“L’attacco è la miglior difesa”, ma in Tribunale ci sono dei limiti

Compie il delitto di calunnia, senza che possa invocarsi la scriminante dell’esercizio del diritto di difesa, l’imputato che, negata la sussistenza del fatto addebitatogli, accusi terzi di fatti criminosi, in modo da determinare la possibilità che inizi nei loro confronti un procedimento penale.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza numero 18755, depositata il 6 maggio 2015. Il caso. Il gip di Milano dichiarava non doversi procedere nei confronti di un imputato per il reato di calunnia, in quanto esso era scriminato dalla causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di difesa giudiziaria ex articolo 51 c.p La persona offesa ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata applicazione della causa di giustificazione riconosciuta. Deduceva di essere stato accusato dall’imputato, nell’atto di appello contro una sentenza del tribunale penale di Pavia, di aver commesso un reato nella sua qualità di funzionario tecnico presso la polizia locale. In particolare, l’accusa era di aver falsificato, alterato, manomesso o manipolato dei registri di contabilità, introducendosi negli uffici nottetempo, rendendo poi falsa testimonianza in sede dibattimentale. Secondo il ricorrente, tali circostanze erano illogicamente state considerate dal gip come una semplice negazione della verità sfavorevole all’imputato. Possibilità di difendersi La Corte di Cassazione ricorda che, in tema di rapporto tra diritto di difesa ed accuse calunniose, nel corso del procedimento instaurato a suo carico, l’imputato può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli in tal caso, l’accusa di calunnia, implicita nella condotta, integra un’ipotesi di legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae quindi alla sfera di punibilità, trovando applicazione la causa di giustificazione ex articolo 51 c.p ma senza accusare persone innocenti. Se, invece, l’imputato, «travalicando il rigoroso rapporto funzionale tra tale sua condotta e la confutazione dell’imputazione», non si limita a ribadire l’insussistenza delle accuse a suo carico, ma assume ulteriori iniziative dirette a coinvolgere l’accusatore, di cui si conosce l’innocenza, nell’incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto da cui deriva la possibilità dell’inizio di un’indagine penale , si è al di fuori del mero esercizio di difesa, realizzandosi al contrario, a carico dell’agente, tutti gli elementi costitutivi del delitto di calunnia. Di conseguenza, compie il delitto di calunnia, senza che possa invocarsi la scriminante dell’esercizio del diritto di difesa, l’imputato che, negata la sussistenza del fatto addebitatogli, accusi terzi di fatti criminosi, in modo da determinare la possibilità che inizi nei loro confronti un procedimento penale. Nel caso di specie, il gip non aveva spiegato il percorso logico-argomentativo che lo aveva condotto ad affermare che le accuse dell’imputato rientrassero nel mero esercizio del diritto di difesa. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione al Tribunale di Milano.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 aprile – 6 maggio 2015, numero 18755 Presidente Rotundo – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. II difensore di S.V. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex articolo 425 c.p.p. dal G.i.p. presso il Tribunale di Milano in data 30 settembre 2014, che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di G.S. per essere il reato di calunnia in rubrica ascrittogli scriminato dalla causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di difesa giudiziaria di cui all'articolo 51 c.p Deduce il ricorrente la violazione degli articolo 51 c.p. e 425 c.p.p., in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p., in ragione dell'erronea applicazione della causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di difesa, per essere stato accusato dall'imputato - nell'atto di appello avverso la sentenza del Tribunale penale di Pavia numero 234 dell'8 aprile 2011 - di avere commesso un reato nella sua qualità di funzionario tecnico presso il settore di Polizia locale del Comune di Pavia, e in particolare di aver falsificato, alterato, manomesso ovvero manipolato dei registri di contabilità introducendosi negli uffici nottetempo, e di avere reso falsa testimonianza in sede dibattimentale, circostanze, queste, illogicamente considerate dal G.i.p. come una semplice negazione della verità sfavorevole all'imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito esposte e precisate. 2. Secondo un pacifico insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte Sez. 6, numero 1333 del 16/01/1998, dep. 04/02/1998, Rv. 210648 Sez. 2, numero 2740 del 14/10/2009, dep. 21/01/2010, Rv. 246042 , in tema di rapporto tra diritto di difesa e accuse calunniose, nel corso del procedimento instaurato a suo carico l'imputato può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli ed in tal caso l'accusa di calunnia, implicita in tale condotta, integra un'ipotesi di legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae perciò alla sfera di punibilità in applicazione della causa di giustificazione prevista dall'articolo 51 cod. penumero . Quando però l'imputato, travalicando il rigoroso rapporto funzionale tra tale sua condotta e la confutazione dell'imputazione, non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico, ma assuma ulteriori iniziative dirette a coinvolgere l'accusatore - di cui pure si conosce l'innocenza - nella incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto, sicché da ciò derivi la possibilità dell'inizio di una indagine penale da parte dell'autorità, si è al di fuori del mero esercizio del diritto di difesa e si realizzano, a carico dell'agente, tutti gli elementi costitutivi dei delitto di calunnia. Ne discende che integra il delitto di calunnia, senza che possa invocarsi la scriminante dell'esercizio dei diritto di difesa, l'imputato che, negata la sussistenza del fatto addebitatogli, accusi terzi di fatti criminosi, in modo da determinare la possibilità che inizi nei loro confronti un procedimento penale Sez. 2, numero 28620 del 01/07/2009, dep. 13/07/2009, Rv. 244730 . Nel caso in esame, avuto riguardo a tale consolidato quadro di principii, deve rilevarsi come l'impugnata decisione abbia apoditticamente escluso il fatto che l'imputato abbia travalicato il rigoroso rapporto funzionale tra la sua condotta e la confutazione dell'imputazione, limitandosi ad affermare, senza tuttavia esplicitare le ragioni giustificative dell'assunto, che l'imputato si sarebbe difeso confutando, nella redazione dell'atto di appello, le motivazioni della sentenza penale dei Tribunale di Pavia, che lo aveva condannato sulla base dei rilievi posti in essere dal funzionario tecnico presso il settore di Polizia locale di quel Comune. Non è chiaro, sulla base del tenore letterale della formulazione del tema d'accusa - che, di contro, fa riferimento al fatto di aver accusato il funzionario tecnico presso il settore di Polizia locale del Comune di Pavia di aver falsificato, manomesso ovvero manipolato dei registri di contabilità e di aver reso falsa testimonianza in sede dibattimentale - quale sia stato il percorso logico argomentativo compiuto dal G.u.p. per giungere al su indicato epilogo decisorio. Sul punto, inoltre, deve rammentarsi che, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il G.u.p., in presenza di fonti di prova che si prestino ad una alternatività di soluzioni valutative, deve limitarsi a verificare se tale situazione possa essere superata attraverso le verifiche e gli approfondimenti propri della fase del dibattimento, senza operare valutazioni di tipo sostanziale che spettano, nella predetta fase, al giudice naturale Sez. 6, numero 6765 del 24/01/2014, dep. 12/02/2014, Rv. 258806 Sez. 5, numero 41162 del 19/06/2014, dep. 03/10/2014, Rv. 262109 . 3. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio per nuova deliberazione al Tribunale di Milano v., al riguardo, Sez. Unumero , numero 25695 del 29/05/2008, dep. 24/06/2008, Rv. 239701 , che nella piena libertà delle valutazioni di merito di sua competenza dovrà porre rimedio alle rilevate carenze motivazionali, uniformandosi al quadro dei principi di diritto in questa Sede stabiliti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale da Milano per nuova deliberazione.