dei corrispettivi, la concessione di dilazioni di pagamento ai clienti, senza che l'assodante operasse alcun controllo sulle presenze degli associati o si ingerisse nelle modalità di conduzione e gestione dell'impianto mentre per altro verso la corte ha dato rilievo all'assenza di vincoli di orario o di presenza, alla possibilità di concordare con l'altro assodato i turni di presenza, alla possibilità di farsi sostituire o aiutare da terzi da loro direttamente reclutati e retribuiti, nonché all'assenza di soggezione del lavorante al potere direttivo e disdplinare della controparte secondo la dedsione impugnata, anzi, nella specie gli associati avevano accesso ai dati contabili e ricevevano periodicamente comunicazioni dall'associante circa i risultati della gestione, potendo altresì — come avvenuto in alcune occasioni - contestare il bilancio, ed in ogni caso essi partecipavano agli utili ed alle perdite secondo l'andamento dei singoli esercizi. 5. Tale valutazione è del tutto rispettosa dei principi indicati da questa Corte - ed ai quali va data continuità - in ordine alla distinzione tra il rapporto di associazione in partecipazione e il rapporto di lavoro subordinato, essendosi precisato in tema di distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell'impresa tra le altre, Sez. L, Sentenza numero 24871 del 08/10/2008, Rv. 605042 Sez. L, Sentenza numero 2693 del 24/02/2001, Rv. 544158 , che la riconducibilità del rapporto all'uno o all'altro degli schemi predetti esige un'indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l'obbligo del rendiconto periodico dell'assodante e l'esistenza per l'associato di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell'assodante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare della persona o dell'organo che assume le scelte di fondo dell'organizzazione dell'azienda. Peraltro, va evidenziato con Sez. L, Sentenza numero 24871 del 08/10/2008, Rv. 605042 che la riconducibilità del rapporto all'uno o all'altro degli schemi predetti esige un'indagine del giudice di merito - volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti - il cui accertamento, se adeguatamente e correttamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità. Si è altresì affermato Sez. L, Sentenza numero 20002 del 07/10/2004, Rv. 577560 che l'elemento idoneo a caratterizzare il rapporto di lavoro subordinato e a differenziarlo da altri tipi di rapporto quali quello di lavoro autonomo, la società o l'associazione in partecipazione con apporto di prestazioni lavorative è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, tenendo presente che il potere direttivo non può esplicarsi in semplici direttive di carattere generale compatibili con altri tipi di rapporto , ma deve manifestarsi in ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e che il potere organizzativo non può esplicarsi in un semplice coordinamento anch'esso compatibile con altri tipi di rapporto , ma deve manifestarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale la medesima sentenza ha inoltre evidenziato che la qualificazione formale del rapporto effettuata dalle parti al momento della conclusione del contratto, pur non essendo decisiva, non è tuttavia irrilevante e pertanto, qualora a fronte della rivendicata natura subordinata del rapporto venga dedotta e documentalmente provata l'esistenza di un rapporto di associazione in partecipazione, l'accertamento dd giudice di merito deve essere molto rigoroso potendo anche un assodato essere assoggettato a direttive e istruzioni nonché ad un'attività di coordinamento latamente organizzativa e non trascurare nell'indagine aspetti sicuramente riferibili all'uno o all'altro tipo di rapporto quali, per un verso, l'assunzione di un rischio economico e l'approvazione di rendiconti e, per altro verso, l'effettiva e provata soggezione al potere disciplinare del datore di lavoro. 6. Né può rilevare in questa sede l'articolo 86 co. 2 d.lgs. 276/2003, nel testo vigente prima dell'abrogazione dettata dalla l. 92 del 2012, secondo il quale, al fine di evitare fenomeni elusivi della disciplina di legge e contratto collettivo, in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività, o in mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il contratto di settore analogo, a meno che il datore di lavoro, o committente, o altrimenti utilizzatore non comprovi, con idonee attestazioni o documentazioni, che la prestazione rientra in una delle tipologie di lavoro disciplinate nel presente decreto ovvero in un contratto di lavoro subordinato speciale o con particolare disciplina, o in un contratto nominato di lavoro autonomo, o in altro contratto espressamente previsto nell'ordinamento. 7. La deduzione, infatti, presupponendo un rapporto di associazione con caratteristiche peculiari rispetto alle quali il legislatore appronta tutele minime distinte dalla conversione del rapporto , risulta del tutto distinta ed incompatibile con quella volta all'accertamento di un rapporto di lavoro subordinato si è infatti precisato da questa Corte Sez. L, Sentenza numero 2884 del 24/02/2012, Rv. 621259 che l'articolo 86, comma 2, del d.lgs. numero 276 del 2003, nel prevedere che in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione ed adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività , non ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di conversione legale del contratto di associazione in partecipazione in contratto a lavoro subordinato, ma ha soltanto previsto - in funzione integrativa della disciplina dell'associazione in partecipazione - che, ove il primo di tali contratti sia stato stipulato con finalità elusive delle norme di legge e di contrattazione collettiva a tutela del lavoratore, all'associato si applichino le più favorevoli disposizioni previste per il lavoratore dipendente. Ne consegue che la verifica della sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 86 del d.lgs. numero 276 del 2003 non comporta la prova dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il cui riscontro resta demandato al giudice di merito e presuppone un più complesso tema di indagine e di prova, mentre, ove il lavoratore abbia denunciato l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato dissimulato da una associazione in partecipazione, la successiva domanda diretta ad accertare la sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 86, comma 2, del d.lgs. numero 276 del 2003, è nuova e, come tale, inammissibile. 8. Nel caso, poiché non risulta ed è anzi espressamente contestato da controparte che il ricorrente abbia proposto domanda volta all'applicazione dell'articolo 86 cit. nel ricorso introduttivo della lite, sicché la stessa non è stata oggetto di cognizione da parte della sentenza impugnata, la questione non può qui essere esaminata in applicazione del principio su riportato. 9. Il ricorso va per quanto detto rigettato. 10. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro tremila per compensi ed Euro cento per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.