Condanna definitiva per «accesso abusivo a un sistema informatico» e «sostituzione di persona». Decisiva l’identificazione dell’indirizzo IP connesso al wi-fi domestico utilizzato dall’hacker.
Ha concluso rapidamente e in malo modo la sua storia da hacker dilettante è stato condannato per avere ‘violato’ i profili Facebook di alcune persone, accedendovi in maniera abusiva. A inchiodarlo è stato l’utilizzo del wi-fi di casa per la connessione alla rete internet Cassazione, sentenza numero 20485/2018, Sezione Quinta Penale, depositata oggi . Identificazione. A dare il ‘la’ alla vicenda giudiziaria hanno provveduto alcune persone resesi conto che qualcheduno aveva avuto accesso illegittimamente ai loro profili personali su Facebook. Le rapide indagini della Polizia postale hanno permesso di risalire all’hacker un uomo, di origini lombarde, di quasi 50 anni. Consequenziale il processo, conclusosi con una condanna, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, per il reato di «accesso abusivo a un sistema informatico» e «sostituzione di persona». Identica posizione assumono anche i Giudici della Cassazione, che respingono tutte le obiezioni proposte dal legale dell’hacker. Inequivocabile la ricostruzione – piena di dettagli tecnici – della vicenda, da cui è emerso che l’uomo era «l’utilizzatore esclusivo del personal computer collegato all’indirizzo IP» identificato dalla Polizia Postale e associato «al wi-fi domestico».
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 marzo – 9 maggio 2018, numero 20485 Presidente Bruno – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Milano ha confermato la decisione del tribunale di Monza, con la quale Cl. Ce. Ce. è stato condannato, all'esito del giudizio abbreviato, alla pena di giustizia per il reato di accesso abusivo a sistema informatico e sostituzione di persona, cui all'articolo 615 ter cod. penumero . 2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, deducendo, con unico motivo, la mancata valutazione dei motivi di appello, finalizzati a censurare la sentenza di primo grado in punto di identificazione dell'autore della illecita condotta di abusiva introduzione nei profili Facebook delle persone offese mediante specifiche deduzioni tecniche, in assenza di elementi individualizzanti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Nel riportare i motivi d'appello, il ricorrente deduce il fraintendimento dell'atto di impugnazione, finalizzato a censurare l'attribuibilità soggettiva dell'accesso abusivo ai profili Facebook, tutelati da credenziali identificative, e la conseguente sostituzione d'identità digitale, avendo invece la corte territoriale ripercorso l'iter motivazionale della sentenza di primo grado in riferimento alla identificazione dell'indirizzo IP, omettendo di svolgere approfondimenti tecnici necessari per superare i limiti nell'associazione tra l'Internet Protocol rilevato e utente/proprietario del sistema. 2.1 Va, sul punto, rilevato come l'indirizzo IP sia costituito da un codice numerico che identifica univocamente un dispositivo - host - collegato a una rete informatica che utilizza l'Internet Protocol come protocollo di rete. Siffatto indirizzo viene assegnato a una interfaccia ad esempio una scheda di rete che identifica l'host di rete, che può essere costituito da un personal computer, un palmare, uno smartphone, un router o altro dispositivo. L'indirizzo IP identifica, dunque, oggettivamente il dispositivo elettronico associato, mentre l'identificazione dell'operatore richiede indagini ulteriori, di tipo tecnico o di tipo logico. 2.2 Nel quadro così sommariamente delineato, l'atto di impugnazione pone il tema della attribuibilità - oltre il ragionevole dubbio - delle condotte illecite consumate mediante accesso ed uso della rete attraverso una postazione informatica tema che involge profili di definizione dell'identità digitale, secondo specifiche tecniche di riferimento. Osserva, sul punto, il Collegio come sia ormai patrimonio acquisito che la prova dell'utilizzazione di un sistema telematico possa essere ricondotta, mediante specifici accertamenti tecnici, ad una sorta di 'mappatura genetica digitale' che può consentire l'identificazione certa dell'operatore che abbia effettuato connessioni attraverso un dispositivo connesso alla rete attraverso l'indirizzo IP. Al medesimo risultato probatorio può, tuttavia, pervenirsi attraverso elementi dimostrativi diversi dall'accertamento tecnico, purché rispondenti allo standard declinato dall'articolo 192, comma II, cod. pro. penumero . 3. Nella delineata prospettiva, le censure articolate nel ricorso non sono, nel caso in esame, fondate. 3.1 Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta come la corte territoriale abbia individuato lo specifico profilo di doglianza prospettato nel ricorso, superandolo argomentativamente attraverso il puntuale richiamo ai principi di valutazione della prova logica, correttamente applicati nel caso di specie. La sentenza impugnata evidenzia da un lato come l'imputato, nel richiedere la definizione del procedimento nelle forme del giudizio abbreviato, non abbia condizionato l'istanza ad accertamenti finalizzati all'analisi dei reperti informatici, ammettendo comunque il giudice di primo grado - su richiesta del pubblico ministero a prova contraria sulle produzioni documentali della difesa -l'esame del consulente tecnico dall'altro, come gli elementi indiziari, complessivamente apprezzati, abbiano condotto alla attribuzione della illecita condotta all'imputato in quanto esclusivo usuario del personal computer collegato all'indirizzo IP, alla luce delle dichiarazioni dell'intestatario dell'utenza, congiunto convivente dell'imputato, e dello stesso Cl. Ce. Ce Né risulta - in un quadro di protezione debole dei sistemi violati evidenziato in sentenza - che l'imputato abbia, a sua volta, denunciato l'abusivo accesso all'indirizzo IP associato all'utenza domestica, o comprovato una potenza della banda router Wi-fi in suo uso tale da poter essere intercettata dall'esterno, nonostante la protezione della connessione attraverso apposita password. Di guisa che la corte territoriale ha argomentativamente affrontato e risolto le critiche prospettate nell'atto di gravame, con motivazione completa e plausibile che si sottrae a censure in questa sede di legittimità. 3.2 Secondo l'indirizzo pacifico della giurisprudenza di legittimità, infatti, è preclusa in questa sede ogni rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi il giudice di legittimità limitare a verificare se la motivazione del giudice del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito Sez. 5, numero 1803 del 13/06/2016, Dragone, Rv. 38304 Sez. 2, numero 8076 del 21/11/2012, dep. 2013, Consolo, Rv. 254535 . Non possono, pertanto, assumere fondamento le censure volte a prospettare una portata dimostrativa alternativa delle medesime risultanze probatorie, adeguatamente valutate nel giudizio di merito. Queste, nel caso in esame, sono state esaurientemente illustrate nel provvedimento impugnato, avendo il giudice di merito razionalmente ricostruito i plurimi elementi di natura logica che, pur in assenza di ulteriori accertamenti tecnici, hanno condotto al giudizio di responsabilità. Sicché a fronte di tale esaustivo ragionamento, che specificamente si fonda sulla convergenza degli elementi individualizzanti e sull'accertamento dell'indirizzo IP associato al computer o dispositivo mobile dal quale sono stati operati gli accessi, non appare decisivo l'argomento prospettato nel ricorso, che intende contestare il mancato accertamento delle ulteriori credenziali identificative. 4. Né si illustra nel ricorso la decisività della prova di cui si contesta la mancata assunzione, con conseguente genericità della doglianza. Sul punto va evidenziato come la mancata assunzione di una prova decisiva nel giudizio abbreviato non condizionato non sia deducibile come motivo di ricorso per cassazione Sez. 5, Sentenza numero 27985 del 05/02/2013, Rv. 255566, numero 5931 del 2006 Rv. 233845, numero 15086 del 2011 Rv. 249910 , in presenza di una mera sollecitazione dell'imputato all'esercizio dei poteri giudiziali officiosi in tema di prova Sez. 6, Sentenza numero 15086 del 08/03/2011Ud. dep. 13/04/2011 Rv. 249910. . 5. Il ricorso è, pertanto, manifestamente infondato. 6. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed alla somma di Euro. 2.000, in favore della Cassa delle ammende, oltre alla refusione delle spese di costituzione ed assistenza della Parte Civile, che si stima equo liquidare in Euro. 1.800. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro. 2000 in favore della Cassa delle ammende, oltre che alla refusione delle spese in favore della Parte Civile, che liquida in complessivi Euro 1.800,00.