Restituisce il capannone smontando porte e finestre: può non essere reato

Il proprietario intima al comodatario di andarsene portandosi via anche le opere realizzate ma non volute. Per stabilire se si tratta di furto è necessario determinare se le parti asportate si identificano con quelle per le quali si è pretesa la rimozione.

Il caso. Un uomo ha in comodato un capannone. Ad un certo punto, il proprietario del terreno sul quale è sito il capannone, volendo rientrarne in possesso, invita più volte l’uomo ad andarsene portando via le sue cose togliendo anche le opere realizzate e non volute. Viene esercitata anche un’azione di sfratto. L’uomo, dopo tanta insistenza, esegue alla lettera e porta via i portoni d’ingresso, le finestre, parti del pavimento e della copertura. Contro l’uomo inizia un procedimento penale. Tanto zelo, però, finisce per costargli l’accusa di furto, con conseguente condanna in primo grado, confermata anche in secondo. L’uomo ricorre in Cassazione. A suo dire, i giudici di merito avrebbero omesso di considerare il fatto che sia stato lo stesso proprietario, in una memoria difensiva depositata nella causa civile, ad intimare la rimozione del capannone. In ogni caso poi, la condotta non configurerebbe il reato di furto ma, a tutto concedere, quello di appropriazione indebita, essendo le parti asportate già nel possesso dell’imputato. Il comodatario non può distaccare dall’immobile le singole componenti. La Suprema Corte, con la sentenza numero 9418/12 depositata il 12 marzo scorso, respinge quest’ultimo argomento e precisa quello che è l’ambito dei diritti spettati al comodatario il quale «può godere il bene entro i limiti segnati dalla normalità dell’uso e in conformità alla sua destinazione, ma non ha titolo per distaccare dall’immobile le singole parti che lo compongono così facendo il comodatario rende mobili delle cose che non lo erano, dando luogo a una nuova situazione giuridica da cui deriva un impossessamento nuovo ed autonomo, ma privo di titolo». Di conseguenza, nel caso di specie potrebbe configurarsi il reato di furto. È necessaria una nuova indagine sulle parti rimosse. Tuttavia, essendo stata depositata una memoria difensiva in un causa civile con la quale il proprietario chiedeva che fossero rimosse le opere realizzate dal comodatario e non volute, il giudice di merito avrebbe dovuto indagare se le parti asportate si identificassero con quelle per le quali si pretendeva la rimozione. Questa omissione impone l’annullamento della sentenza con rinvio per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 novembre 2011 – 12 marzo 2012, numero 9418 Presidente Ferrua – Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. A seguito dell'annullamento, da parte della Corte di Cassazione, di una precedente sentenza di condanna, la Corte d'Appello di Milano è stata nuovamente investita, quale giudice di rinvio, dell'appello proposto da G R. avverso la sentenza con la quale il locale Tribunale lo aveva condannato alle pene di legge per i delitti di furto aggravato e danneggiamento in danno di P.S. . 1.1. In fatto era accaduto che il R. , comodatario di un capannone insistente su un terreno acquistato dal Palazzo, fosse stato invitato al rilascio anche con l'esercizio di un'azione di sfratto. Nel corso del procedimento egli aveva rimosso dal capannone alcune parti, tra cui portoni d'ingresso, finestre, parti di pavimentazione e della copertura. 1.2. Con sentenza in data 20 aprile 2010 il giudice di rinvio, in ciò confermando la pronuncia impugnata, ha ravvisato la penale responsabilità dell'imputato in ordine al furto, con esclusione delle condotte poste in essere fino al giorno 20 ottobre 2002, per le quali ha dichiarato estinto il reato per prescrizione lo ha inoltre assolto dall'imputazione di danneggiamento ai sensi dell'articolo 530, comma 2, cod. proc. penumero . 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a quattro motivi. 2.1. Col primo motivo il ricorrente contesta la sussistenza del dolo, assumendo di aver ottemperato ad un ordine di rimozione del capannone impartitogli dallo stesso P. , il quale aveva così rinunciato a ogni diritto di proprietà sul manufatto. 2.2. Col secondo motivo denuncia illogicità della motivazione, per essersi omesso di considerare che lo stesso P. , in una memoria difensiva depositata nella causa civile contro di lui, aveva intimato al deducente di rimuovere e demolire a sue spese il capannone. 2.3. Col terzo motivo deduce errata qualificazione giuridica del fatto, per essersi configurato il reato di furto in luogo di quello di appropriazione indebita osserva, al riguardo, che le parti di capannone asportate erano già nel possesso del deducente, in virtù del pregresso rapporto di comodato. 2.4. Col quarto motivo eccepisce l'estinzione del reato per prescrizione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è solo parzialmente fondato e va accolto per quanto di ragione. 2. Occorre premettere che, per quanto si riferisce ai presupposti fattuali dell'incriminazione, la linea difensiva del ricorrente è viziata da un vistoso travisamento in quanto identifica l'oggetto del furto nei materiali risultanti da una pretesa demolizione dell'intero capannone mentre l'ipotesi criminosa cui il giudice di merito ha acceduto riguarda l'asportazione di alcune parti del capannone costituite da portoni d'ingresso, finestre, parti della pavimentazione e della copertura. 3. Non condivisibile è, inoltre, l'assunto del ricorrente a tenore del quale la fattispecie contestata sarebbe da ricondurre all'ipotesi delittuosa di cui all'articolo 646 cod. penumero , anziché al furto, in quanto all'epoca della rimozione di parti del fabbricato il R. ne aveva la detenzione in virtù del rapporto di comodato. 3.1. Al riguardo occorre tener presente quale sia l'ambito dei diritti spettanti al comodatario il quale può godere il bene entro i limiti segnati dalla normalità dell'uso e in conformità alla sua destinazione, ma non ha titolo - se non sia autorizzato dal proprietario - per distaccare dall'immobile le singole parti che lo compongono cosi facendo il comodatario rende mobili delle cose che non lo erano, dando luogo a una nuova situazione giuridica da cui deriva un impossessamento nuovo ed autonomo, ma privo di titolo. Conseguentemente l'appropriazione delle parti distaccate integra l'ipotesi criminosa del furto e non quella dell'appropriazione indebita, dato che quest'ultima presuppone la preesistenza di un titolo di possesso. 4. Fondata è, invece,la critica mossa alla sentenza impugnata nella parte in cui disattende la linea difensiva basata sul consenso dell'avente diritto. Ed invero, avendo il R. addotto a causa di giustificazione la diffida rivoltagli dal P. in una memoria depositata in una causa civile inter partes, affinché rimuovesse le opere da lui stesso realizzate e non volute dal proprietario, il giudice di merito non poteva eludere l'argomento con l'attribuire illogicamente ad una contraria manifestazione di volontà di data anteriore 13 agosto 1998 l'efficacia di revocare l'intimazione contenuta nella memoria depositata il 10 novembre 2000 ma avrebbe dovuto piuttosto chiedersi se le parti asportate dal R. si identificassero o meno in quelle opere da lui stesso realizzate, delle quali il Palazzo aveva preteso la rimozione. 4.1. L'avere omesso siffatta indagine, di rilievo determinante ai fini della decisione, vizia la sentenza impugnata e ne impone l'annullamento. 5. Nel contempo, peraltro, va rimarcato - in accoglimento del quarto motivo di ricorso - che il trascorrere del tempo ha causato la prescrizione, oltre che degli episodi verificatisi fino al 20 ottobre 2002 per i quali già la Corte milanese ha statuito non doversi procedere , anche di quelli aventi datazione posteriore fino a esaurire il novero della contestazione questa, infatti, si estende fino al dicembre 2002, per cui risulta ormai maturato il termine prescrizionale massimo di sette anni e sei mesi, tenuto conto degli atti interruttivi succedutisi nel corso del processo. 5.1. Agli effetti penali la rilevata estinzione dei reati costituisce causa di annullamento della sentenza senza rinvio, non risultando altre ragioni che possa prevalere su di essa ai sensi dell’articolo 129, comma 2, cod. proc. penumero . Per quanto attiene, invece, agli interessi civili, l’annullamento che consegue al vizio motivazionale dianzi riscontrato comporta il rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, secondo il disposto dell’articolo 622 cod. proc. penumero . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio agli effetti penali per i reati commessi successivamente al 20 ottobre 2002, per essere i medesimi estinti per prescrizione annulla detta sentenza agli effetti civili con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.