Sanzionare un sito internet, ritenendolo responsabile per i commenti offensivi e anonimi pubblicati dagli utenti, non compromette la libertà di espressione, considerato il mancato esercizio di poteri di controllo, la possibilità offerta di rimanere anonimi, l’offensività dei messaggi e il profitto commerciale derivante da questi.
È quanto stabilito dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 10 ottobre 2013, ricorso n. 64569. Sito internet condannato per i commenti anonimi diffamatori. Il caso riguarda la responsabilità di una società, proprietaria di uno dei più importanti siti internet di informazione dell’Estonia, per i messaggi offensivi pubblicati da alcuni lettori del sito. Infatti, sul portale era stato pubblicato un articolo su una società di navigazione che aveva deciso di modificare l’itinerario delle proprie imbarcazioni tale modifica aveva provocato la rottura dei ghiacci - in alcuni punti in cui avrebbero potuto essere tracciate strade di ghiaccio - e ritardato di parecchie settimane l’apertura di tali strade modo meno costoso e più rapido dei traghetti per raggiungere le isole . Da questa notizia erano scaturiti numerosi messaggi estremamente offensivi e minacciosi nei confronti della compagnia e del suo proprietario. Questi aveva citato in giudizio la società che possedeva il portale, la quale era stata condannata a pagare 5.000 corone estoni circa 320 a titolo di risarcimento danni. Presentato ricorso, questo era stato rigettato dalla Corte Suprema Estone. Non è compromessa la libertà di espressione, perché Così, la società di navigazione, invocando l’art. 10 libertà di espressione CEDU, ha presentato ricorso alla Corte EDU, sostenendo che l’attribuzione di responsabilità per i messaggi dei lettori lederebbe la propria libertà d’espressione. La Corte di Strasburgo ha osservato che la giurisdizione nazionale, nel decidere, si è basata sul diritto interno, di conseguenza, l’ingerenza nella libertà di espressione della ricorrente è risultata regolare e prevista dalla legge , come scritto nella Convenzione. Inoltre, i giudici hanno rilevato che l’art. 10 consente le misure restrittive della libertà d’espressione - da parte degli Stati membri - destinate a tutelare la reputazione altrui, purché tali ingerenze siano proporzionate al caso concreto. Dunque, la questione cruciale che qui si è posta è quella di verificare se la limitazione è stata proporzionata alla fattispecie in esame. Per pronunciarsi su tale aspetto, la Corte ha considerato quattro aspetti. le precauzioni non erano all’altezza. In primo luogo, essa ha osservato che i messaggi contestati erano offensivi, minacciosi e diffamatori considerato la natura dell’articolo pubblicato on line , la ricorrente avrebbe dovuto aspettarsi la pubblicazione di messaggi d’insulto e, quindi, raddoppiare la vigilanza per evitare di vedersi incolpare di diffamazione. il portale controllava la pubblicazione dei messaggi. In seconda analisi, ha evidenziato che la società aveva preso alcune misure per impedire la pubblicazione di messaggi diffamatori avvertenze agli utenti e sistemi automatici di cancellazione di parole volgari , tuttavia, le precauzioni adottate non avevano impedito la pubblicazione di un gran numero di messaggi offensivi e, in aggiunta, né il dispositivo di filtraggio automatico attraverso parole chiave né il sistema di notifica e di cancellazione avevano permesso di sopprimere in tempi utili i messaggi in questione. i messaggi erano rimasti anonimi. Inoltre, relativamente alla responsabilità individuale degli autori, secondo i giudici internazionali, sarebbe stato estremamente difficile identificare gli autori dei messaggi incriminati, poiché i lettori del sito non avevano l’obbligo di identificarsi. la sanzione è stata debole . Infine, la Corte dei Diritti dell’Uomo ha constatato che la società si è vista infliggere una sanzione mite, data la somma della sanzione amministrativa e tenuto conto che i Tribunali non le avevano ordinato di attuare sul portale misure di protezione dei diritti di terzi tali da limitare la sua libertà d’espressione. Alla luce di ciò, la sanzione attribuita è stata considerata una compressione proporzionata della libertà di espressione.
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