Dichiarazione dei redditi infedele: fu mero errore? Non spetta alla Cassazione stabilirlo

Il giudizio di legittimità ha lo scopo di controllare la corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di merito, volto a ricostruire i fatti oggetto di contestazione.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 9023/13, depositata il 25 febbraio. Il caso. Un contribuente condannato a sei mesi di reclusione per infedele dichiarazione dei redditi propone ricorso per cassazione, lamentando l’esistenza di un vizio motivazionale ex articolo 606, lett. e , c.p.p la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso che il ricorrente sia incorso in un mero «infortunio». La Cassazione non è giudice del fatto. Gli Ermellini ricordano, però, che il giudizio di legittimità ha lo scopo di controllare la corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di merito, volto a ricostruire i fatti oggetto di contestazione. Il nuovo testo della norma citata non autorizza affatto il ricorrente a fondare la propria richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo alla S.C. di ripercorrere l’intera vicenda oggetto di giudizio i giudici di legittimità, infatti, non possono rileggere gli elementi di fatto posti alla base della decisione. La pronuncia di merito è stata ben motivata. Nel caso di specie, gli Ermellini rilevano peraltro che la Corte territoriale ha ben motivato riguardo l’impossibilità di considerare la dichiarazione quale frutto di un mero errore, alla luce di una serie di anomalie sul piano documentale e tributario. Per questi motivi la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile e, ritenendo che il ricorrente sia versato in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo condanna altresì a pagare 1.000 euro alla Cassa delle ammende.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 dicembre 2012 – 25 febbraio 2013, numero 9023 Presidente Lombardi – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13/1/2012 la Corte di appello di Torino ha parzialmente modificato, concedendo le circostanze attenuanti generiche e rideterminando al pena in quattro mesi di reclusione, la sentenza del Tribunale di Ivrea che in data 2/11/2010 aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato per rimessione della querela in ordine ai reati contestati ai capi 1, 2 e 3 della rubrica e condannato l'imputato stesso alla pena di sei mesi di reclusione per il reato di infedele dichiarazione dei redditi contestato al capo 4 con riferimento all'anno d'imposta 2005. 2. Avverso tale decisione il sig. P. propone ricorso tramite il Difensore, in sintesi lamentando l'esistenza di un vizio motivazionale ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod.proc.penumero per avere la Corte di appello erroneamente escluso che il ricorrente sia incorso in una mero infortunio, cosa dimostrata, invece, sia dalla causale sia dalla data della fattura numero 139 del 14/12/2004. Considerato in diritto 1. In considerazione del contenuto dei motivi di ricorso la Corte deve osservare in via preliminare che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, numero 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini rv 203767 e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione numero 47289 del 2003, Petrella, rv 226074 . Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l'altro, dalla motivazione della sentenza numero 26 del 2007 della Corte costituzionale, che punto 6.1 , argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla legge numero 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è rimedio che non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito invece dall'appello . Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha la pienezza del riesame di merito che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell'articolo 606, lett. e c.p.p. non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l'intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio. Ancora successivamente alla modifica della lett. e dell'articolo 606 c.p.p. apportata dall'articolo 8, comma primo, lett. b della legge 20 febbraio 2006, numero 46, l'impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime decisioni di legittimità, a partire dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n,23419 del 23 maggio - 14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli rv 236893 e della Prima Sezione Penale, numero 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci rv 237207 . Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti fra tutte Sez. 6, numero 22256 del 26 aprile~23 giugno 2006, Bosco, rv 234148 . 2. L'applicazione di tali principi interpretativi al caso in esame impone di rilevare come i giudici di appello abbiano ritenuto convincente il ragionamento con cui il Tribunale aveva escluso l'esistenza di un mero errore. Osserva la sentenza impugnata che il mero errore deve escludersi alla luce di una serie di circostanze anomale sul piano documentale e tributario e non esclusivamente sulla base dell'oggetto della fattura contestata. Si è in presenza di valutazione di merito che, sostenuta da una motivazione né apparente né manifesta illogica, è sottratta al controllo del giudice di legittimità. 3. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.