Bene in comunione, ma venduto come se fosse di proprietà: la truffa è dietro l’angolo

Integra il reato di truffa la condotta di chi vende un immobile in comunione, dichiarando falsamente di averne l’esclusiva proprietà, e, dopo aver stipulato il preliminare ed ottenuto l’assegno, obbliga la vittima, che nel frattempo si è accorta della reale situazione, a pagare una somma per impedire l’incasso dello stesso assegno.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza numero 28478, depositata il 2 luglio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Salerno assolveva un’imputata dal reato di truffa perché il fatto non sussisteva, mancando la deminutio patrimonii del soggetto passivo. Da una parte, l’assegno di 22.500 € era stato restituito alla parte offesa, mentre dall’altra la successiva corresponsione di 3.000 € era stata anticipata all’imputata solo dopo che le trattative per la vendita si erano ormai interrotte e successivamente alla stipula del preliminare, solo per consentire all’imputata di far fronte ad uno scoperto bancario, perciò non era ricollegabile all’accordo relativo al futuro trasferimento di proprietà di un immobile. Essendo la causale del prestito svincolata alla stipula del preliminare, non c’era un rapporto immediato di causa-effetto tra l’espediente fraudolento e la deminutio patrimonii. La parte civile ricorreva in Cassazione, sostenendo che l’imputata, dichiarando falsamente in sede di preliminare l’esclusiva proprietà dell’immobile, l’aveva convinta a concludere un contratto che non avrebbe mai stipulato. I 3.000 € erano stati versati per evitare che la donna incassasse la maggior somma stabilita precedentemente. Compravendita di un bene in comunione. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricostruiva la vicenda la vittima, dopo la conclusione del preliminare di vendita, aveva accertato che i beni promessi in vendita erano in comunione e non di esclusiva proprietà dell’imputata, la quale, intanto, aveva portato all’incasso l’assegno di 22.500 € consegnatole al momento della conclusione del contratto. Somma per bloccare l’assegno. Il ricorrente aveva, quindi, denunciato la realtà all’imputata, che, per poter bloccare il pagamento dell’assegno, gli aveva chiesto, ottenendola, la somma di 3.000 € mai restituita. Per i giudici di legittimità sussistevano quindi gli elementi del reato di truffa i raggiri posti in essere per indurre la vittima a stipulare il contratto riguardante un bene immobile, non in esclusiva proprietà, ma in comunione e la perdita della somma di 3.000 €, pagata forzatamente dal ricorrente per impedire l’incasso della maggior somma dell’assegno. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 aprile – 2 luglio 2014, numero 28478 Presidente Fiandanese – Relatore Verga Motivi della decisione Con sentenza in data 14 febbraio 2013 la Corte d'appello di Salerno in riforma della sentenza del Tribunale di Sala Consilina dei 22 luglio 2009 assolveva C.D.dal reato di truffa in danno di S.L. perché il fatto non sussiste. Riteneva la corte territoriale che nel caso di specie mancava deminutio patrimoni! del soggetto passivo perché non solo l'assegno era stato restituito al S. ma neppure poteva ritenersi integrata la deminutio dalla corresponsione dei 3000,00 €, cifra che, come è precisato dalla stessa parte offesa, era stata anticipata all'imputata solo dopo che le trattative per la vendita si erano ormai interrotte e successivamente alla stipula del preliminare, al solo fine di consentire alla donna di far fronte ad uno scoperto bancario e quindi non ricollegabile in alcun modo all'accordo relativo al futuro trasferimento di proprietà dell'immobile. La cai4ale dei prestito era del tutto svincolata alla stipula del preliminare in contestazione e quindi ritenevano i giudici d'appello che non sussisteva un rapporto immediato di causa ad effetto tra l'espediente fraudolento usato dalla legge e la ritenuta deminutio patrimonii a fronte, peraltro, della decisione della parte offesa di rimanere comunque nella disponibilità dell'immobile, pur senza addivenire alla stipula dell'atto notarile. Ricorre per cassazione la parte civile deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in 1. vizio della motivazione per travisamento delle prove. Sostiene che le risultanze dibattimentali correttamente reinterpretate dimostrano che l'imputata, dichiarando in sede di preliminare la piena di esclusiva proprietà dell'immobile compravenduto determinava la parte offesa alla conclusione di un contratto che non avrebbe mai stipulato, essendo il proprio interesse finalizzato esclusivamente all'acquisto dei tre locali sottrattigli, del tutto irrilevante essendo la circostanza che, a seguito di trattative di bonario componimento intervenute successivamente alla consumazione del reato, avrebbe manifestato la propria disponibilità ad acquistare la parte residua dell'immobile al prezzo ridotto. Da qui la configurabilità degli artifici raggiri ben sapendo l' imputata che mai avrebbe potuto trasferire la proprietà dell'intero immobile. Sostiene di aver subito una deminutio patrimoni sia pure nella misura di euro 3000,00 che ha dovuto versare per evitare che la C. incassasse la maggior somma di cui alla contestazione 2. violazione di legge in quanto l'insussistenza dell'elemento della deminutio patrimoni non escludeva che la condotta realizzata fosse qualificabile in un tentativo di truffa Il ricorso è fondato. La Corte d'Appello ha assolto l'imputata perché ha ritenuto che nel caso di specie mancava deminutio patrimonii del soggetto passivo perché non solo l'assegno di € 22.500,00 rilasciato al momento della conclusione del contratto era stato restituito al S. ma neppure poteva ritenersi integrata la deminutio dalla corresponsione dei 3000,00 €, cifra che, secondo i giudici d'appello, come è precisato dalla stessa parte offesa, era stata anticipata all'imputata solo dopo che le trattative per la vendita si erano ormai interrotte e successivamente alla stipula del preliminare, al solo fine di consentire alla donna di far fronte ad uno scoperto bancario e quindi non ricollegabile in alcun modo all'accordo relativo al futuro trasferimento di proprietà dell'immobile. In realtà dalla motivazione della sentenza di primo grado risulta che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che il Sica, qualche tempo dopo la conclusione del preliminare di vendita aveva accertato dalle risultanze catastali che i beni promessi in vendita erano in comunione e non di esclusiva proprietà dell' imputata che, nel frattempo aveva portato all'incasso l'assegno di euro 22.500,00 consegnatole al momento della conclusione del contratto. Il S. aveva quindi denunciato la realtà scoperta all'imputata la quale per poter bloccare il pagamento dell'assegno di euro 22.500,00 gli aveva chiesto ed ottenuto la somma di euro 3000,00 mai restituita, somma che, come indicato dal primo giudice realizza la deminutio patrimonii del soggetto passivo richiesta per la sussistenza del reato, considerato che la parte offesa è stata costretta a corrisponderla proprio per impedire l'incasso della maggior somma di € 22.500,00 portata dall'assegno bancario. Diversamente da quanto indicato dai giudici di secondo grado nel caso di specie sussistono gli elementi del reato di truffa contestato i raggiri posti in essere dall' imputata per indurre la parte offesa a stipulare il contratto avente ad oggetto un bene immobile che non era di esclusiva proprietà della stessa e la diminutio patrimoni del soggetto passivo, consistita nella perdita di una somma pari ad euro 3000,00 che la persona offesa è stata costretta a corrispondere alla Cafaro per impedire l'incasso della maggior somma di euro 22.500,00 portata dall'assegno bancario consegnato al momento della conclusione del contratto La sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello.