RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio PRIMA SEZIONE 4 APRILE 2011, N. 7599 GIURISDIZIONE CIVILE - STRANIERO GIURISDIZIONE SULLO - IN GENERE. Legge applicabile - Separazione dei coniugi e scioglimento del matrimonio - Art. 31 legge 218/1995 - Stato in cui si svolge la vita matrimoniale - Nozione - Momento di presentazione della domanda - Rilevanza - Applicabilità della legge italiana ex art. 14 della citata legge 218/1995 - Esclusione. FAMIGLIA - MATRIMONIO - SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI - EFFETTI - ASSEGNO DI MANTENIMENTO - IN GENERE. Domanda - Onere di proposizione nella memoria di costituzione - Sussistenza - Inottemperanza - Conseguenze. In tema di legge applicabile alla separazione personale ed allo scioglimento del matrimonio, ai fini dell'interpretazione del criterio previsto dall'art. 31, primo comma, della legge 218/1995, il luogo della vita matrimoniale va inteso in senso dinamico, come centro principale degli interessi e degli affetti, il quale spesso, ma non necessariamente coincide con la residenza familiare, potendo i componenti della famiglia anche avere residenze diverse pertanto, ancorchè per lungo tempo la vita matrimoniale sia stata localizzata in uno Stato, qualora successivamente, ed anche se da un breve lasso di tempo, si verifichi un mutamento, è alla nuova localizzazione che il giudice deve fare riferimento, rilevando il concreto atteggiarsi dei rapporti familiari al momento della presentazione della domanda, mentre resta del tutto irrilevante l'art. 14 della legge citata, che attiene all'accertamento materiale della legge straniera e non è suscettibile di interpretazione analogica. In tema di separazione dei coniugi, il convenuto che intenda richiedere l'assegno di mantenimento ha l'onere di formulare la relativa domanda nella memoria di costituzione, a pena di inammissibilità, con la conseguenza che essa è tardiva, ove proposta per la prima volta nella memoria di cui all'art. 183 c.p.c. Con riguardo alla questione affrontata nella prima massima, v., in senso conforme, Cass. 47/01. Sulla problematica di cui alla seconda massima, la risalente Cass. 5632/87 ha affermato che nel giudizio di divorzio, deve ritenersi ammissibile la domanda riconvenzionale, proposta dal coniuge convenuto per un aggiornamento dell'assegno di separazione, poiché si tratta di pretesa strettamente collegata con quelle oggetto della domanda principale, implicante l'opportunità di un simultaneus processus. PRIMA SEZIONE 1 APRILE 2011, N. 7574 ARBITRATO - ARBITRATO IRRITUALE O LIBERO - IN GENERE. Impegno delle parti di considerare il lodo vincolante al pari del negozio concluso - Arbitrato irrituale - Configurabilità - Previsione di vincolatività della decisione assunta a maggioranza e del rispetto del contraddittorio - Compatibilità con la natura irrituale. Ha natura di arbitrato irrituale quello previsto da una clausola compromissoria, che enunci l'impegno delle parti di considerare il carattere definitivo e vincolante del lodo, al pari del negozio tra le parti concluso e, quindi, come espressione della propria personale volontà, restando di contro irrilevanti sia la previsione della vincolatività della decisione anche se firmata solo dalla maggioranza degli arbitri, dato che pure l'arbitrato libero ammette tale modalità, in difetto di una contraria volontà delle parti, sia la previsione di una decisione secondo diritto, senza il rispetto delle forme del codice di rito, ma nel rispetto del contraddittorio, attesa la sua compatibilità con l'arbitrato libero ed, anzi, il necessario rispetto anche in quest'ultimo del principio del contraddittorio, in ragione dello stretto collegamento esistente tra il principio di cui all'art. 101 c.p.c. e gli art. 2, 3 e 24 Cost. ed in consonanza con l'art. 6 della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, essenziale per l'emanazione di ogni giudizio, in quanto nucleo fondamentale del diritto di azione e di difesa. Nell'arbitrato irrituale il contraddittorio va inteso e seguito in relazione al contenuto della pronunzia arbitrale voluta dai compromettenti. Esso non si articola,quindi, necessariamente, in forme rigorose e in fasi progressive, regolate dall'arbitro - eventualmente - anche mediante richiamo a quelle del giudizio ordinario, fra cui quelle relative alle udienze di comparizione e di audizione delle parti, ma si realizza nei limiti in cui possa assicurarsi alle parti la possibilità di conoscere le rispettive ragioni e difendersi, di modo che ognuna deve avere la possibilità di farle valere e di contrastare le ragioni avversarie. Pertanto, è sufficiente che l'attività assertiva e deduttiva delle parti si sia potuta esplicare, in qualsiasi modo e tempo, in rapporto agli elementi utilizzati dall'arbitro per la sua pronuncia e, ove questi siano acquisiti mediante l'assunzione di prove, la relativa istruttoria non può essere segreta, ma deve essere svolta dando alle parti la possibilità d'intervenire e di conoscere i suoi risultati. In applicazione di tale principio Cass. 18049/04 ha respinto il ricorso con il quale una delle parti si doleva della mancata redazione di un verbale delle operazioni e della mancata comunicazione delle attività compiute, prima dell'emissione della decisione finale, senza allegare e provare il compimento di uno specifico atto istruttorio diverso dall'esame dei documenti versati da ciascuna di esse . Cass. 16718/06 ha chiarito che a seguito delle modifiche apportate all'istituto dell'arbitrato dalla novella del 1994, tanto all'arbitrato rituale che a quello irrituale va oggi riconosciuta natura privata, configurandosi in ogni caso la devoluzione della controversia ad arbitri come rinuncia all'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato per effetto di un'opzione per la soluzione della controversia sul piano privatistico alla stregua, cioè, di un dictum di soggetti privati . Pertanto, la differenza tra le due fattispecie di arbitrato non può più fondarsi sul rilievo che, nel primo, e non nel secondo, le parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, dovendosi, per converso, ravvisare la differenza nella circostanza che, nell'arbitrato rituale, le parti stesse intendono pervenire alla pronuncia di un lodo suscettibile di esecutività onde produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., con l'osservanza del regime formale del procedimento arbitrale, mentre in quello irrituale esse intendono affidare all'arbitro la soluzione di una controversia attraverso uno strumento strettamente negoziale - mediante, cioè, una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla loro volontà -, impegnandosi, per l'effetto, a considerare la decisione degli arbitri come espressione, appunto, di tale personale volontà. Ne consegue - secondo la pronuncia citata - l'irrilevanza dell'uso di espressioni tecniche come quelle di controversia , giudizio e questioni , che, pur essendo peculiari del procedimento giurisdizionale, possono essere utilizzate anche in riferimento all'arbitrato irrituale, per mera scelta lessicale dei contraenti, onde indicare in maniera appropriata gli eventuali contrasti di fatto che possano insorgere tra loro, e la necessità che vengano sottoposti al vaglio di un collegio arbitrale. Nella specie, la Corte ha qualificato l'arbitrato come irrituale, rilevando che nella clausola compromissoria le parti avevano espressamente dichiarato di accettare il lodo come espressione della loro stessa volontà ed avevano attribuito agli arbitri il potere di giudicare secondo equità e senza alcun vincolo formale di espressione del loro giudizio, fissando un brevissimo termine per la decisione e dispensandoli dal deposito del lodo in cancelleria . PRIMA SEZIONE 31 MARZO 2011, N. 7506 EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA - CESSIONE IN PROPRIETÀ DELL'ALLOGGIO - IN GENERE. Locali adibiti ad uso diverso dall'abitazione - Mera facoltà dell'ente proprietario del locale di addivenire alla cessione - Conseguenze - Proposta di cessione accettata dal privato - Conclusione del contratto - Sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. - Ammissibilità. A differenza delle ipotesi contemplate negli art. 2 e 3 del d.P.R. 2/1959, in cui l'assegnatario di un alloggio è titolare di un diritto alla cessione in proprietà del bene cui corrisponde l'obbligo dell'ente proprietario di addivenire alla conclusione del contratto, peraltro incoercibile in ragione della connotazione pubblicistica del rapporto, nell'ipotesi di cui all'art. 19 dello stesso d.P.R. 2/1959, afferente i locali adibiti ad uso diverso dall'abitazione, l'ente proprietario non ha l'obbligo, ma soltanto la facoltà di cedere in proprietà all'assegnatario qualora questi eserciti il diritto di prelazione che gli è riconosciuto dalla norma stessa od in caso contrario a terzi i locali adibiti ad uso diverso dall'abitazione e tale facoltà, implicando un'attività non vincolata, ma alla quale sono connessi ampi poteri discrezionali e valutativi, è esercitata dall'ente secondo le regole del diritto privato. Ne consegue che, una volta che la proposta di cessione sia stata accettata dal soggetto cui è rivolta, il contratto è concluso e la proposta non è più revocabile, e che, inoltre, il cessionario, ove il cedente non proceda al trasferimento, può avvalersi dello specifico strumento posto a sua disposizione dall'art. 2932 c.c Riguardo al trasferimento in proprietà agli assegnatari di alloggi di edilizia economica e popolare già assegnati in locazione semplice, lo scambio di consensi che si verifica quando alla domanda di riscatto dell'assegnatario di alloggio, inviata prima dell'entrata in vigore della legge n. 513 del 1977, ed opportunamente confermata in ottemperanza al disposto dell'art. 27 della stessa legge, sia seguita l'accettazione da parte dell'istituto, con comunicazione del prezzo di cessione, esaurisce il procedimento amministrativo, attribuendo all'assegnatario - ed agli eredi - il diritto a pretendere la valutazione della domanda e di ottenere il risarcimento del danno per la perdurante inerzia dell'amministrazione, ma non determina l'acquisizione della proprietà dell'alloggio fino alla formale stipulazione del contratto, e neppure integra, in quanto caratterizzato da connotazioni pubblicistiche, un contratto preliminare di compravendita suscettibile di esecuzione in forma specifica Cass. S.U. 11334/07 . PRIMA SEZIONE 30 MARZO 2011, N. 7204 OPERE PUBBLICHE APPALTO DI - ESECUZIONE DEL CONTRATTO - TERMINI DI ESECUZIONE - DI ULTIMAZIONE - IN GENERE. Premio di incentivazione per anticipata ultimazione dei lavori - Art. 35 legge Reg. Sicilia 21/1985 - Interpretazione. OPERE PUBBLICHE APPALTO DI - PREZZO - PAGAMENTO - IN GENERE. Ritardo nel pagamento dell'acconto e del saldo contrattuale - Interessi di mora - Estensione ad altre ipotesi di pagamento o all'inadempimento sostanziale di obblighi assunti dall'amministrazione appaltante - Esclusione. Debiti per maggiori compensi o indennizzi - Costituzione in mora del committente - Iscrizione di una riserva nel registro di contabilità o missione e presentazione di fattura - Inidoneità - Conseguenze. In tema di appalti di opere pubbliche nella regione Sicilia, la norma di cui all'art. 35 della legge reg. 21/1985 - nel prevedere il diritto alla corresponsione di un premio di incentivazione , da corrispondere all'impresa in caso di anticipata ultimazione dei lavori rispetto ai termini contrattuali inizialmente previsti dal capitolato d'appalto - deve essere interpretata, sul piano letterale, logico e sistematico, nel senso che tale premio è collegato solo ad una ultimazione anticipata rispetto al termine inizialmente fissato dal contratto, con esclusione, quindi, del premio in tutti i casi in cui il termine finale sia posticipato, e quindi tanto se ciò avvenga a seguito di proroga anche concordata, quanto nell'ipotesi di sospensioni e varianti, ancorchè disposte dalla stazione appaltante, quanto infine per fatti dovuti a slittamento o differimento per forza maggiore, dal momento che l'interesse pubblico all'esecuzione dell'opera prima del tempo inizialmente fissato, valutato positivamente in relazione ai tempi iniziali, può non sussistere rispetto ai diversi tempi sopravvenuti nel corso dell'esecuzione, quale che sia la causa del differimento. Le disposizioni di cui agli articoli. 35 e 36 del capitolato generale delle opere pubbliche, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, che attribuiscono all'appaltatore il diritto alla corresponsione di interessi di mora in varia misura e con varie decorrenze in caso di ritardo della P.A., trovano applicazione soltanto nei casi di ritardo dei pagamenti delle rate di acconto o di saldo dei lavori oltre i termini in esse indicati e non sono analogicamente estensibili ad altre diverse ipotesi di ritardato pagamento o al caso di inadempimenti sostanziali ad obblighi assunti dall'Amministrazione appaltante per i quali, ove sia accertato che sono ad essa addebitabili, è dovuto il risarcimento dei danni secondo le regole ordinarie. In tema di appalto di opera pubblica, la costituzione in mora del committente, con riguardo a debiti per maggiori compensi, indennizzi o interessi, postula una intimazione di pagamento e, pertanto, non può discendere dalla mera iscrizione di una riserva nel registro di contabilità o della semplice emissione e presentazione di fattura con la conseguenza che gli interessi sulle somme risultanti effettivamente dovute da parte dell'Amministrazione vanno liquidati dalla data dell'intimazione di pagamento o della domanda introduttiva del giudizio. Con riguardo alla prima massima, v., in senso conforme, Cass. 13434/05, 17331/02. La questione di cui alla seconda massima è stata decisa nel medesimo senso da Cass. 26916/08, 23089/07, e quella di cui alla terza massima da Cass. 3768/06. SECONDA SEZIONE 16 MARZO 2011, N. 6196 SANZIONI AMMINISTRATIVE - APPLICAZIONE - CONTESTAZIONE E NOTIFICAZIONE. Contestazione immediata - Nozione - Coincidenza con l'ipotesi di flagranza - Esclusione - Conseguenze. L'obbligo della P.A. di contestazione immediata delle violazioni amministrative non si identifica con l'ipotesi della flagranza è, pertanto, valida la sanzione amministrativa contestata subito dopo il fatto anche quando l'agente accertatore non vi abbia assistito direttamente, ma abbia desunto la commissione dell'infrazione da elementi probatori od indiziari raccolti nell'immediatezza di essa. Nella specie, il giudice di pace aveva annullato la sanzione irrogata ad un automobilista per guida con patente scaduta, in base al rilievo che l'agente accertatore non avesse personalmente visto la persona sanzionata guidare alcun veicolo, ma avesse desunto aliunde che fosse discesa da un mezzo lasciato in sosta poco prima. La Corte ha cassato tale decisione, formulando il principio di cui alla massima. In tema di sanzioni amministrative, l'art. 13 della legge 689/1981 consente ai verbalizzanti di procedere alla ispezione di cose e ad ogni altra operazione tecnica necessaria al fine di accertare il fatto costituente la violazione, anche avvalendosi di competenze tecniche di soggetti privati idonei allo scopo, e prevede il libero esercizio della potestà accertativa della P.A. senza alcun intervento diretto dell'autore dell'illecito, contemplato dal successivo art. 15 della legge nei casi, eccezionali, di revisione delle analisi di campioni Cass. 6794/07 fattispecie relativa a sanzione comminata ad un cacciatore per l'abbattimento di una femmina di cervo gravida, in cui la Corte ha ritenuto valido l'accertamento compiuto dagli agenti forestali sul corpo dell'animale in assenza del trasgressore . SECONDA SEZIONE 16 MARZO 2011, N. 6181 APPALTO CONTRATTO DI - RESPONSABILITÀ - DELL'APPALTATORE. Risoluzione del contratto per colpa dell'appaltatore - Compenso per le opere già eseguite - Determinazione - Detrazione del danno causato al committente - Ammissibilità. APPALTO CONTRATTO DI - GARANZIA - PER LE DIFFORMITÀ E VIZI DELL'OPERA - IN GENERE. Domanda risarcitoria in aggiunta o in alternativa alla riduzione del prezzo - Presupposti e funzione - Mancata esecuzione specifica della condanna alla eliminazione delle difformità o dei vizi - Domanda subordinata di attribuzione del risarcimento per equivalente - Presupposti e funzioni - Inclusione nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi - Ammissibilità. La risoluzione del contratto di appalto per colpa dell'appaltatore non osta a che questi, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, abbia diritto al riconoscimento di compenso per le opere già effettuate, e delle quali comunque il committente stesso si sia giovato. Nel contratto di appalto il committente, che lamenti difformità o difetti dell'opera, può richiedere, a norma dell'art. 1668, primo comma, c.c., che le difformità o i difetti siano eliminabili a spese dell'appaltatore mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall'art. 2931 c.c., oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi. Tale domanda risarcitoria non si identifica con quella diretta all'attribuzione del risarcimento per equivalente che il committente proponga in subordine alla mancata esecuzione specifica della condanna all'eliminazione delle difformità o dei vizi la prima, infatti, che postula la colpa dell'appaltatore, è utilizzabile per il ristoro del pregiudizio che non sia eliminabile mediante un nuovo intervento dell'appaltatore come nel caso di danni a persone o a cose, o di spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare eseguire direttamente la seconda, che prescinde dalla colpa dell'appaltatore tenuto comunque alla garanzia, tende a conseguire un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il sostitutivo legale, mediante la prestazione della eadem res debita, sicchè deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi. Sulla questione di cui alla prima massima, v., in senso conforme, Cass. 5444/77. Sulla questione affrontata nella seconda massima si era già pronunciata nel medesimo senso Cass. 2346/95. SECONDA SEZIONE 16 MARZO 2011, N. 6170 LAVORO - LAVORO AUTONOMO - CONTRATTO D'OPERA - PROFESSIONI INTELLETTUALI - RECESSO - IN GENERE. Recesso del prestatore d'opera in presenza od in assenza di giusta causa - Conseguenze - Onere della prova - Riparto - Criteri. Il prestatore d'opera che receda dal contratto in presenza d'una giusta causa ha diritto al compenso per le prestazioni già eseguite, a condizione che ne provi l'utilità per il cliente ove, invece, il professionista receda senza giusta causa, il contratto si scioglie ugualmente posto che la prestazione d'opera è incoercibile , ma il recedente è tenuto al risarcimento del danno di cui il cliente abbia dimostrato l'esistenza. In materia di professioni intellettuali, il professionista che recede dal contratto per giusta causa e chiede il compenso per le sue prestazioni, ai sensi dell'art. 2237, secondo comma, c.c. ha l'onere di dimostrare l'esistenza del credito, quindi anche il risultato utile derivato al cliente dallo svolgimento della sua opera in applicazione del succitato principio Cass. 13753705 ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda proposta da un architetto, al quale un Comune aveva conferito l'incarico di redigere un progetto di adeguamento e di messa a norma di un immobile e che era receduto dal contratto successivamente alla redazione del progetto e alla mancata approvazione dell'esecuzione dell'opera ed aveva chiesto il pagamento del compenso, senza provare il risultato utile derivato al Comune dall'opera da lui svolta .