La responsabilità del datore di lavoro va totalmente esclusa se l’infortunio, accaduto a lavoratore normalmente esperto, trovi causa in una manovra dello stesso estremamente pericolosa e non necessaria per il compito affidatogli.
Lo ha affermato, con la sentenza numero 20597, depositata il 22 novembre 2012, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro. Il lavoratore deve provare l’obbligazione lavorativa ed il danno. Poiché la responsabilità conseguente alla violazione dell’obbligo di sicurezza di cui all’articolo 2087 cod. civ. ha natura contrattuale, il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione di lavorativa e del danno, cioè il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, e che gli esiti dannosi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile cfr., ex plurimis, Cass. numero 10529/2008 . La colpa del lavoratore non esclude la responsabilità del datore. In forza della disposizione generale di cui all’articolo 2087 cod. civ. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è il garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro cfr., ad esempio, Cass. Sez. Unumero numero 5/1998 . Pertanto, le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore, non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure protettive venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente. Da queste considerazioni discende che non può attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, a meno che non presenti i caratteri dell’abnormità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento Cass. numero 28205/2011, numero 4656/2011, e numero 19494/2011 . In altri termini, la responsabilità del datore è esclusa solo in caso di dolo o nel caso di rischio elettivo, generato da un’attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante i limiti di esso Cass. numero 3510/1996 . Il datore ha un obbligo di vigilanza costante, ma non continua. Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha precisato che l’obbligo del datore di vigilare affinché siano impediti atti o manovre rischiose del dipendente nello svolgimento del suo lavoro e di controllare l’osservanza, da parte dello stesso, delle norme di sicurezza e dei mezzi di protezione, non comporta una continua vigilanza nell’esecuzione di ogni attività, né il dovere di affiancare un preposto ad ogni lavoratore impegnato in mansioni richiedenti la prestazione di una sola persona, o di organizzare il lavoro in modo da moltiplicare verticalmente i controlli fra i dipendenti, richiedendosi solo una diligenza rapportata in concreto al lavoro da svolgere, e, cioè, all’ubicazione del medesimo, all’esperienza ed alla specializzazione del lavoratore, alla sua autonomia, alla prevedibilità della sua condotta, alla normalità della tecnica di lavorazione. Non sussiste, quindi, alcun obbligo generale del datore di lavoro di sorveglianza dei propri dipendenti affinché non compiano atti inconsulti potenzialmente lesivi della propria e dell’altrui incolumità Cass. numero 15896/2004, e numero 9304/2002 .
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 settembre - 22 novembre 2012, numero 20597 Presidente Lamorgese – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 3.3.2010, la Corte di Appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame proposto dall'INAIL, ed in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Civitavecchia, condannava D.M.G. al pagamento dell'importo di Euro 26.027,66 in favore dell'INAIL, ricorrente in regresso per le somme erogate in relazione all'infortunio sul lavoro subito dal dipendente C.G. il omissis . Rilevava il giudice del gravame che, pur se l'infortunato aveva posto in esser una manovra estremamente pericolosa, non poteva ritenersi che il comportamento del predetto avesse spezzato il nesso di causalità tra evento e condotta colposa del datore, avuto riguardo quantomeno al profilo dell'omessa vigilanza, da parte di quest'ultimo, sul rispetto delle misure di sicurezza e che nel caso considerato potesse ritenersi che i comportamenti colposi del datore e del lavoratore avessero concorso al verificarsi dell'evento dannoso nella misura del 50% ciascuno. Aggiungeva, ai fini della quantificazione delle somme dovute all'istituto, che compito del giudice era quello di effettuare prima la liquidazione del danno patito dal lavoratore secondo gli ordinari criteri civilistici in materia di liquidazione del danno da fatto illecito per poi decurtare tale liquidazione di quanto doveva essere posto a carico del danneggiato stesso per il suo concorso nella produzione dell'evento. Quantificava in tal modo il danno in Euro 52.055,33 e riteneva che il datore fosse tenuto a pagare la metà di tale importo per la accertata corresponsabilità del lavoratore nella produzione dell'evento. Essendo stata la domanda accolta in misura parziale Euro 26.027,66 , disponeva la compensazione per 14 delle spese di lite del doppio grado. Per la cassazione di tale decisione ricorre il D.M. , affidando l'impugnazione a due motivi. Resiste con controricorso l'istituto, che illustra le proprie difese con memoria ai sensi dell'articolo 378 cpc. Resiste con controricorso anche la società SCM Group p. a., che propone ricorso incidentale, con il quale censura la compensazione delle spese del giudizio di appello nei suoi confronti. Motivi della decisione Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c Con il primo motivo, il D.M. deduce, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articolo 10 e 11 del DPR 1124/1965, dell'articolo 2087 c.c. e degli articolo 4, 113 e 68 del DPR 547/1955, rilevando che erroneamente la pronunzia del giudice del gravame, pur ritenendo che non fosse addebitabile al datore di lavoro violazione degli obblighi di sicurezza imposti dagli articoli del d.p.r. da ultimo indicato, essendo la macchina fresatrice dotata di dispositivi di sicurezza e di congegni di protezione, aveva poi affermato che la manovra estremamente pericolosa e non necessaria per l'esecuzione del compito assegnato al lavoratore non avesse interrotto il nesso tra evento e condotta colposa del datore, in contrasto con consolidata giurisprudenza di legittimità. Con il secondo motivo, denuncia, ai sensi dell'articolo 360, I comma, numero 5, c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, evidenziando il vizio logico della pronunzia impugnata laddove, nel ritenere che il datore non avesse ottemperato all'obbligo di vigilanza, non aveva poi esplicitato quali ulteriori cautele lo stesso avrebbe dovuto apprestare. L'infortunio si è nella specie pacificamente verificato durante l’operazione, effettuata dall'infortunato, di scorniciamento , con una macchina fresatrice, di un pannello di legno massiccio, avendo il lavoratore, che pure aveva provveduto a montare correttamente la macchina dotandola dell'apposito cuscinetto, delle guide e di un ulteriore dispositivo di sicurezza, ad un certo punto della lavorazione, al fine di fresare la parte sagomata del pannello di legno, provveduto a togliere la guida sinistra ed il relativo archetto di protezione, consentendo alla macchina di venire in contatto con la mano. La responsabilità conseguente alla violazione dell'articolo 2087 cod. civ. ha natura contrattuale, sicché, il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio, o l'Istituto assicuratore che agisca in via di regresso, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa e del danno, cioè il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, e che gli esiti dannosi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile cfr., tra le altre, Cass. 23.4.2008 numero 10529 . Sotto il primo dei profili censurati, va evidenziato, alla luce del principio appena richiamato, che la sentenza, pur riconoscendo l'assoluta pericolosità della manovra posta in essere dal lavoratore e pur avendo nella ricostruzione dei fatti precisato che la macchina fresatrice era dotata di dispositivi di sicurezza assolutamente efficienti, ha poi fatto richiamo ad un obbligo di costante vigilanza da parte del datore di lavoro, idoneo a prevenire e far cessare ogni manomissione da parte dei dipendenti, richiamando all'uopo sentenza numero 7772/98 di questa Corte. Tuttavia, il caso esaminato in tale pronunzia atteneva ad una fattispecie non del tutto sovrapponibile, proprio perché nella stessa difettava l'adempimento dell'obbligo posto a carico del datore di apprestare ogni misura atta ad evitare il danno, avendo la sentenza di merito, confermata in appello, affermato la responsabilità del datore di lavoro in conseguenza dell'accertata violazione dell'articolo 115 del d.P.R. numero 547 del 1955, desunta dalla circostanza che la macchina cui era addetto il lavoratore, ancorché munita di doppio pulsante, era tuttavia difettosa nel dispositivo di sicurezza poiché uno dei due pulsanti era stato bloccato da nastro isolante. Differente è il caso all'esame, in cui i dispositivi di sicurezza della macchina utilizzata dal lavoratore erano del tutto integri e funzionanti, le norme di sicurezza e gli obblighi relativi del datore erano stati pertanto assolti e si imputa al datore di lavoro la mancanza di una continua vigilanza volta prevenire e scongiurare manomissioni. Al riguardo è stato invero anche osservato che, in tema di responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio sul lavoro subito da un suo dipendente, l'obbligo del datore stesso di vigilare affinché stano impediti atti o manovre rischiose del dipendente nello svolgimento del suo lavoro e di controllare l'osservanza da parte dello stesso delle norme di sicurezza e dei mezzi di protezione non comporta una continua vigilanza nell'esecuzione di ogni attività né il dovere di affiancare un preposto ad ogni lavoratore impegnato in mansioni richiedenti la prestazione di una sola persona, o di organizzare il lavoro in modo da moltiplicare verticalmente i controlli fra i dipendenti, richiedendosi solo una diligenza rapportata in concreto al lavoro da svolgere, e cioè alla ubicazione del medesimo, all'esperienza e specializzazione del lavoratore, alla sua autonomia, alla prevedibilità della sua condotta, alla normalità della tecnica di lavorazione e che, pertanto, nel giudizio avente ad oggetto l'azione di regresso dell'I.N.A.I.L. ai sensi degli articoli 10 e 11 del D. P. 30 giugno 1965, numero 1124, la responsabilità del datore di lavoro va totalmente esclusa se l'infortunio, accaduto a lavoratore normalmente esperto, trovi causa in una manovra dello stesso estremamente pericolosa e non necessaria per l'esecuzione del compito affidatogli, poiché l'elevata pericolosità di tale condotta ne comporta la imprevedibilità in un lavoratore di normale esperienza cfr. Cass. 10.7.1996 numero 6282 . Secondo i principi enunciati da questa Corte di legittimità anche più di recente cfr. Cass.22 dicembre 2011 numero 28205, Cass. 25 febbraio 2011 numero 4656 Cass. 10 settembre 2009 numero 19494 le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso ai lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non accerti e vigili che di queste misure protettive venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell'indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e con esse, dell'estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere cfr. Cass. 22.12.2011 numero 28205 . Ciò premesso, deve rilevarsi anche in relazione alla censura avanzata nel secondo motivo del ricorso principale la fondatezza del rilievo secondo cui la pronunzia è non del tutto chiara nel suo iter logico ed insufficientemente motivata nella parte in cui si riferisce ad un generico obbligo di vigilanza del datore, senza tuttavia specificare quali ulteriori cautele lo stesso avrebbe dovuto apprestare nel caso in esame. Pertanto, il ricorso principale deve essere accolto e l'accoglimento dello stesso comporta che venga considerata assorbita la censura di cui al ricorso incidentale. La causa va rinviata alla Corte di appello designata in dispositivo che procederà ad una nuova valutazione della fattispecie sulla base di una corretta dei principi richiamati, provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione ai sensi dell'articolo 385, 3 comma c.p.c P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, assorbito l'incidentale, cassa la sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.