I criteri di calcolo del periodo di comporto costituiscono diritti quesiti dei lavoratori?

Costituiscono diritti quesiti dei lavoratori solo quei diritti che siano già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, ad esempio quale corrispettivo di una prestazione già resa, e non con riferimento alla tutela di semplici pretese alla stabilità nel tempo di normative collettive più favorevoli ovvero di aspettative sorte sulla base di tali regolamentazioni previgenti.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 16043/18, depositata il 18 giugno. La vicenda. A seguito della dichiarazione di inefficacia del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, Poste Italiane veniva condannava a corrispondere alla lavoratrice le retribuzioni maturate. La Corte d’Appello confermava la sentenza di prime cure ritenendo applicabile nella specie il periodo di comporto di 24 mesi previsto dal CCNL 2001 e non quello di 18 masi previsto dal precedente CCNL. Poste Italiane ricorre in Cassazione. Diritti quesiti. Come già affermato dalla giurisprudenza, deve escludersi che il lavoratore possa vantare un diritto quesito al periodo di comporto previsto dal precedente CCNL posto che per i contratti collettivi di lavoro post-corporativi di diritto comune «non opera il principio del diritto quesito, invocabile in caso di successione di leggi, e che la disciplina intertemporale è affidata – alla stregua delle norme civilistiche che regolano la successione nel tempo dei contratti – alla libera determinazione delle parti contraenti». Il Collegio richiama inoltre il principio secondo cui «nel caso in cui ad una disciplina collettiva ne succeda un’altra di analoga natura, si realizza l’immediata sostituzione delle nuove clausole a quelle precedenti, ancorché la nuova disciplina sia meno favorevole ai lavoratori il divieto di deroga “in peius” posto dall’articolo 2077 c.c. riguarda infatti esclusivamente il contratto individuale in relazione a quello collettivo». È inoltre altrettanto pacifico che «le disposizioni del contratto collettivo non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti, sottratti al potere dispositivo dei sindacati, ma, invece, operano dall’esterno sui singoli rapporti di lavoro come fonte individuale, sicchè, nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole per il lavoratore». Chiariscono infine gli Ermellini che «di diritti quesiti dei lavoratori può parlarsi solo con riferimento a quei diritti che siano già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, ad esempio quale corrispettivo di una prestazione già resa, e non con riferimento alla tutela di semplici pretese alla stabilità nel tempo di normative collettive più favorevoli ovvero di aspettative sorte sulla base di tali regolamentazioni previgenti». Applicando tali principi al caso di specie, la sentenza in commento esclude che la lavoratrice potesse invocare un diritto quesito in ordine all’applicazione del precedente contratto non essendosi nella vigenza dello stesso esaurita la fattispecie procedimentale afferente al computo del periodo di comporto. La disciplina che trova applicazione è quella vigente al momento del recesso della parte datoriale, dovendo comunque computarsi anche i giorni di assenza usufruiti durante la vigenza del precedente CCNL. In conclusione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originale della lavoratrice.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 aprile – 18 giugno 2018, numero 16043 Presidente Bronzini – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo La società Poste Italiane impugnava la sentenza del Tribunale di Chieti che la condannò a corrispondere alla F. , assente dal lavoro per malattia dal 4.3.99, la somma di Euro.5.678,48 a titolo di pagamento delle retribuzioni maturate dal 1.1. al 27.4.04 data di risoluzione del rapporto e non corrisposte per ritenuto decorso del periodo massimo di comporto di malattia retribuibile previsto dal c.c.numero l. 11.7.03, avente efficacia dal 1.1.04. Con sentenza depositata il 26.9.12, la Corte d’appello di L’Aquila respingeva il gravame, ritenendo applicabile nella specie il periodo di comporto di 24 mesi, previsto dal c.c.numero l. 2001, e non già quello di 18 mesi previsto dal c.c.numero l. 11.7.93 con efficacia dal 1.1.04 . Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società Poste Italiane, affidato ad unico motivo poi illustrato con memoria, cui resiste la F. con controricorso. Motivi della decisione La società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 40, comma 2, del c.c.numero l. 11.1.01 e 40, comma 2, del c.c.numero l. 11.7.03, nonché dell’articolo 1362 c.c. in relazione all’interpretazione dell’accordo sindacale del 23.9.03. Lamenta che, anche in base a tale ultimo accordo, riprodotto in ricorso, sino al 31.12.03 ha trovato applicazione l’articolo 40 del c.c.numero l. 2001, mentre dal 1.1.04 ha trovato legittimamente applicazione l’articolo 40 del c.c.numero l. 11.7.03 che ridusse il comporto di malattia da 24 a 18 mesi più precisamente di comporto retribuito, prevedendo un ulteriore periodo di conservazione del posto non retribuito . Il ricorso è fondato. Come già osservato da questa Corte cfr.Cass. numero 12716/98 deve innanzitutto escludersi che, come afferma la sentenza impugnata, nella fattispecie possa parlarsi di un diritto quesito della lavoratrice al periodo di comporto previsto dal c.c.numero l. 2001, posto che la norma di cui all’articolo 11, secondo comma, delle disposizioni sulla legge in generale, la quale prevede che i contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loro efficacia una data anteriore alla loro pubblicazione, purché non preceda quella della stipulazione, è da ritenersi abrogata a seguito della soppressione dell’ordinamento corporativo, e non può applicarsi quindi ai contratti collettivi di lavoro post-corporativi di diritto comune, con la conseguenza che per questi ultimi non opera il principio del diritto quesito, invocabile in caso di successione di leggi, e che la disciplina intertemporale è affidata alla stregua delle norme civilistiche che regolano la successione nel tempo dei contratti alla libera determinazione delle parti contraenti Cass. 26 ottobre 1987 numero 7898, 9 settembre 1988 numero 5131, 24 gennaio 1992 numero 762, 4 giugno 1992 numero 6809, 10 giugno 1992 numero 7116 , nella specie ad abundantiam chiarita dall’accordo 23.9.03. Costituisce inoltre principio consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte che, in armonia con i principi regolanti l’efficacia degli atti di autonomia privata, nel caso in cui ad una disciplina collettiva ne succeda un’altra di analoga natura, si realizza l’immediata sostituzione delle nuove clausole a quelle precedenti, ancorché la nuova disciplina sia meno favorevole ai lavoratori il divieto di deroga in peius posto dall’articolo 2077 codice civile riguarda infatti esclusivamente il contratto individuale in relazione a quello collettivo Cass. 2 marzo 1988 numero 228, 25 febbraio 1988 numero 2021 . Tale principio deve essere coordinato con l’altro, altrettanto consolidato, secondo il quale le disposizioni del contratto collettivo non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti, sottratti al potere dispositivo dei sindacati, ma, invece, operano dall’esterno sui singoli rapporti di lavoro come fonte individuale, sicché, nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole per il lavoratore Cass. 12 luglio 1986 numero 4517, 26 ottobre o 1995 numero 1119 cfr. anche Cass. 14 novembre 1995 numero 11805 . Deve, tra l’altro, chiarirsi che di diritti acquisiti dei lavoratori può parlarsi solo con riferimento a quei diritti che siano già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, ad esempio quale corrispettivo di una prestazione già resa, e non con riferimento alla tutela di semplici pretese alla stabilità nel tempo di normative collettive più favorevoli ovvero di aspettative sorte sulla base di tali regolamentazioni previgenti, cfr. Cass. numero 12716/98. Non poteva dunque sussistere, in capo alla F. , un diritto quesito in ordine all’applicazione del precedente contratto, non essendosi nella vigenza dello stesso esaurita la fattispecie procedimentale afferente il periodo complessivo di assenza consentita dal servizio Cass. numero 12716/98, Cass. 4 giugno 1992 numero 6809 . Ne consegue la necessità dell’applicazione integrale della disciplina contrattuale vigente all’atto del recesso Cass. numero 12716/98 cfr. altresì Cass. 8 aprile 1976 numero 1233 , computando evidentemente anche i giorni di assenza verificatisi sotto la vigenza del precedente c.c.numero l. Cass. numero 14633/06 . Il ricorso deve pertanto accogliersi, la sentenza impugnata cassarsi, con decisione nel merito direttamente da parte di questa Corte, non risultando necessari ulteriori accertamenti in fatto, con il rigetto dell’originaria domanda. Le alterne fasi del processo consigliano la compensazione delle spese inerenti la fase di merito e la condanna della F. al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dalla F. in primo grado. Compensa tra le parti le spese inerenti il giudizio di merito e condanna la F. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro.200,00 per esborsi, Euro.3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.