L’inquadramento della condotta costitutiva del reato di concussione, quale previsto dall’art. 317 c.p. prima delle modifiche apportate dalla Legge n. 190/2012, sotto il profilo della costrizione oppure sotto quello della induzione, non é questione attinente alla qualificazione giuridica del fatto, ma è questione di merito sottratta alla cognizione della Corte di Cassazione, a fronte di un’approfondita e certamente non illogica motivazione sul punto da parte del Giudice di merito.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 23954 depositata il 3 giugno 2013. Un sindaco minaccioso. La condotta in questione è quella di un Sindaco, condannato in Appello, sulla base del previgente art. 317 c.p., per aver costretto o indotto il legale rappresentante di una s.n.c. ad acquistare un terreno, di proprietà del primo cittadino stesso, ad un prezzo superiore a quello stabilito e a vendere ad una società, a lui collegata, un fabbricato a prezzo esiguo, dietro la minaccia di non rilasciare la concessione edilizia alla società richiedente. Articoli riformati, reati vecchi . L’imputato ha lamentato violazione di legge, segnalando che delle due diverse azioni a lui contestate, la seconda sarebbe rimasta a livello di tentativo, in quanto la compravendita non avrebbe mai avuto luogo. La Suprema Corte ha ribadito che sussiste continuità normativa fra l’incriminazione prevista dal previgente art. 317 c.p. - applicato all’epoca del fatto -, e quelle contenute nel riformato art. 317 c.p. e nella nuova fattispecie di cui all’art. 319 quater, comma 1, c.p., introdotte dalla riforma del 2012. Infatti, i giudici di Piazza Cavour hanno spiegato che il Legislatore ha spacchettato l’originaria ipotesi delittuosa della concussione, che, nel testo previgente dell’articolo in questione, parificava le condotte di costrizione e di induzione, creando due nuove fattispecie di reato. La prima conserva i precedenti caratteri ed elementi costitutivi della fattispecie della concussione per costrizione, la seconda, invece, scorporata dal previgente articolo e ora regolata dall’art. 319 quater c.p., recante in rubrica la nuova denominazione di induzione indebita a dare o promettere utilità. Inquadramento della condotta costitutiva. Pertanto, chiarito che la condotta contestata all’imputato deve essere considerata come induzione indebita, operazione effettuata, dopo analitica ricostruzione dei fatti, da parte della Corte d’Appello, alla Corte di legittimità non resta che prendere atto della argomentata qualificazione della condotta, operata nella sentenza impugnata, senza sconfinare dalle proprie attribuzioni.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 febbraio 3 giugno 2013, n. 23954 Presidente Di Virginio Relatore Rotundo Fatto e diritto 1.-. Con sentenza in data 4-4-2001 il Tribunale di Orvieto ha assolto B.G. per insussistenza del fatto dal reato di cui agli artt. 81 cpv e 317 c.p., a lui ascritto per avere, quale sindaco di , con la minaccia implicita di non rilasciare la concessione edilizia richiesta per la realizzazione di un fabbricato, costretto o indotto A.V. , legale rappresentante di Edil Porano di Vincenzo Alberelli e C. snc, ad acquistare un terreno di proprietà del B. ad un prezzo superiore a quello stabilito e a vendere alla SER spa, facente capo alla Democrazia Cristiana di , un locale dell'erigendo fabbricato all'esiguo prezzo di trentamila Euro in omissis . Con sentenza in data 17-2-12 la Corte di Appello di Perugia, in accoglimento dell'impugnazione proposta dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Orvieto, ha condannato il B. per il reato a lui contestato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di anni due e mesi nove di reclusione, con la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per anni due e mesi otto, dichiarando detta pena interamente condonata. 2.-. Avverso quest'ultima sentenza del 17-2-12 ha proposto ricorso per cassazione B.G. , tramite il suo difensore, chiedendone l'annullamento. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata correlazione tra accusa e condanna in riferimento alla data ed al luogo di commissione del reato, in quanto nel capo di imputazione il reato sarebbe stato contestato come commesso in omissis , mentre dal testo della sentenza emergerebbe che i fatti si sarebbero protratti fino al omissis e avrebbero avuto termine in Con il secondo motivo di ricorso si denunciano gli stessi vizi in punto di affermazione della responsabilità. Ad avviso del ricorrente il ribaltamento della decisione di primo grado sarebbe del tutto illogico e fondato su elementi, che andrebbero letti in modo del tutto diverso da quello usato dalla Corte di merito. A parte il fatto che non sarebbe stata fornita alcuna idonea motivazione in ordine alla sussistenza nel caso in esame dell'elemento psicologico del reato. In ogni caso gli indizi raccolti non giustificherebbero la affermazione di responsabilità dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. Con l'ultimo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge, segnalando che delle due diverse condotte contestate al B. fare acquistare all'A. un terreno di sua proprietà ad un prezzo superiore a quello stabilito fare vendere alla SER spa un locale dell'erigendo fabbricato a esiguo prezzo la seconda sarebbe rimasta a livello di tentativo, in quanto la compravendita non avrebbe mai avuto luogo. 3.-. Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente infondati. Questa Corte ha già chiarito che l'imputato non può essere giudicato e condannato per fatti relativamente ai quali non sia stato in condizioni di difendersi, fermo restando che la contestazione del fatto non deve essere ricercata soltanto nel capo di imputazione ma deve essere vista con riferimento ad ogni altra integrazione dell'addebito che venga fatta nel corso del giudizio e sulla quale l'imputato sia stato posto in grado di opporre le proprie deduzioni. Sez. 6, Sentenza n. 21094 del 25/02/2004, Rv. 229021, Farad . Nel caso in esame il B. è stato posto nella condizione di difendersi adeguatamente in ordine all'intero fatto a lui contestato, indipendentemente dalla data e dal luogo indicati nel capo di imputazione, essendo entrati nel giudizio anche i fatti avvenuti in Orvieto nel maggio 1991. Il secondo ordine di censure è inammissibile, in quanto basato su doglianze non consentite in sede di giudizio di legittimità. Le censure del ricorrente attengono invero alla valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del Giudice di merito e non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Nel caso di specie, i Giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla decisione attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. Il terzo motivo di ricorso è superato dalle considerazioni che saranno svolte ai punti che seguono. 4.-. A questo punto deve ribadirsi che sussiste continuità normativa fra l'incriminazione prevista dall'art. 317, cod. pen., nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall'art. 1 comma 75 della legge 6 novembre 2012 n. 190, e quelle contenute nel medesimo art. 317 e nella nuova fattispecie di cui all'art. 319 quater, comma primo, cod. pen., come introdotte dalla legge citata Sez. 6, Sentenza n. 3251 del 03/12/2012, Rv. 253935, Roscia Sez. 6, Sentenza n. 7495 del 03/12/2012, Rv. 254020, Gori Sez. 6, Sentenza n. 11942 del 25/02/2013, Rv. 254444 Oliverio Sez. 6, Sentenza n. 11944 del 25/02/2013, Rv. 254446, De Gregorio Sez. 6, Sentenza n. 16154 del 11/01/2013, Rv. 254539, Pierri Sez. 6, Sentenza n. 6578 del 25/01/2013, Rv. 254544, Piacentini Sez. 6, Sentenza n. 17285 del 11/01/2013, Rv. 254621, Vaccaro Sez. 6, Sentenza n. 17593 del 14/01/2013, Rv. 254622, Marino Sez. 6, Sentenza n. 16566 del 26/02/2013, Rv. 254624, Caboni Sez. 6, Sentenza n. 18372 del 21/02/2013, Rv. 254728, S. Sez. 6, Sentenza n. 17943 del 15/02/2013, Rv. 254730 Sez. 6, Sentenza n. 11794 del 11/02/2013 Rv. 254440, Melfi . Tanto premesso, non può non rilevarsi che con la recente entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, contenente Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione , si è sostituito l'art. 317 cod. pen., con l'introduzione di una diversa fattispecie di concussione , e si è introdotto l'art. 319 quater e. p., riguardante l'innovativa figura criminosa della induzione indebita a dare o promettere utilità , figura sostanzialmente intermedia tra quella residua della condotta concussiva sopraffattrice e l'accordo corruttivo, integrante uno dei reati previsti dall'art. 318 o dall'art. 319 cod. pen. anch'essi oggetto di modifica da parte della medesima legge . Pure allo scopo di uniformare la normativa interna ai principi della Convenzione contro la corruzione di Merida del 2003, approvata in ambito ONU, ed a quelli della Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo del 1999, approvata in ambito di Consiglio d'Europa - ratificate in Italia rispettivamente dalla legge n. 116 del 2009 e da quella n. 110 del 2012 - il legislatore nazionale ha spacchettato l'originaria ipotesi delittuosa della concussione, che, nel testo previgente dell'art. 317 cod. pen., parificava le condotte di costrizione e di induzione, creando due nuove fattispecie di reato. La prima, che resta disciplinata dall'art. 317 cod. pen., prevede la punizione del pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità conserva, dunque, i precedenti caratteri ed elementi costitutivi della fattispecie della concussione per costrizione, limitandosi ad incrementare il limite edittale minimo della pena detentiva portata da quattro a sei anni di reclusione e lasciando come soggetto attivo il solo pubblico ufficiale, con esclusione, dunque, della figura di incaricato di pubblico servizio. La seconda fattispecie di reato, scorporata dal previgente art. 317 c.p, ed ora regolata dall'art. 319 quater c.p., recante in rubrica la nuova denominazione di induzione indebita a dare o promettere utilità, sussiste, salvo che il fatto non costituisca più grave reato , laddove il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità delitto, dunque, configurabile anche a carico dell'incaricato di pubblico servizio oltre che del pubblico ufficiale, sanzionato con la più mite pena della reclusione da tre ad otto anni, la cui struttura descrittiva, con riferimento alla condotta del pubblico agente comma 1 , mutua significativamente gli elementi qualificanti la vecchia figura della concussione per induzione. Rappresenta, invece, dato di assoluta novità la previsione, nel comma 2 dello stesso art. 319 quater, della punizione anche del soggetto che da o promette denaro o altra utilità , il quale, da persona offesa nell'originaria ipotesi di concussione per induzione di cui al previgente art. 317 c.p., diventa coautore nella nuova figura dell'induzione indebita. 5.-. È di tutta evidenza, pertanto, che nel caso di specie appare in primo luogo indispensabile chiarire se la condotta contestata all'imputato debba essere qualificata come costrizione e così rientrare nelle previsioni del nuovo art. 317 c.p. ovvero debba essere considerata come induzione indebita e così essere ricompresa nella seconda, anch'essa nuova , fattispecie di reato, introdotta con l'art. 319 quater dello stesso codice. La Corte di Appello di Perugia, dopo avere analiticamente ricostruito i fatti e dettagliatamente indicato gli elementi che consentivano di ritenere integrato a carico del B. il delitto di concussione nel suo previgente testo, ha specificamente preso in esame la problematica in questione, nonostante all'epoca le due condotte costrizione e induzione , in relazione agli effetti, fossero sostanzialmente parificate, tant'è che, nella prassi come del resto nell'odierno procedimento i termini venivano sovente entrambi contestati agli imputati chiamati a rispondere del delitto di concussione, finendo per essere considerati una sorta di endiadi, vocaboli che si riteneva esprimessero un concetto unitario. Nella sentenza impugnata, invece, la Corte Distrettuale ha espressamente rilevato che, al di là delle formulazione della imputazione nella quale si parlava di minaccia implicita, nel caso di specie si era trattato di induzione nel senso indicato dalla norma all'epoca vigente, che faceva riferimento a quelle condotte che pur non connotate dall'esplicito ricorso a minacce erano comunque tali da far valere in danno dell'interlocutore privato tutta la forza dei pubblici poteri ed il metus ad essi correlato . La Corte di Appello, analizzando la fattispecie sottoposta al suo esame, ha puntualizzato che doveva ritenersi accertato che l'A. si era trovato nella condizione di sottostare alle richieste formulate dal Sindaco con la piena consapevolezza come dimostrato da quanto accaduto innanzi al notaio Pongelli di poter influire sulle determinazioni della controparte, cui per altro erano ben chiare le prerogative del B. nella procedura ancora in corso ed anzi entrata nella fase cruciale, spiegando che, in definitiva, l'induzione si era concretata nel procurare al Sindaco l'acquisizione o la promessa di specifici vantaggi, qualificabili come utilità indebite nel senso inteso dalla disposizione incriminatrice cessione a prezzo assai più vantaggioso di una particella di terreno a quel punto privo di appeal per altri soggetti promessa di acquisto di un appartamento a prezzo di gran lunga inferiore al reale valore del bene . A fronte di tali dettagliate ed ampiamente argomentate in fatto ed in diritto conclusioni, questa Corte, in mancanza di specifiche censure sul punto da parte del ricorrente, deve fermarsi, rischiando altrimenti di sconfinare dalle sue attribuzioni. In definitiva, l'inquadramento della condotta costitutiva del reato di concussione, quale previsto dall'art. 317 c.p. prima delle modifiche apportate dalla Legge n. 190 del 2012, sotto il profilo della costrizione oppure sotto quello della induzione, a fronte di una approfondita e certamente non illogica motivazione sul punto da parte del Giudice di merito, non è più questione attinente alla qualificazione giuridica del fatto, come tale esaminabile anche d'ufficio in sede di giudizio di legittimità, ma è questione di merito sottratta alla cognizione della Corte di Cassazione fuori dal caso di carenza o di manifesta illogicità della motivazione costituente oggetto di specifica deduzione. Ne deriva che la riconduzione della condotta stessa, operata con adeguate argomentazioni da Giudice di merito, all'una piuttosto che all'altra delle due ipotesi non può essere affrontata dal Giudice di legittimità ove non espressamente dedotta dal ricorrente in forza di un interesse apprezzabile e che la stessa non può, nel difetto di ciò, essere autonomamente presa in esame ai fini dell'inquadramento dell'azione nelle previsioni del nuovo art. 317 c.p., che trova ora applicazione unicamente in riferimento alla sola ipotesi della costrizione, e non piuttosto quella dell'artt. 319 quater c.p., introdotto dalla citata Legge n. 190 del 2012, che trova la sua applicazione nella ipotesi di induzione, dovendo aversi riguardo esclusivo a tal fine all'inquadramento già operato dal Giudice di merito, sempre che esso non sia stato specificamente posto in questione dal ricorrente sulla base di motivi ammissibili. Nel caso in esame ciò non è stato fatto. Non resta pertanto che prendere atto della argomentata qualificazione della condotta come induzione operata nella sentenza impugnata e conseguentemente ricondurre alle previsioni di cui all'art. 319 quater c.p., tale condotta, con conseguente dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, intervenuta anteriormente alla sentenza di appello. 6.-. Per le considerazioni sopra svolte si impone, una volta qualificato il fatto ascritto all’imputato come reato p. e p. dall’art. 319 quater c.p., l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere detto reato estinto per intervenuta prescrizione. P.Q.M. Qualificato il fatto come reato di cui all’art. 319 quater c.p., annulla senza rinvio al sentenza impugnata perché il fatto è estinto per prescrizione.