Carcere incompatibile con ogni stato morboso o fisico che determini una situazione di esistenza al di sotto della soglia di dignità umana

Ancora una volta la Corte di Cassazione è intervenuta per censurare provvedimenti che risultino lesivi del necessario rispetto dovuto alla dignità del detenuto.

La sentenza n. 23930 del 3 giugno 2013, peraltro, si segnala per la concretizzazione dei valori. Non si è semplicemente riaffermato, infatti, l’inequivocabile principio secondo cui la pena non deve risolversi in un trattamento inumano o degradante, ma si è oltremodo specificato che lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica o l’applicazione della detenzione domiciliare, non è solo la patologia implicante un pericolo di vita, dovendo comunque considerarsi contrario al senso di umanità ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di quella soglia di dignità che pure in carcere si richiede debba essere rispettata . Il caso . Meritano di essere considerate le peculiarità del caso de quo , onde apprezzare al meglio la portata della decisione in commento. Il detenuto, condannato all’ergastolo, aveva richiesto, visto il proprio stato di salute, il rinvio dell’esecuzione della pena anche nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47 ter, comma 1 ter, ord. pen A sostegno di tale istanza vi erano due perizie d’ufficio, che avevano attestato la gravità delle malattie sofferte dal ricorrente, gravità tanto elevata da rendere incompatibili le sue condizioni di salute con il regime carcerario, dal momento che solo un ricovero presso strutture specializzate, in grado di fornire una assistenza diagnostica terapeutica e dietetica, poteva ritenersi congruo ed adeguato, atteso altresì che l’unica cura possibile era il trapianto d’organo. Il Tribunale di sorveglianza aveva respinto la richiesta in questione, sulla base di un duplice profilo. Da una parte, si era sostenuto sulla scorta di una discutibile e lacunosa nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che vi era la possibilità di assicurare un monitoraggio di base delle condizioni del detenuto e, dall’altra, che era meglio sperimentare, vista la gravità della condanna e l’insussistenza di un imminente pericolo di vita, la protrazione della detenzione presso un apposito centro medico penitenziario individuato dall’Amministrazione, fermo restando che, all’acuirsi della malattia o dell’insorgere di un grave pericolo di vista, ben avrebbe potuto il condannato essere trasferito in una struttura esterna. Innanzi ad una simile pronuncia, il detenuto ha proposto ricorso per cassazione, evidenziando peraltro che nelle more le condizioni di salute del ricorrente erano notevolmente peggiorate, tanto che il Magistrato di sorveglianza aveva dovuto disporre, per un tempo limitato, in via provvisoria la detenzione domiciliare. La pena non deve denigrare la dignità umana. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, manifestando l’evidente illogicità della motivazione, atteso che le argomentazioni addotte risultavano contraddittorie rispetto alle risultanze che appunto escludevano la compatibilità col carcere e contraddette dai fatti l’auspicato miglioramento della salute non si era verificato, essendo invece peggiorate le condizioni fisiche del condannato . Tuttavia, come accennato, l’Alta Corte ha voluto chiarificare il contenuto del fondamentale principio di diritto secondo cui la pena non deve denigrare la dignità umana. Sul punto, infatti, si è inequivocabilmente osservato che lo stato di salute rilevante, per statuire sulla incompatibilità del carcere, non è dato dall’imminente pericolo di vita, ma più genericamente dall’essere il soggetto in una condizione psicofisica tale porlo, ove ristretto in carcere, al di sotto di una soglia minima di dignità che deve pur sempre essere rispettata allorché si voglia mantenere la legittimità della pena, così come richiesto anche dalla CEDU. Da qui la conclusione per cui l’idea di sperimentare la detenzione in carcere era ed è da censurare ex se , dovendosi escludere che il semplice monitoraggio dello stato della malattia possa supplire all’esigenza di tutela della dignità umana assolutamente evidente nel caso di specie. Concludendo . Dopo una attenta lettura della sentenza, non possono che sottoscriversi le argomentazioni ed i principi in essa espressi. Si sta, del resto, sempre di più diffondendo la necessità di predisporre un ragionevole bilanciamento delle esigenze retributive e special–preventive, da un lato, ed istante umanitarie, dall’altro . Tuttavia, non è raro nella prassi constatare come, specialmente in situazioni gravi sia dal punto di vista medico che dal punto di vista penale alla luce dell’entità della pena inflitta , si tenti assai spesso di eludere i principi in materia nel presupposto assai spesso implicito, ma qui manifestato chiaramente dal Tribunale di sorveglianza, secondo cui la mera sopravvivenza in carcere dimostrerebbe nei fatti la compatibilità dello stesso con le condizioni di salute del recluso. Quel che non si comprende è che l’incompatibilità in questione non è fattuale, ma di valore, dal momento che quel che si deve tutelare è il senso della dignità del condannato o, se si preferisce, del valore della persona umana ancorché delinquente. Sono formalmente lontani i tempi nei quali si assumeva che il colpevole di gravi reati perdeva il valore di persona tuttavia, se ciò non è più, è altrettanto vero che molte volte si continua, nel nome della legge e del Popolo sovrano, a giustificare l’esecuzione di pene legali ma nel concreto ingiuste ed ingiustificate alla luce dei valori in gioco. D’altra parte, è pur vero che le strutture penitenziarie nostrane sono deficitarie e insufficienti a far fronte a situazioni, quale quella qui analizzata. Ma tale constatazione non dovrebbe portare all’annientamento di valori, ma al compimento di attività e di nuovi investimenti in ambito penitenziario. Vista l’attuale situazione economica ed il deficit di bilancio, pensare ad un vera e propria riforma dei penitenziari è forse mesta illusione, se non addirittura una opzione risibile. Eppure non è vana cosa lottare in tal senso, dentro e fuori al processo. Dopo tutto, come può farsi giustizia in un ordinamento che imponga o tolleri pene, anche solo nei fatti, ingiuste?

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 maggio - 3 giugno 2013, n. 23930 Presidente Siotto – Relatore Cavallo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa il 27 giugno 2012, il Tribunale di sorveglianza di Taranto, deliberando sull'istanza di rinvio dell'esecuzione della pena anche nelle forme della detenzione domiciliarla ex art. 47 ter, comma 1 ter Ord. Pen. proposta da B.M. - detenuto domiciliare a tempo in espiazione di una condanna alla pena dell'ergastolo - disponeva la prosecuzione dell'esecuzione della pena nelle forme ordinarie della detenzione carceraria, da eseguirsi presso il Centro Diagnostico Terapeutico del carcere di omissis dove il predetto andava urgentemente trasferito, come da preventiva indicazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. 1.1. Il Tribunale, dato atto delle gravi infermità del detenuto la più grave delle quali una cirrosi epatica splemomegalica HBV in fase di labile compenso e caratterizzata da elevato rischio di rottura improvvisa delle varici esofagea , ha motivato la propria decisione affermando che, pur essendo le condizioni di salute certamente incompatibili con il regime carcerario, così come accertato in due perizie di ufficio, tuttavia, tenuto conto che in una nota del DAP del omissis si rappresentava la possibilità di assicurare un monitoraggio di base delle condizioni del detenuto, prima di disporre una imprudente nuova proroga della misura della detenzione domiciliare già lungamente fruita del detenuto, colpevole di reati di rilevante gravità sebbene risalenti in epoca remota , doveva ritenersi opportuno e preferibile sperimentare la protrazione della detenzione presso un apposito centro medico penitenziario individuato dall'Amministrazione Penitenziaria, trattandosi di allocazione che non implicava un serio pericolo di vita e che non comprometteva il diritto alla salute ed al trattamento umanitario della pena del condannato, in quanto, se necessario, poteva senz'altro venire autorizzato in ogni momento l'Immediato suo trasferimento In una struttura sanitaria esterna ex art. 11 Ord. Pen 2. Ricorre per cassazione il difensore del condannato, denunziando l'illegittimità dell'ordinanza Impugnata per mancata assunzione di una prova decisiva nonché per vizio di motivazione. Nel ricorso si deduce, in primo luogo, che l'ordinanza impugnata è inficiata dal mancato espletamento di accertamenti, sollecitati dalla difesa, relativamente al pregresso ricovero del condannato, nel 2006, presso il CDT di omissis ed al suo trasferimento da quella struttura, in quanto rivelatasi inidonea ad assicurare allo stesso tutte le cure necessarie, e ciò ancor prima che le sue condizioni di salute peggiorassero a causa dell'insorgere del rischio connesso alla rottura delle varici esofagee. Nel ricorso si deduce, altresì - la illogica sottovalutazione di tutti gli accertamenti medico legali disposti sulla persona del ricorrente eseguiti rispettivamente nei . e nel omissis , che pure avevano accertato, inconfutabilmente, la gravità delle condizioni di salute del B. e l'incompatibilità delle stesse con il regime carcerario, avendo i giudici di merito basato, di contro, la propria decisione su di una nota del DAP, che nello stesso provvedimento impugnato, si riconosce, contraddittoriamente, esprimere valutazioni non verificabili e provenienti da un sanitario di cui non risulta indicato né il nominativo né la qualifica professionale formulate autonomamente dall'Amministrazione penitenziaria su di un detenuto domiciliare fuoriuscito da tempo . dal regime carcerario e per di più risalente ad un momento omissis antecedente allo svolgimento dell'ultima perizia e basata su documentazione sanitaria non specificata - che il B. è certamente affetto da patologie incompatibili con lo stato di detenzione - che le condizioni di salute in cui versa il detenuto privano di senso giuridico il protrarsi della detenzione intramuraria, da ritenersi contraria ai senso di umanità. 2.1 Con memoria depositata il 30 aprile 2013, la difesa del ricorrente, oltre a ribadire la fondatezza dei motivi di impugnazione dedotti, segnala, altresì, che dopo la deliberazione del provvedimento impugnato ed il trasferimento del detenuto presso il CDT di omissis , le condizioni di salute dello stesso sono estremamente peggiorate, in particolare a causa della rilevata piastrinopenia, e che anche in considerazione dell'altissimo rischio di evento emorragico acuto, il Magistrato di sorveglianza di Taranto, con provvedimento in data 13 ottobre 2012, allegato allo scritto difensivo, ha disposto in via provvisoria la detenzione domiciliare sino alla data del 31 dicembre 2012. 3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella sua requisitoria in atti, ha chiesto l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, presentando lo stesso, effettivamente, le insufficienze motivazionali denunciate dal ricorrente. Considerato in diritto 1. Il ricorso appare, nei termini che si diranno, fondato. 1.1. Il Tribunale, nella parte iniziale del provvedimento impugnato, ha richiamato la diagnosi” sulla cui base era stata concessa al B. la detenzione domiciliare temporanea , precisando che ben due perizie espletate nel corso del procedimento avevano accertato come il ricorrente, in effetti, fosse affetto da una cirrosi epatica splemomegalica HBV correlata ascitogena complicata da ipertensione portale, varici esofagee di grado III e plastrinopenia” come l'ultima di dette perizie, avesse confermato, in particolare, il giudizio di incompatibilità con l'ambiente carcerario”, precisando che soltanto un ricovero presso strutture specializzate in grado di fornire una assistenza diagnostica terapeutica e dietetica” era compatibile con le condizioni di salute del ricorrente, posto che, in base alla storia clinica ed alle complicanze presenti attualmente, solo il trapianto epatico è da ritenere il trattamento più efficace per il B. che il detenuto necessitava, in particolare, di stretto controllo del rischio emorragico - mediante ulteriore legatura delle varici esofagee - e di quelli derivanti dalla scompenso ascitico nonché legati alla funzionalità renale, oltre che di profilassi delle infezioni batteriche in corso di sanguinamento cronico”. Nonostante l'emergere di un quadro di innegabile grave infermità fisica”, il Tribunale, sulla scorta di una nota del DAP del OMISSIS prodotta dalla Procura Generale, secondo cui il B. , per la patologia di cui risulta essere portatore, può essere ristretto presso un istituto dotato di annesso centro diagnostico terapeutico” presso il quale, per altro, era possibile esclusivamente assicurare un monitoraggio di base”, ha concluso sostenendo che le patologie da cui è affetto il ricorrente al momento consentivano la prosecuzione della esecuzione nelle forme ordinarie della detenzione carceraria. Tuttavia, come rimarca il ricorrente ed altresì il Procuratore Generale nella sua requisitoria in atti, le perizie affermavano in realtà il contrario, e cioè, che la patologia era suscettibile di aggravamenti improvvisi ed incompatibile con la detenzione”. Muovendo quindi da una valutazione unilaterale dell'Amministrazione penitenziaria che per ammissione degli stessi giudici del merito presentava plurimi profili di incongruità, tutti correttamente evidenziati in ricorso, il Tribunale, senza svolgere ulteriori accertamenti pure sollecitati dalla difesa del B. , ha ritenuto la adeguatezza, in concreto, delle cure che il detenuto poteva ricevere in ambiente carcerario, così assumendo, sia pure implicitamente, che dalla perizia non emergeva, in definitiva, alcuna specifica controindicazione” alla permanenza del condannato presso dei centri medici specializzati senza spiegare, però, come tale assunto fosse conciliabile con le conclusioni peritali non dichiaratamente disattese né con i provvedimenti di concessione di proroga della misura alternativa adottati in precedenza. Sicché va rimarcato che il Tribunale ben poteva ritenere non convincenti i giudizi espressi nelle perizie disposte nel corso del procedimento, ma avrebbe dovuto allora atteso il livello squisitamente tecnico dell'indagine medico legale richiesta - disporne di nuova, munendosi del parere e delle relazioni di esperti della materia, specie per quel che attiene la possibilità, nello specifico, di somministrazione di cure adeguate presso il centro diagnostico individuato dall'Amministrazione. Quel che è certo è che non era consentito al tribunale immotivatamente disattendere gli elaborati peritali a sua disposizione e trame conclusioni difformi sulla base di una semplice attestazione che assicuri la possibilità di eseguire un monitoraggio di base” ma non già tutti gli accertamenti e terapie” necessarie. 1.2. La richiesta del ricorrente di concessione della detenzione domiciliare è stata quindi respinta sulla base del semplice rilievo, che un monitoraggio di base delle condizioni di salute del ricorrente può essere effettuato anche in ambito carcerario, sicché prima di disporre che la pena dell'ergastolo continui ad essere espiata in detto regime, non può sorvolarsi completamente sulla praticabilità di un ricovero In C.D.T., quanto meno In via sperimentale . Orbene tali argomentazioni, oltre a risultare quanto meno ambigue, specie allorquando a pag. 4 del provvedimento ricollegano la prosecuzione del regime carcerario al possibile auspicato miglioramento delle condizioni di salute che già le perizie espletate indicavano come evento né certo né imminente valutazione che ha trovato significativa conferma successivamente alla decisione impugnata, nella documentazione allegata alla memoria difensiva , si rivelano, altresì, delle affermazioni di per sé non decisive, con riferimento alla valutazione richiesta al tribunale. È infatti principio consolidato - derivante dalla necessità ex art. 27 Cost., comma 3 e art. 3 Convenzione EDU che la pena non si risolva in un trattamento inumano o degradante - che lo stato di salute Incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell'esecuzione della pena per infermità fisica o l'applicazione della detenzione domiciliare, non è solo la patologia implicante un pericolo per la vita, dovendo comunque considerarsi contratto al senso di umanità ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di quella soglia di dignità che pure in carcere si richiede debba essere rispettata una sofferenza e un'afflizione di tali intensità da eccedere il livello che deriva inevitabilmente da una pena legittima, come dice la Corte EDU . Anche la mancanza di cure mediche appropriate, e più in generale la detenzione in condizioni inadeguate in rapporto alla gravità di una malattia che potrebbe avere altrove assistenza idonea, può pertanto, in linea di principio, costituire un trattamento contrario al senso di umanità In tal senso si veda Sez. 1, n. 16681 del 24/01/2011 - dep. 29/04/2011, Buonanno, Rv. 249966 . Erroneamente quindi il Tribunale ha fondato la sua valutazione sulla mera esistenza di un situazione di monitoraggio di base” dello stato di malattia, in assenza di adeguati accertamenti circa l'idoneità della struttura penitenziaria e nella prospettiva di un miglioramento delle condizioni di salute del detenuto, formulata in assenza di precise e verificate allegazioni di natura medico-scientifica. 2. L'ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Taranto perché proceda a nuovo esame, dando conto dei risultati raggiunti in punto di natura e gravità delle condizioni di salute del ricorrente sulla base di cognizioni scientifiche correttamente formulate e considerando l'intera gamma degli strumenti, anche eventualmente di controllo, che l'ordinamento pone a disposizione per ovviare alle incompatibilità quoad vitam e quoad valetudinem mediante un ragionevole bilanciamento di esigenze retributive e special - preventive da un lato, ed istanze umanitarie dall'altro. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Taranto.