In materia di equa riparazione per violazione della ragionevole durata di un procedimento, l’articolo 4 l. numero 89/2001, laddove stabiliva che la domanda di riparazione potesse essere proposta durante la pendenza del procedimento in cui si è verificata la violazione secondo la disposizione ante d.l. 83/2012 , non prevede la decorrenza di alcun termine. Nemmeno si può ritenere operante la prescrizione del diritto all’indennizzo che si sovrapporrebbe con il termine di decadenza fissato dalla legge.
Il contrasto tra le Sezioni semplici. Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state interpellate per risolvere il contrasto in ordine all’operatività o no della prescrizione per la proposizione della domanda di indennizzo nel corso del procedimento in cui si assume verificata la violazione. Innanzitutto, bisogna prendere in considerazione la norma, dal momento che alcune recenti novità impongono una precisazione. L’articolo 4 legge 89/2001 stabiliva nel vecchio testo che «La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva». Recentemente, ad opera dell’articolo 55, comma settimo, d.l. numero 83/2012 convertito con modificazioni dalla legge 134/2012 è stata eliminata la prima parte della disposizione, per cui attualmente la domanda di equa riparazione può essere proposta solamente quando è definitiva la decisione che chiude il giudizio nel termine decadenziale di sei mesi. La legge di conversione del suddetto decreto è entrata in vigore il 12 agosto 2012 e la novità vale per i ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo. La questione – sorta durante la vigenza del vecchio testo - si pone, pertanto, per i procedimenti pendenti al momento dell’entrata in vigore della novità legislativa. Orientamenti a confronto. In ordine alla decorrenza della prescrizione nel caso di specie, due sono gli schieramenti delineatisi. Da un lato vi è l’orientamento tradizionale e dominante, che fa capo alla sentenza 27719/2009, portatrice del seguente principio di diritto «In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, l'articolo 4 della legge 24 marzo 2001, numero 89, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l'indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo articolo 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all'incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonché il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l'operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo». Più di recente si è profilato un altro indirizzo in senso opposto, che ha come riferimento la sentenza 4524/2010, in cui si è affermato «Il diritto ad un'equa riparazione in caso di mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, numero 89, è soggetto all'ordinaria prescrizione decennale, e non a quella breve dettata dall'articolo 2947 c.c. per il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito». A onor del vero, la sentenza si occupa della natura del diritto e della durata del termine, non ponendosi nel caso di specie alcuna discussione sulla prescrizione, che viene ritenuta implicitamente operante nel caso di specie. Stando a questa opinione, la vicenda estintiva matura nel tempo e per effetto del proseguire del processo e del verificarsi dei pregiudizi per i soggetti legittimati a chiedere l’indennizzo. Le ragioni della Suprema Corte per l’esclusione della prescrizione. Le SS.UU si schierano a favore dell’orientamento dominante, sulla base di un condivisibile piano argomentativo che trae fondamento in primis dal dato letterale. Il suddetto articolo 4, infatti, prevede espressamente un termine di decadenza per la proposizione della domanda di indennizzo quando il processo è chiuso diversamente, in caso di domanda in corso di processo non era previsto alcun termine e nient’altro era stato specificato dal legislatore. Di conseguenza, risulta alquanto forzato escogitare l’operatività della prescrizione in presenza di un termine di decadenza decorrente successivamente alla chiusura del giudizio e che andrebbe a sovrapporsi ad esso. A sostegno di ciò deve aggiungersi, infatti, che altre due norme, gli articolo 2697 e 2964, esprimono inequivocabilmente l’incompatibilità tra prescrizione e decadenza con riferimento all’esercizio del medesimo diritto. Come è noto, ogni diritto si estingue quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge, a mente dell’articolo 2934 c.c. Con la prescrizione, dunque, è presa in considerazione l’inerzia protratta per un certo tempo, soggetta a sospensione ed interruzione. In caso di decadenza - istituto per cui è necessaria una previsione legislativa o negoziale specifica che la giustifica - rileva solo il fatto che un’inerzia ci sia o sia cessata ed è del tutto irrilevante ogni situazione che potrebbe giustificare la sospensione o l’interruzione articolo 2964 c.c. Irrilevanza dell’inerzia. Questo rilievo è confermato dalla disciplina speciale di cui all’articolo 4 della Legge Pinto, perché se la disposizione ritiene irrilevante l’inerzia fino a che non sia decorso il termine di sei mesi dalla definitività della decisione che conclude il processo sarebbe contraddittorio ritenere che la stessa inerzia possa provocare l’estinzione del diritto alla ragionevole durata, precludendo al tempo stesso la proponibilità della relativa azione giudiziaria. È questa l’argomentazione chiave della motivazione dei giudici di legittimità. A sostegno della stessa, poi, militano ulteriori ragioni, di ordine legislativo, logico e pratico. Nel primo aspetto rientra la disciplina transitoria di cui alla l. numero 89/2001 che, nel regolare la prosecuzione davanti al giudice italiano delle cause pendenti dinanzi alla Corte di Strasburgo, stabilisce termini di decadenza, a riprova della volontà del legislatore di prevedere solo questa forma di esaurimento dell’esercizio del diritto in capo al titolare. Quanto alle ragioni di ordine logico, si deve tener presente che è immanente nel nostro ordinamento giuridico l’incompatibilità tra prescrizione e decadenza. Anche in casi particolari, infatti, laddove sembrano concorrere i due istituti, è solo il mancato operare della decadenza che rende operativo il termine di prescrizione ma non è mai dato che in corso di termine di decadenza il titolare possa anche perdere il diritto vantato così è per il recupero delle somme che il conduttore abbia versato oltre quelle previste dalla legge, ex articolo 79, secondo comma, l. numero 392/78 o per l’inoperatività della decadenza dall’opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione in caso di omesso deposito della relazione dell’ufficio tecnico erariale del foglio degli annunzi legali della provincia . Infine, dal punto di vista pratico sarebbe molto difficile individuare la maturazione della prescrizione, in quanto questa dipenderebbe da una serie di circostanze suscettibili di variare nel tempo ci si riferisce alla difficoltà di stabilire quando la durata di un processo si riveli del tutto irragionevole . Inoltre, la possibilità per la parte di interrompere la decorrenza della prescrizione darebbe luogo a diverse iniziative giudiziali in tal senso che potrebbero tradursi in un abuso del processo.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 27 marzo – 2 ottobre 2012, numero 16783 Presidente Adamo – Relatore Salmè Svolgimento del processo Gi Mi. nato a omissis , Mi.Gr. e F. , S M. , in proprio e nella qualità di erede di gi mi. , e m.g. nato a Messina il omissis , con ricorso del 12 febbraio 2008 hanno chiesto alla corte d'appello di Reggio Calabria la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell'equo indennizzo per il pregiudizio subito per l'irragionevole durata di una causa avente ad oggetto diritti condominiali iniziata davanti al tribunale di Messina con atto di citazione del 15, 16 e 18 maggio 1981 definito con sentenza del 6 ottobre 2005, ancora pendente in appello. L'amministrazione ha eccepito la prescrizione parziale del credito azionato. La corte d'appello, con decreto del 10 novembre 2008 ha ritenuto che, per la complessità dell'attività istruttoria svolta e la non sollecita riassunzione del giudizio a seguito di due interruzioni, la durata ragionevole del giudizio di primo grado doveva determinarsi in sei anni che l'eccezione di prescrizione era in parte fondata e che, pertanto, il diritto all'equa riparazione per il periodo anteriore al decennio dal 12 febbraio 2008, data del ricorso introduttivo, si era estinto e che il periodo di durata irragionevole doveva determinarsi in sette anni, sette mesi e 24 giorni, tenendo conto dei periodi di inattività addebitabili all'ufficio giudiziario. Conseguentemente, la corte territoriale, respinta la domanda di indennizzo del danno patrimoniale perché non provato, ha condannato l'amministrazione convenuta al pagamento di Euro 7.650,03, pari ad Euro 1.000,00 per anno di ritardo calcolato con riferimento all'attualità, in favore di tutti ricorrenti, con gli intereressi al tasso legale dalla data del decreto e le spese legali, compensate fino alla metà. A sostegno dell'accoglimento dell'eccezione di prescrizione la corte territoriale, premesso che per la natura indennitaria e non risarcitoria del credito dovesse applicarsi la prescrizione decennale, ha ritenuto che il termine di prescrizione decorre giorno per giorno dal momento in cui il processo presupposto supera la durata ragionevole, come in tutti gli illeciti permanenti, e pertanto che la prescrizione si era maturata a partire dal sesto anno successivo alla proposizione della domanda di merito fino al decimo anno anteriore alla presentazione della domanda ai sensi della legge numero 89 del 2001 e quindi fino al 12 febbraio 1998. M.G. e F. , quali eredi di Mi.Gi. nato a omissis , Mi.Gr. e Fl. nata nel M.S. e f. nata nel e g m. nato a omissis hanno proposto ricorso sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il Ministero. Il ricorso, inizialmente assegnato alla prima sezione civile, a seguito di ordinanza del 17 ottobre 2011 che ha segnalato il contrasto tra diverse pronunce in ordine all'applicabilità della prescrizione nelle controversie ai sensi della legge numero 89 del 2001, è stato assegnato alle sezioni unite. In occasione dell'udienza di discussione davanti a queste sezioni unite la difesa erariale ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli articolo 2934 e 2935 c.c. e vizio di motivazione i ricorrenti, censurano l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione rilevando che la legge numero 89 del 2001 prevede esclusivamente la decadenza e non anche la prescrizione che, peraltro, è incompatibile con la natura indennitaria dell'equa riparazione, il cui presupposto è proprio l'inattività delle parti che dovrebbe fungere da presupposto del credito azionato, e con la circostanza che il dies a quo non può essere individuato con la necessaria certezza, perché la durata ragionevole del giudizio deve essere determinata caso per caso dal giudice, valutando l'andamento dell'intero giudizio quando lo stesso sia terminato, circostanza che comporterebbe l'inflazione dei giudizi promossi, anche in pendenza dei giudizi presupposti, al solo fine di interrompere l'eventuale prescrizione. Né potrebbe applicarsi il principio secondo cui nell'illecito permanente il diritto al risarcimento matura giorno per giorno, perché il pregiudizio da durata irragionevole nasce solo quando è superata la durata ragionevole ed è proporzionale alla durata e si aggrava con il passare del tempo e, pertanto la prescrizione decorrerebbe solo dal momento della cessazione della condotta lesiva. Comunque la prescrizione non potrebbe decorrere da un momento anteriore all'entrata in vigore della legge numero 89 del 2001, perché è solo con l'articolo 4 di tale normativa che è stata attribuita la facoltà di chiedere l'indennizzo per il pregiudizio derivante dall'irragionevole durata del giudizio anche nel corso dello stesso, mentre l'articolo 35 della CEDU prevedeva che prima di adire la corte di Strasburgo dovessero essere esaurite le vie di ricorso interne. L'assurda conseguenza della tesi seguita dalla corte territoriale sarebbe che al momento dell'entrata in vigore della legge numero 89 del 2001 si sarebbe già maturata la prescrizione in relazione a tutti i diritti presupposti per i quali la durata ragionevole fosse stata superata già da dieci anni. Con il secondo motivo, deducendo la violazione dell'articolo 2 della legge numero 89 del 2001 e dell'articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo nonché vizio di motivazione, si lamenta che sia stata determinata la durata ragionevole del giudizio in sei anni, mentre la costante giurisprudenza della corte di Strasburgo e dei giudici nazionali fissano il termine massimo di durata ragionevole in tre anni. Comunque sarebbe anche erronea la motivazione sulla base della quale è stato determinato il termine più lungo perché la causa non presentava particolare difficoltà, aveva richiesto solo l'espletamento di una c.t.u. e le interruzioni, verificatesi nel 1995 e nel 1998, debbono ritenersi comprese nel predetto termine perché eventi fisiologici. Peraltro, essendo gli eventi interruttivi accaduti dopo 14 anni dall'inizio del processo,non avrebbero avuto alcun rilievo se il processo fosse stato definito entro i tre anni. Il terzo motivo, prospettando un ulteriore profilo di violazione dell'articolo 2 della legge numero 89 del 2001, dell'articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e vizio di motivazione di ricorso censura il provvedimento di merito per avere liquidato la somma di Euro 7.650,03 in favore dei sei ricorrenti e quindi la somma di Euro 1.275,00 per ognuno di essi, discostandosi dal parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo fissato dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo. 2. In ordine alla questione prospettata con il primo motivo, come esattamente rilevato dall'ordinanza di rimessione, è insorto un contrasto all'interno della Corte. L'indirizzo tradizionale e largamente prevalente afferma che in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la legge 24 marzo 2001, numero 89, articolo 4, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l'indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine della prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto nel medesimo articolo 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all'incompatibilità tra prescrizione e decadenza, se relative al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonché il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione delle iniziative processuali, che l'operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo Cass. 30 dicembre 2009 numero 27719, e nello stesso senso, 12 febbraio 2010 numero 3325 22 febbraio 2010, numero 4091 24 febbraio 2010, numero 4526 26 febbraio 2010, numero 4760 4 ottobre 2010 numero 20564, 11 gennaio 2011 numero 478 . Secondo l'ordinanza di rimessione, in senso opposto si sarebbe pronunciata Cass. 24 febbraio 2010 numero 4524 dalla quale è stata estratta la seguente massima il diritto di chi ha subito una danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla legge 4 agosto 1955, numero 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, par. 1, della Convenzione, ad un equa riparazione, secondo quanto previsto dalla legge 24 marzo 2001, numero 89, articolo 2, ha natura indennitaria e non risarcitoria ed è quindi soggetto all'ordinaria prescrizione decennale e non a quella breve dettata dall'articolo 2947 c.c. la vicenda estintiva matura nel tempo e per effetto del proseguire del processo e del verificarsi dei pregiudizi per i soggetti legittimati a chiedere l'indennizzo, per cui all'attore compete ogni danno dal momento degli eventi lesivi che si susseguono a decorrere dal decimo anno anteriore alla domanda, salvo che questa sia stata proposta oltre il termine di sei mesi di cui all'ultimo inciso della L. numero 89 del 2001, articolo 4 . Nella specie, peraltro, era in discussione soltanto la durata del termine ma non l'applicazione della prescrizione già avvenuta. Questa massima è stata espressamente posta a base del provvedimento di merito in questa sede impugnato e ad essa l'ordinanza di rimessione aggiunge l'ulteriore considerazione che la scelta di qualificare come meramente processuale l'articolo 4 della numero 89 del 2001, fatta propria dal primo orientamento, non approfondisce le ragioni per le quali al diritto che nasce nel corso del processo per l'indennizzo dei danni prodotti dal prolungarsi di esso, pur non essendovi un esplicita deroga normativa alla regola generale dell'articolo 2934, 2 comma c.c., e potendosi comunque far valere nel momento in cui si assume che la violazione del diritto alla giusta durata del procedimento si è verificata articolo 2935 c.c. , non possa applicarsi la prescrizione ordinaria decennale articolo 2946 c.c. , con ogni disposizione accessoria interruzione e sospensione , per i danni maturati successivamente al 1 agosto 1973, data di inizio del funzionamento dell'organo giurisdizionale sopranazionale che poteva accertare la lesione dei diritti dei legittimati ad agire prima ancora dell'entrata in vigore della cosiddetta legge Pinto. Sottolineare che la decadenza prevista nella citata legge numero 89 del 2001, impedisce che maturi la prescrizione, non tiene conto che il processo presupposto può continuare ed essere pendente anche oltre la data della domanda di equa riparazione, con la conseguenza che l'esame della eccezione di prescrizione può valutarsi prima della definitività della sentenza che conclude il processo presupposto, anche in considerazione del diritto vivente che risulta dalle decisioni della Corte Europea dei diritti dell'uomo che hanno riconosciuto la prescrittibilità delle posizioni soggettive tutelate dalla convenzione, alle quali possono di regola applicarsi le norme processuali e sostanziali di diritto interno, ove non impediscano la tutela effettiva del diritto di cui alla Convenzione stessa con riferimento alla prescrizione, cfr. Previti c. Italia 8 dicembre 2009 ric. numero 45291/06, Par. 118, 119 e 123 . Conclude l'ordinanza di rimessione che del contrasto appare opportuno investire le sezioni unite della Corte, anche in ragione dei rilevanti problemi di politica giudiziaria che la risoluzione della questione pone, in rapporto agli oneri rilevanti di bilancio che l'applicazione della cosiddetta legge Pinto comporta, che potrebbero variare, secondo che si applichi l'uno o l'altro dei principi sopra enunciati. 3. La Corte ritiene di dover privilegiare l'orientamento largamente prevalente nella propria giurisprudenza. 3.1. Si deve innanzi tutto prendere atto che, qualunque sia la tesi interpretativa preferibile sul piano teorico generale circa la prescrittibilità di ogni diritto, anche se di natura costituzionale o avente base legale in una disciplina sovranazionale pur se, conseguentemente, debba ritenersi indisponibile , e circa la compatibilità della prescrizione e decadenza di uno stesso diritto, la lettera dell'articolo 4 della legge numero 89 del 2001, con norma che ha evidente natura di legge speciale, prevede testualmente che il termine per proporre la domanda di equa riparazione quando il processo è esaurito è termine di decadenza, mentre per proporre la domanda in corso di processo non è previsto alcun termine. E sempre sul piano testuale una convincente lettura dell'articolo 2697 c.c., in coerenza, peraltro con la rubrica dell'articolo 2964 c.c., postula appunto l'affermazione dell'incompatibilità tra decorrenza del termine di prescrizione e la pendenza del termine di decadenza per l'esercizio del medesimo diritto, prevedendo che il termine di prescrizione possa iniziare a decorrere solo quando il compimento dell'atto o il riconoscimento del diritto disponibile abbiano impedito il maturarsi della decadenza. 3.2. Omogenea alla disciplina processuale a regime è poi la disciplina transitoria di cui alla legge numero 89 del 2001, la quale, nel consentire la prosecuzione davanti al giudice italiano delle cause di equa riparazioni pendenti davanti alla Corte di Strasburgo, pone due limiti temporali che all'evidenza debbono essere qualificati come di decadenza quello di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge numero 89 per iniziare il giudizio davanti al giudice italiano e il rispetto del termine di sei mesi, dall'esaurimento delle vie di ricorso interne previsto dall'originario testo dell'articolo 36 della CEDU per il ricorso alla Corte EDU. Né è senza rilievo la genesi della legge interna diretta al tempo stesso ad alleviare il carico di lavoro della Corte di Strasburgo, ma anche a semplificare e rendere più facilmente accessibile l'azione riparatoria contro l'eccessiva durata dei giudizi, come la stessa giurisprudenza di Strasburgo ha più volte riconosciuto, mentre l'introduzione di un termine prescrizionale non previsto certamente dalla legge speciale ne frustrerebbe in modo grave le finalità, contraddicendone la ratio. Tale argomento non risulta peraltro superato né dall'osservazione secondo la quale la regola generale della prescrittibilità dei diritti non potrebbe essere superato da una disciplina derogatoria di natura implicita, né dal rilievo che l’articolo 6, così come l'articolo 4 della legge numero 89, riferendosi alla proponibilità dell'azione, limiterebbero i loro effetti al piano processuale, mentre la prescrizione opera su quello sostanziale. Infatti, la disciplina speciale, esplicita o implicita che sia, è sempre idonea a derogare a quella generale e la problematica se la prescrizione colpisca il diritto o l'azione, pur se affrontata dallo stesso legislatore articolo 2934 c.c. , è di natura tutta teorica, come dimostra il fatto che nello stesso ordinamento positivo sono numerosissime le ipotesi in cui diverse disposizioni legislative predicano la prescrizione dell'azione, e pertanto, anche a voler tralasciare il principio generale chiovendiano secondo il quale il processo deve dare a chi ha ragione proprio tutto quello che la norma sostanziale garantisce, la distinzione tra norma sostanziale e processuale, agli specifici fini di cui si tratta, è troppo controvertibile per potervi fondare una conclusione dai riflessi pratici di grandissimo rilievo. 3.4. L'analisi della disciplina positiva conferma pienamente i rilievi che si possono trarre dal dato letterale desunto dalla disciplina speciale, che è di per sé sufficiente a giustificare la soluzione accolta. Infatti, in tesi generale, pur essendo prescrizione e decadenza connesse all'inerzia del soggetto e dirette a dare certezza ai rapporti giuridici, in un caso viene presa in considerazione l'inerzia protratta per un certo tempo, suscettibile di interruzione e sospensione, mentre nell'altro ciò che rileva non è la durata dell'inerzia, ma il solo fatto che un'inerzia ci sia o sia cessata, tanto che è irrilevante ogni situazione che potrebbe giustificare l'eventuale interruzione o sospensione del termine articolo 2964 c.c. . Rilievo che trova conferma nella disciplina speciale perché se l'articolo 4 della legge numero 89 del 2001 ritiene irrilevante l'inerzia fino a che non sia decorso il termine di sei mesi dalla definitività della decisione che conclude il processo, non si potrebbe poi ritenere, contraddittoriamente, che la stessa inerzia, sia pure prolungata per tutta la durata in cui il processo, pur avendo superato la durata ragionevole, non è ancora definitivamente concluso possa provocare l'estinzione del diritto alla ragionevole durata, precludendo al tempo stesso la proponibilità della relativa azione giudiziaria. D'altra parte, se pure introdotta come istituto generale dal nuovo codice, la decadenza, a differenza dalla prescrizione, non è istituto di applicazione generale, essendo necessaria una previsione legislativa o negoziale specifica che la giustifica e che, in quanto tali, sono destinate a prevalere sulla normativa generale. 3.5. Confermano le conclusioni raggiunte due situazioni processuali che sono state invocate a sostegno dell'opposta tesi. La prima è quella dell'inoperatività della decadenza dall'opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione in caso di omesso deposito della relazione dell'ufficio tecnico erariale nel foglio degli annunzi legali della provincia. In tal caso, non potendo operare il termine di decadenza, in via alternativa e non cumulativa, la giurisprudenza della corte afferma comunque l'operatività della prescrizione cass. 10 settembre 2004, numero 18237 8 maggio 2001, numero 6367 20 dicembre 2000, numero 16026 . La seconda ipotesi, in cui si riscontra l'alternatività dell'operatività della decadenza rispetto alla prescrizione, è quella del recupero delle somme che il conduttore abbia versato oltre quelle previste dalla legge articolo 79, 2 comma legge numero 392 del 1078 o dall'articolo 13 della legge numero 431 del 1998 . In tal caso se il conduttore agisce rispettando il termine di decadenza può recuperare tutte le somme indebitamente versate, ma se non rispetta il termine di decadenza, non per questo l'azione diventa improponibile, salva, tuttavia la possibilità del locatore di eccepire la prescrizione ex multis v. Cass. 7 luglio 2010, numero 16009 6 maggio 2010, numero 10964, 3 aprile 2009 numero 8143 . In entrambi i casi, pertanto, è solo il mancato operare della decadenza, vuoi per mancata decorrenza del termine vuoi per scadenza dello stesso, che rende operativo il termine di prescrizione, ma non è mai dato che in corso di termine di decadenza, quando l'inerzia del titolare è giuridicamente irrilevante, lo stesso possa perdere il diritto vantato. 3.6. Di grande rilievo sono infine le ragioni di ordine pratico che militano a favore della tesi accolta. In primo luogo, imporre a carico dell'interessato l'onere di agire nel termine di prescrizione decorrente dal maturarsi della durata irragionevole del giudizio comporta la difficoltà pratica di accertare tale maturazione, caso per caso, in quanto la valutazione dipende da una serie di circostanze, tra l'altro, suscettibili di variare nel tempo, nel senso che un termine che appare irragionevole in una certa fase del processo potrebbe divenire ragionevole successivamente in seguito all'insorgere di difficoltà processuali o essere riassorbito da un più veloce svolgimento di un grado successivo. In secondo luogo l'opposta tesi, in una situazione di fatto in cui l'orientamento di questa corte Cass. 22 gennaio 2010, numero 1101 secondo cui nulla impedisce alla pubblica amministrazione di predisporre i mezzi necessari per offrire direttamente soddisfazione a chi abbia sofferto un danno a cagione dell'eccessiva durata di un giudizio in cui sia stato coinvolto, senza rendere necessario il ricorso al giudice, stenta a diventare diritto vivente e, fatto ancor più rilevante, non ha dato luogo al formarsi di una prassi amministrativa in tal senso. Ne deriva che, a parte la possibilità solo teorica di interrompere la prescrizione con atti stragiudiziali, di cui resterebbe dubbia l'idoneità interruttiva negli orientamenti giurisprudenziali, permarrebbe necessariamente una forte incentivazione alla proliferazione di iniziative giudiziarie che certamente non potrebbero essere qualificate di abuso del processo, essendo dirette a evitare legittimamente il verificarsi dell'ipotizzata prescrizione del diritto, in una situazione fattuale che non prevede in fatto l'esercizio stragiudiziale del diritto stesso. Il tutto con notevole aggravio del carico di lavoro giudiziario, che, solo per quanto riguarda questa Corte ha raggiunto nel 2011 già la soglia dell'undici per cento del numero dei ricorsi che annualmente vengono depositati. 4. L'accoglimento del primo motivo impone l'esame degli altri motivi di ricorso. Il processo presupposto ha avuto una durata di anni ventisette e mesi 9 dal 18 maggio 1981 al 12 febbraio 2008, data di proposizione del ricorso ex legge numero 89 del 2001 per due gradi di giudizio, esclusa la prescrizione fino al decennio anteriore alla proposizione del ricorso introduttivo del presente giudizio. La determinazione della durata ragionevole e la liquidazione dell'equa riparazione può avvenire senza ulteriore accertamenti di fatto, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere e non potendosi condividere la motivazione della corte di merito che da un lato è dei tutto apodittica, facendo riferimento all'espletamento di una c.t.u., che è evento processuale ordinario, e dall'altro è illogica, avendo ritenuto rilevanti due eventi come l'interruzione e sospensione del processo intervenuti in un periodo largamente successivo a quello in cui era già maturato il periodo di durata irragionevole. Applicando quindi, in mancanza di elementi contrari, i criteri ordinariamente seguiti dalla Corte di Strasburgo e da questa Corte, detratti cinque anni di durata ragionevole per i due gradi di giudizio di merito, la durata irragionevole è di anni ventidue e mesi 9. Applicando il parametro di Euro 750,00 per i primi tre anni di ritardo e di Euro 1.000,00 per gli anni successivi l'equa riparazione deve essere determinata di Euro 22.000,00. Tale somma va attribuita, in accoglimento del terzo motivo, a ciascuno dei ricorrenti, salvo che per M.G. e F. , che agiscono jure ereditario, ai quali spetta pro quota. Le spese del giudizio di merito, da riliquidare senza vincolo alla pronuncia cassata, e quelle di questo giudizio, seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso e, decidendo nel merito ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., condanna l'amministrazione al pagamento di Euro 22.000,00 in favore di M.G. e F. , pro quota, e in favore di ciascuno degli altri ricorrenti, G. , Fl. nata nel , S. , f. nata nel , M.S. e Gi. , con gli interessi al tasso legale dalla data della domanda al soddisfo condanna inoltre l'amministrazione al pagamento in favore dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di merito che liquida in Euro 1.233,00 di cui Euro 400,00 per diritti, Euro 700,00 per onorari ed Euro 133,00 per esborsi e in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi per il giudizio di cassazione, in entrambi i casi oltre alle spese4 generali e agli accessori come per legge.