Confisca per equivalente: quali utilità concorrono a determinare il prezzo del reato e quali vanno escluse?

In tema di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, l’utilità data o promessa al pubblico ufficiale come controprestazione per lo svolgimento dell’azione illecita costituisce inequivocabilmente prezzo del reato.

In applicazione di tale principio, il giudice di merito, nello stabilire l’entità delle somme soggette a confisca, dovrà tenere altresì in considerazione anche le utilità corrisposte dal corruttore, ferma restando l’esclusione delle utilità non conferite, direttamente od indirettamente, o non espresse in un valore determinato. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 712 del 10 gennaio 2014. Il caso. A seguito della emissione di un decreto di giudizio immediato nei suoi confronti per, tra gli altri, il reato di corruzione passiva propria, l’imputato B.E. patteggiava la pena e nei suoi confronti veniva disposta la confisca per equivalente dei beni sottoposti a sequestro, per un valore complessivo di € 15.000,00. Avverso tale decisione ricorreva per Cassazione il Procuratore della Repubblica di Grosseto, lamentando che la confisca per equivalente non andava limitata al prezzo della corruzione, ma doveva più genericamente comprendere ogni utilità derivante dai delitti di corruzione. La Quarta Sezione della Suprema Corte, in accoglimento del ricorso de quo , annullava in parte la sentenza impugnata, rinviando al Tribunale di Grosseto per un nuovo giudizio precipuamente finalizzato a determinare l’entità complessiva delle somme soggette a confisca. In sede di giudizio di rinvio, il Giudice per le indagini preliminari, all’esito di udienza camerale, ampliava l’oggetto della confisca nei termini richiesti dall’Organo Requirente. Avvero tale decisione ricorreva per Cassazione l’imputato, lamentando come le ulteriori somme oggetto di confisca per equivalente non sarebbero state in alcun modo a lui riconducibili ma, a contrario , sarebbero state riscosse da terzi soggetti. Il provvedimento impugnato veniva totalmente annullato, ma solo per incompetenza funzionale assoluta del Giudice che lo aveva adottato, avendo erroneamente il Tribunale di Grosseto agito quale giudice dell’esecuzione e non quale giudice del rinvio in prosecuzione del processo definito con la sentenza di patteggiamento solo in parte annullata. Pertanto, a seguito di nuova udienza camerale, il Giudice per le Indagini Preliminari di Grosseto ordinava la confisca dei beni dell’imputato sottoposti a sequestro preventivo sino alla concorrenza di € 56.637,40, in quanto somma complessivamente costituente il prezzo del reato. Avverso tale provvedimento l’imputato ricorreva per Cassazione, lamentando in primis erronea applicazione della legge penale e, specificamente, dell’art. 322 ter c.p. in secundis , difetto di motivazione, con precipuo riferimento alla determinazione della somma complessiva da confiscare. Le utilità costituenti prezzo del reato. La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, nell’accogliere il ricorso illo tempore avanzato dal Procuratore della Repubblica di Grosseto, ha avuto modo di chiarire come in tema di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, l’utilità data o promessa al pubblico ufficiale come controprestazione per lo svolgimento dell’azione illecita costituisce inequivocabilmente prezzo del reato donde, in applicazione di tale principio, il giudice di merito, nello stabilire l’entità delle somme soggette a confisca, dovrà tenere altresì in considerazione anche le utilità corrisposte dal corruttore, ferma restando l’esclusione delle utilità non conferite, direttamente od indirettamente, o non espresse in un valore determinato. La corretta nozione di prezzo del reato. La Seconda Sezione Penale della Suprema Corte Regolatrice, invece, ha rigettato in toto il ricorso dell’imputato B.E. . In effetti, i Supremi Giudici, uniformandosi al principio di diritto già espresso nella sentenza della Quarta Sezione con cui veniva accolto l’originario ricorso dell’Organo Requirente, specificano ulteriormente come la nozione di prezzo del reato ricomprende il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato. La Corte di legittimità, con la sentenza de qua , ha altresì precisato come la somma originariamente sottoposta a confisca, ovvero € 15.000,00 era derivata dall’errata qualificazione delle ulteriori somme non soggette a provvedimento ablativo come mere utilità, costituenti al più profitto, quando, invece, tali somme rappresentavano il vero e proprio prezzo del reato, direttamente od indirettamente promesso e corrisposto al B.E. dal corruttore per indurlo al compimento degli atti contrati ai propri doveri d’ufficio. Pertanto, in conclusione, il ricorso dell’imputato va rigettato interamente, essendo correttamente da confiscare per equivalente la somma complessiva di € 56.637,40.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1 ottobre 2013 - 10 gennaio 2014, n. 712 Presidente Petti – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto 1. In data 24 febbraio 2010, innanzi al Tribunale di Grosseto, a seguito dell'emissione del decreto di giudizio immediato, l'odierno ricorrente aveva patteggiato per vari delitti, fra cui tre ipotesi di corruzione passiva propria con la medesima sentenza era stata disposta la confisca per equivalente dei beni sottoposti a sequestro, fino alla concorrenza di Euro 15.000,00. 1.1. Aveva proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica di Grosseto, sostenendo che la confisca non poteva essere limitata al prezzo della corruzione di cui al capo n. 7 , ma doveva comprendere ogni utilità derivante dai delitti di corruzione. 1.2. Questa Corte Suprema, con sentenza della VI Sezione, n. 42035 del 2010, aveva annullato in parte qua la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Grosseto affinché stabilisse l'entità complessiva delle somme soggette a confisca, in particolare osservando quanto segue Della confisca per equivalente di cui all'art. 322 ter c.p.p. il Gip ha fatto applicazione con riferimento alla imputazione corruttiva di cui al capo 7 della rubrica, rilevando che solo in detta fattispecie l'imputato ricevette le somme di Euro 11.500,00 ed Euro 3.500,00 a titolo di vero e proprio corrispettivo e, quindi prezzo, del reato, mentre le somme indicate al capo 8 della rubrica costituivano l'utilità economica della condotta illecita ed erano riconduci bili quindi alla nozione di profitto, esulando in tal modo dall'ambito applicativo del cit. art. 322 ter. Tale assunto è palesemente errato. Come, invero, chiarito in giurisprudenza, in tema di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, la utilità data o promessa al pubblico ufficiale come controprestazione per lo svolgimento dell'azione illecita costituisce prezzo del reato Cass. 09.05.2001, Curtò sent. 30966 del 2007 . È in base a tale principio, quindi, che doveva e dovrà, in sede di rinvio il giudice di merito stabilire l'entità complessiva delle somme soggette a confisca, tenendo in considerazione anche il reato di cui al capo 8 della rubrica dove si usa specificamente, con riferimento alla condotta del corruttore, la locuzione corrispondendo in cambio le utilità , e ferma restando l'esclusione delle utilità non conferite, direttamente o indirettamente, al B. o non espresse in un valore determinato. Relativamente alla memoria della difesa, si osserva che sono improponibili in questa sede i rilievi in essa contenuti. Gli stessi, infatti, o attengono alla confisca relativa agli importi di cui al capo 7, che non è stata impugnata dall'imputato, o concernono situazioni prive di corrispondenza nelle contestazioni, ovvero e il riferimento vale in particolare per le deduzioni inerenti al capo 8 mirano a una diversa ricostruzione dei fatti, preclusa ormai, ai fini qui in discorso, dall'intervenuto patto ”. 1.3. Il g.i.p., all'esito di nuova udienza camerale, aveva ampliato l'oggetto della confisca anche alle utilità risultanti dal capo n. 8 dell'imputazione. 1.4. Contro tale statuizione aveva proposto nuovo ricorso il B. , deducendo che così facendo il g.i.p. non si sarebbe conformato al principio di diritto espresso dalla sentenza rescindente, secondo la quale ferma doveva restare l'esclusione dalla confisca delle utilità non conferite, direttamente o indirettamente, al B. oppure non espresse in un valore determinato aveva osservato, al riguardo, che la maggior parte delle somme confiscate per equivalente non erano state riscosse da lui, bensì da terzi. In relazione al medesimo profilo, aveva censurato il provvedimento per vizio di motivazione, anche in considerazione all'omesso esame di una serie di censure che erano state sottoposte all'attenzione del g.u.p 1.5. Il provvedimento impugnato era, peraltro, stato annullato dalla sentenza n. 4992 del 2012 di questa Sezione per incompetenza funzionale assoluta del giudice che ha adottato il provvedimento per i seguenti rilievi Erroneamente il Tribunale di Grosseto, a seguito della sentenza di annullamento pronunziato da questa Corte, ha agito quale giudice dell'esecuzione ai sensi degli artt. 666 e 676 c.p.p., anziché quale giudice del rinvio in prosecuzione del processo definito con la sentenza di patteggiamento solo parzialmente annullata. Tanto si ricava da tutti gli atti del procedimento camerale avviato a seguito della sentenza di annullamento e dall'incipit del provvedimento oggi impugnato, nel quale espressamente si legge su incidente di esecuzione fissato e discusso all'udienza del 7 aprile 2011. Invero, stante l'annullamento del capo della sentenza di patteggiamento relativo alla confisca, non vi era un provvedimento da portare in esecuzione. Né avrebbe potuto applicarsi la competenza del giudice dell'esecuzione prevista in tema di confisca dall'art. 676 c.p.p., dal momento che questa viene in rilievo solo quando la confisca obbligatoria non è stata disposta nel giudizio di merito, mentre nella specie detto giudizio è in parte qua ancora pendente. Piuttosto, a seguito dell'annullamento con rinvio, spettava al g.u.p. fissare una nuova udienza ai sensi dell'art. 127 c.p.p., per provvedere alla confisca con provvedimento avente natura sostanziale di sentenza, in quanto volto ad integrare - nel rispetto del principio di diritto e limitatamente al capo annullato - la sentenza di patteggiamento del 24 febbraio 2010. La questione non è puramente nominale, dal momento che alla diversa competenza funzionale ed all'eterogenea natura dei due provvedimenti quello nella specie erroneamente adottato e quello che si sarebbe dovuto correttamente adottare consegue l'applicazione di differenti norme in tema di impugnazione la ricorribilità in Cassazione per la sentenza di patteggiamento l'opposizione di cui all'art. 667 c.p.p., comma 4, nel caso di provvedimento di esecuzione. Consegue, sulla base di tali considerazioni, l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato in quanto adottato da un giudice funzionalmente incompetente ed in esito ad un procedimento errato ”. 2. A seguito di nuova udienza camerale, il GIP del Tribunale di Grosseto, con il provvedimento oggi impugnato, ha ordinato la confisca dei beni dell'imputato sottoposti a sequestro preventivo sino alla concorrenza della somma di Euro 56.637,40, con riferimento agli episodi di cui ai numeri 7 e 8 dell'imputazione”, in quanto costituenti prezzo del reato di corruzione. 3. Avverso tale provvedimento, il B. ricorre ancora una volta per cassazione, con l'ausilio di un difensore iscritto nell'apposito albo speciale, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p. I - erronea applicazione della legge penale ed in particolar modo dell'art. 322-terc.p. II - difetto di motivazione. Il ricorrente lamenta che non potrebbero essere considerate come prezzo del reato, in particolare con riferimento al reato di cui al capo di imputazione n. 8 , le utilità” a lui non attribuite direttamente od indirettamente, rappresentando - di aver pagato il 50% dei lavori corrispettivo in totale pari ad Euro 11.637,00 eseguiti in via . - che la somma di Euro 9.000,00 è stata percepita dal figlio A. per pregresse prestazioni professionali - che la somma di Euro 21.000 è stata Versata materialmente ed in realtà limitatamente ad Euro 15.000 in favore del G.S. omissis a titolo di sponsorizzazione. Lamenta inoltre difetto di motivazione in relazione alla nozione di utilità” indiretta, con riferimento alle somme versate a terzi, nonché la mancata acquisizione della deposizione resa nel separato giudizio ordinario dal presunto corruttore A. , che avrebbe chiarito di aver versato somme a tale M. , non al B. , in favore del G.S. omissis , come mero aiuto, e senza alcun legame di corrispettività per la precedente vincita dell'appalto fatto questo che non muta il comportamento del B. ma che fa divenire il versamento della somma contestata di Euro 11.500,00 non più prezzo del reato, non più utilità definibile profitto, e, persino, neppure prodotto”. Ha concluso chiedendo la cassazione del provvedimento impugnato. In data 10 aprile 2013 sono state depositate le conclusioni scritte del P.G., riportate in epigrafe. Considerato in diritto Il ricorso è in toto infondato. 1. Questa Corte Suprema ha già chiarito, con orientamento che merita di essere ribadito, che la nozione di prezzo” del reato nel caso di specie oggetto della impugnata confisca per equivalente ex art. 322-ter c.p. ricomprende il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato Sez. un., sentenza n. 9149 del 3 luglio - 17 ottobre 1996, CED Cass. n. 205707 . Le stesse Sezioni Unite sentenza n. 38691 del 25 giugno - 6 ottobre 2009 hanno aggiunto che, così definita la nozione de qua, ad essa non può essere attribuita la definizione di utilità economica ricavata dalla commissione del reato coerentemente con tale premessa, si è, tra l'altro, escluso, che possano identificarsi nel prezzo del reato il denaro esposto nel gioco d'azzardo, il corrispettivo versato alla spacciatore per la cessione della sostanza stupefacente, la cosa incautamente acquistata, il denaro consegnato dalla prostituta al suo sfruttatore. 1.1. Ciò premesso, le doglianze del ricorrente appaiono infondate, essendosi il provvedimento impugnato correttamente conformato al predetto orientamento ed al dictum del primo provvedimento rescindente, evidenziando compiutamente le ragioni per le quali riteneva di dover qualificare come prezzo del reato le somme de quibus , inerenti anche ai fatti oggetto del capo 8 , inizialmente qualificate come mere utilità, costituenti al più profitto, ma in realtà costituenti vero e proprio prezzo del reato nel senso innanzi indicato , direttamente od indirettamente promesso e corrisposto al B. dal corruttore per indurlo al compimento degli atti contrari al proprio ufficio dettagliatamente indicati nel corpo dell'imputazione, unitamente alle somme di cui al capo 7 , che, come correttamente osservato dal P.G. nella sua requisitoria scritta, erano state già qualificate nella sentenza annullata come prezzo del reato in quanto direttamente corrisposte al B. per gli atti contrari ai doveri di ufficio ivi specificati con quantificazione complessiva del prezzo del reato in Euro 56.637,40 dovendo . ritenersi non coerenti e rilevanti i rilievi difensivi . in quanto finalizzati ad una ricostruzione diversa dei fatti rispetto a quella cristallizzata nelle imputazioni preclusa dall'intervenuto patto ex art. 444 c.p.p. ”. 1.2. Invero, il Tribunale cfr. f. 2 ss. dell'impugnato provvedimento , ha correttamente premesso che, come evidenziato dalla prima sentenza rescindente, i fatti storici delineati nell'imputazione, oggetto di patto, non possono più essere messi in discussione”, il che rende privi di rilievo i separati sviluppi dibattimentali della vicenda, insistentemente, ma inammissibilmente in virtù dell'opzione per il rito alternativo di cui agli artt. 444 ss. c.p.p. evocati dal ricorrente. 1.2.1. Ha poi qualificato, in corretta applicazione del dictum della prima sentenza rescindente, nonché in accordo con il predetto orientamento giurisprudenziale, i soli importi confiscati pari complessivamente ad Euro 56.637,40 con riferimento agli episodi corruttivi di cui ai capi 7 ed 8 come prezzo del reato, ricevuto per sé o per terzi, precisando che l'assunto del primo g.i.p., che qualificava come profitto le suddette somme, è ritenuto palesemente errato, e al principio di diritto che le considera invece come prezzo questo giudice di rinvio dovrà attenersi”, e che l'avverbio indirettamente non lascia adito a dubbi sul fatto che anche le somme corrisposte a soggetti diversi, ma strettamente collegati al B. , quali il figlio e la società di calcio di cui era presidente, costituiscano prezzo della corruzione”. 2. Il rigetto totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.