La legittima difesa esige che il fatto sia commesso per la necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta.
A ricordarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 26595, depositata il 18 giugno 2013. Il caso. Un uomo è stato condannato per il reato di lesioni personali gravi, in quanto, dopo aver scavalcato arbitrariamente nella fila che si era formata in un impianto caseario, al fine di caricare del siero di latte, alle proteste dello scavalcato aveva reagito violentemente, colpendolo ripetutamente al volto con pugni. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando l’errata applicazione dei principi della legittima difesa. È stato lo stesso imputato a provocare la vittima con il proprio comportamento. La Suprema Corte ha sottolineato che per l’operare della scriminante è necessario difendere un diritto contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, mentre, nel caso concreto, un’offesa non era in atto e nessun pericolo correva il ricorrente per la propria incolumità. Infatti, la persona offesa, pur protestando per l’abuso subito, non era affatto in condizione, per l’età e le condizioni fisiche, di misurarsi con l’autore della violenza, persona molto più giovane e prestante. Inoltre, secondo i giudici di legittimità, la sentenza impugnata ha ampiamente spiegato che la vittima, in concreto, non ha posto in essere alcuna azione idonea a porre in pericolo l’incolumità dell’imputato, ma è stata, invece, malmenata dall’avversario con pugni assestati al volto. Pertanto, gli Ermellini, hanno rigettato il ricorso, ritenendo del tutto assertiva la tesi del ricorrente, secondo il quale egli era stato costretto dalla necessità di respingere un’offesa ingiusta. Infine, Piazza Cavour ha considerato improponibile anche la tesi subordinata dell’eccesso colposo in legittima difesa, posto che di quest’ultima non esistevano i presupposti legali.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 marzo - 18 giugno 2013, n. 26595 Presidente Grassi Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Cagliari, con sentenza del 13/07/2011, a conferma di quella emessa dal locale Tribunale, ha condannato S.W. a pena di giustizia per il reato di lesioni personali gravi nei confronti di F.M. . Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, il S. , dopo aver scavalcato arbitrariamente il F. nella fila che si era formata in un non meglio specificato impianto caseario, al fine di caricare del siero di latte, alle proteste vibrate del F. reagì violentemente, colpendo ripetutamente quest'ultimo al volto con pugni. Alla base della decisione vi sono le dichiarazioni della persona offesa e di due testi presenti al fatto, nonché la certificazione medica acquisita agli atti. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse dell'imputato, l'avv. Ferruccio Melis, con tre motivi. Col primo lamenta l'erronea applicazione degli artt. 52 e 55 del cod. penale, avendo i testi parlato di un iniziale atteggiamento aggressivo del F. . Col secondo censura la sentenza per vizio di motivazione. Deduce che la sentenza impugnata ha omesso di motivare in ordine alla scriminante della legittima difesa, invocata dall'imputato, nonché di esporre le ragioni della decisione. Infine, che la motivazione addotta è compatibile con l'eccesso colposo di legittima difesa, avendo parlato di reazione eccessiva al comportamento del F. . Col terzo si duole del mancato riconoscimento della provocazione, esclusa dal giudicante con motivazione illogica. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va rigettato. I primi due motivi di ricorso prospettano, sotto profili diversi, l'errata applicazione dei principi della legittima difesa e possono, per questo, essere esaminati congiuntamente. I motivi sono entrambi infondati, giacché la legittima difesa esige che il fatto sia commesso per la necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, mentre, nel caso di specie, un'offesa non era in atto e nessun pericolo correva il S. per la propria incolumità. La sentenza impugnata ha ampiamente spiegato -argomentando sulla base della consulenza tecnica espletata e sulla base delle dichiarazioni delle persona offesa e dei testi presenti al fatto - che il F. , pur protestando per l'abuso subito, non era affatto in condizione, per l'età e le condizioni fisiche, di misurarsi col S. , molto più giovane e prestante. Inoltre, che, in concreto, il F. non pose in essere alcuna azione idonea a porre in pericolo l'incolumità dell'imputato e che fu, invece, malmenato dall'avversario con pugni assestati al volto. Del tutto assertiva è, pertanto, la tesi che il S. fu costretto dalla necessità di respingere un'offesa ingiusta, esclusa dal giudicante col riferimento a precise risultanze processuali. Improponibile, nonostante l'aggettivazione usata dal giudicante, è anche la tesi subordinata dell'eccesso colposo in legittima difesa, posto che della difesa legittima, come si è appena sopra affermato, non esistevano i presupposti legali. Del resto, la stessa Corte d'appello ha chiarito che la reazione posta in essere dal S. , di fronte alle proteste del F. , è stata talmente sproporzionata da potersi rapportare, con maggior fondamento, ai precedenti attriti , sfruttando l'occasione del litigio. Nessun vizio logico è ravvisarle, infine, nella motivazione resa dal giudicante in tema di provocazione esclusa . La Corte d'appello ha chiarito che la tesi dell'appellante è improponibile perché, al contrario, fu il S. a provocare il F. , scavalcandolo nella fila ed apostrofandolo con espressioni volgari. Non si vede dove sia l'illogicità della motivazione, giacché l'espressione riportata nel ricorso la stessa Corte d'appello avrebbe riconosciuto che F. aveva posto in essere un atteggiamento sbagliato è formulata in via ipotetica e non è riferita alle origini della contesa, che, con ricche argomentazioni, è collegata piuttosto all'atteggiamento incivile e provocatorio dell'imputato. In conclusione, le ragioni poste dal giudicante a fondamento della decisione sono immeritevoli di censura, perché coerenti con le risultanze processuali, rispondenti a criteri di logica e conformi al diritto. Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.