Pistola mimata con la mano e ‘puntata’ alla tempia: condannato per minaccia

Nessun dubbio sul gesto realizzato da un uomo, e rivolto a un agente di Polizia, colpevole di averlo beccato fuori dai ‘domiciliari’. Cristallino il significato della pistola mimata con la mano.

Gesto inequivocabile. Pollice, indice e medio puntati, a mo’ di pistola, alla testa. Destinatario un agente di Polizia. Tutto ciò rende indiscutibile la condanna di un uomo per il reato di “minaccia”. Difficile, difatti, non considerare la pistola mimata con la mano un gesto pienamente intimidatorio Cass., sentenza numero 25165/2015, Quinta Sezione Penale, depositata ieri . Controllo. Casus belli è il controllo effettuato dalle forze dell’ordine nei confronti di un uomo agli «arresti domiciliari», controllo che ne rivela l’assenza da casa. Consequenziale è la denuncia per «evasione». Spropositata, però, la reazione dell’uomo, il quale promette «vendetta», minacciando «l’agente di Polizia» – che, assieme a un altro agente, aveva effettuato il «controllo» – di «sparargli alla testa». Strumento della «minaccia» la mano, con cui l’uomo mima la «pistola» puntata alla tempia. Tutto ciò spinge i giudici di merito a ritenere corretta la condanna per il reato di «minaccia». Pistola. Secondo l’uomo, però, è assai discutibile la «gravità» attribuita alla sua «condotta». Egli sostiene, tramite il proprio legale, con ricorso ad hoc in Cassazione, che il «comportamento» tenuto «era privo dei connotati tipici della minaccia» e, soprattutto, «non era idoneo ad incutere timore» nell’agente di Polizia. Tale visione, però, viene ritenuta risibile dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, invece, considerano, come già i giudici di merito, evidente «la gravità della minaccia realizzata». Su questo punto, in particolare, per i giudici è univoca la ‘lettura’ del gesto compiuto dall’uomo, il quale ha posto «le dita della mano alla testa, nei confronti della persona offesa» e poi ha aggiunto che «analogo trattamento avrebbe riservato all’altro agente di Polizia». Ciò significa che la «minaccia» messa in atto dall’uomo è «grave», essendosi concretizzata «in un gesto esplicito, idoneo ad ingenerare turbamento psichico» nella persona a cui quel gesto era destinato. Ovvia la conferma, quindi, della condanna nei confronti dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 gennaio – 16 giugno 2015, numero 25165 Presidente Lombardi – Relatore De Bernardis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 16.6.2014 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Roma,in data 18.10.2012,nei confronti di C.E.,ritenuto responsabile del reato di cui all'art.612 cpv.CP, per aver minacciato l'agente di PS C.V. prospettandogli di sparargli alla testa, minaccia realizzata con un gesto della mano ,per vendetta,essendo stato denunciato per evasione essendo sottoposto alla misura degli arresti domiciliari. Per tale reato il primo giudice aveva inflitto la pena di mesi tre di reclusione. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore,deducendo ai sensi dell'art.606 lett.B CPP.,la violazione di legge riferita all'art.612 CP. A riguardi veniva censurata la decisione, ritenendo non accertata la gravità della condotta minacciosa sul punto la difesa rilevava che il comportamento dell'imputato era privo dei connotati tipici della minaccia e non era idoneo ad incutere timore nella persona offesa. 2-mancanza della motivazione a riguardo la difesa osservava che la sentenza di appello era priva di motivazione avendo confermato quella dei giudice di primo grado . Rileva in diritto Il ricorso risulta inammissibile. Invero si desume dal testo del provvedimento impugnato che il giudice di appello ha dato conto della valutazione compiuta circa la gravità della minaccia realizzata dall'imputato ponendo le dita della mano alla testa nei confronti della persona offesa ed aggiungendo che analogo trattamento avrebbe riservato ad altro agente dì PS. In tal senso deve ritenersi che risultano manifestamente infondate le censure dei ricorrente,in ordine al difetto di motivazione, essendo stato specificato l'elemento di fatto in base al quale la minaccia era da ritenere riconducibile all'ipotesi prevista dall'art.612 comma secondo CP. Tale interpretazione della norma giuridica risulta peraltro in sintonia con i principi giurisprudenziali,essendo prevista come condotta idonea ad integrare la minaccia anche quella consistente in un gesto espiicito come quello ascritto all'imputato idoneo ad ingenerare turbamento psichico al destinatario v. Cass.Sez.V del 19.12.1984,numero 11256,Montedoro- La gravità dei male prospettato alla persona offesa resta legittimamente desunta dal gesto univoco descritto in sente nza,accompagnato da espressione che confermava la volontà dell'agente di porre in pericolo l'incolumità degli agenti di ps. AI cospetto di tale motivazione,che sia pur sinteticamente redatta risponde alle censure dell'appellante devono ritenersi inammissibili i rilievi,in fatto,tendenti a contrastare in modo puramente ripetitivo e generico l'accusa. Va dunque dichiarata l'inammissibilità dei ricorso a cui consegue la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende,che si ritiene di determinare in €1.000,00 P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.