La Suprema Corte evidenzia come l’amministratore di fatto abbia aumentato vertiginosamente il passivo di una società sottraendo denaro liquido ed emettendo fatture false. Inutili le richieste di Cassazione dell’uomo alla luce di presunte garanzie procedurali negategli il giudizio abbreviato si può domandare in presenza di nuova contestazione inerente a un reato concorrente, mentre non è aperta la strada in presenza di addebito modificato prospettante la stessa fattispecie aggravata.
Questi alcuni dei tratti principali esposti dalla Cassazione Penale nella recente pronuncia numero 24123, datata 18 giugno 2012 in tema di truffa. Amministratore di fatto poco affidabile. Un uomo, in qualità di amministratore di fatto di una s.numero c. siciliana, veniva condannato nei primi due gradi di giudizio per aver omesso la tenuta del libro giornale e del libro degli inventari, nonché il registro dei beni ammortizzabili. Palese l’intento dell’uomo, secondo la Corte territoriale, di recare a sé o ad altri un ingiusto profitto, con relativo danno per i creditori. La Corte d’Appello di Palermo motivava la decisione in considerazione del ruolo di amministratore di fatto ricoperto dall’imputato nel periodo in cui erano state poste in essere le condotte illecite e alla luce delle attività di contraffazione di fatture e di un losco giro di subappalti. Le doglianze. Nel ricorso dinnanzi alla Cassazione, l’imputato lamenta che gli era stata preclusa la possibilità di richiedere il giudizio abbreviato, in seguito alla modifica di contestazione da reato a truffa peraltro aggravata dal danno patrimoniale di rilevante entità . La Suprema Corte respinge il motivo l’uomo, seppur avesse richiesto il giudizio abbreviato dopo la modifica o la contestazione dell’aggravante, non avrebbe avuto alcuna possibilità di essere esaudito. Come ricordato nel precedente della sentenza numero 333/09, l’imputato può abbracciare un giudizio siffatto solo in caso di contestazione di «reato concorrente» e solo quando concerna un fatto già risultante dagli atti di indagine al momento di esercizio dell’azione penale. Elementi di valutazione lampanti. In sede di merito è stato acclarato un esercizio consapevole, continuato e illecito delle condotte tipiche del potere dell’amministratore. Nulla rileva che il giudice civile non abbia esteso all’imputato il fallimento. Tanto meno possono depotenziare il dato di univoci e molteplici atti fraudolenti le dichiarazioni del difensore concernenti il presunto ruolo marginale e secondario del soggetto condannato. Fatture fantomatiche e passivo aumentato. L’imputato non ha fatto mistero di aver collaborato all’emissione delle fatture utili per la richiesta di un fido bancario definite «di comodo». La deduzione di colpevolezza fa corretta applicazione dei principi in materia di imputazione degli atti giuridici in ambito societario una volta accertata l’esistenza di un bene in capo alla società fallita, spetta all’imprenditore – ove il bene non sia poi rinvenuto dal curatore – dare la prova di una sua lecita destinazione Cass. numero 35828/10 . Né la prova dell’aumento del dissesto deve essere per forza fornita attraverso la comparazione delle cifre dell’attivo e del passivo, potendosi desumere dalla stessa attività distruttiva, dopo l’accertamento che il denaro liquido è stato sottratto alla naturale destinazione legale, con consequenziale aumento del passivo societario.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 aprile – 18 giugno 2012, numero 24123 Presidente Marasca – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Ricorre C P. avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 24/11/2003 che, a conferma della sentenza del Tribunale di Marsala, lo condanna a pena di giustizia per il reato di cui agli articolo 110 - 81 cpv. cod. penumero , 216, commi 1, numero 2 - 223, commi 1 e 2, numero 2 - 219, commi 1 e 2, numero 1 della legge fallimentare per avere, quale amministratore di fatto della F.A.E. snc di Garofalo Antonia & amp C., dichiarata fallita dal Tribunale di Marsala, allo scopo di recare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, omesso la tenuta del libro giornale e del libro degli inventari ed il registro dei beni ammortizzabili, provvedendo solo nell'anno 1997 a registrare le fatture di acquisto e quelle emesse, nonché per avere, emettendo fatture false per oltre un miliardo di lire, aggravato il dissesto della società e cagionato il fallimento della stessa. Reato commesso in OMISSIS data della sentenza di fallimento . 2. La Corte ha motivato la decisione di condanna in considerazione del ruolo di amministratore di fatto ricoperto dall'imputato insieme a M.F. , giudicato separatamente nel periodo in cui sono state poste in essere le condotte illecite sopra descritte per il fatto che la contabilità societaria era stata tenuta dallo studio di ragioneria gestito da P.C. , insieme ai fratelli V. e A. , e perché, fin dal 1995, era stato allocato nello stesso studio un ufficio destinato a porre in essere gli adempimenti aziendali e societari connessi al conseguimento di importanti subappalti ottenuti da una A.T.I., di cui la società fallita faceva parte per il ruolo avuto dall'imputato nella contraffazione delle fatture, da lui ammessa e confermata dal teste L.R. . 3. Il P. ricorre con cinque motivi. 3.1 Col primo motivo denunzia la violazione dell'articolo 517 cod. proc. penumero per avere il Pubblico ministero, a dibattimento avanzato all'udienza del 7/4/2005 , contestato, accanto alla fattispecie di bancarotta documentale già formulata, quella relativa alle operazioni dolose di cui al comma 2, numero 2, dell'articolo 223 legge fallimentare e già descritte al capo b dell'imputazione presentazione, per lo sconto o a garanzia di aumento di fido, alla IFI ITALIA e alla BAE di false fatture emesse nei confronti dell'Ansaldo Industrie e di altre società per prestazioni mai effettuate , precludendogli la possibilità di richiedere il giudizio abbreviato per il nuovo reato. 3.2. Col secondo motivo denunzia la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta qualità di amministratore di fatto della F.A.E. snc, in mancanza di prova di un'ingerenza concreta e continuativa nella gestione della società e nonostante il giudice civile non avesse a lui esteso il fallimento. 3.3. Col terzo motivo denuncia la carenza di motivazione in ordine al contestato e ritenuto reato di bancarotta documentale, essendo risultato provato, attraverso le dichiarazioni del curatore fallimentare, che la tenuta della contabilità era curata da P.V. e P.A. , suoi fratelli, e che la contabilità era nella disponibilità dell'altro amministratore di fatto M.F. . 3.4. Col quarto motivo denunzia la totale mancanza di motivazione in ordine alla bancarotta fraudolenta di cui all'articolo 223, comma 2, numero 2, legge fallimentare, non essendo stato accertato che le operazioni dolose descritte in imputazione abbiano concorso ad aggravare il dissesto della società. 3.5 Col quinto motivo denunzia la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla negazione delle circostanze attenuanti generiche, non potendo ritenersi ostativi i soli precedenti penali. 4. Il Pubblico ministero d'udienza ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va respinto. 1. Dalla lettura dei verbali di udienza si evince che il 12/7/2004 il Pubblico ministero, senza innovare negli elementi fattuali dell'imputazione, modificò la contestazione di cui al capo B , originariamente configurato come reato fiscale, qualificandolo come truffa. Successivamente, il 7/4/2005, integrò l'imputazione con la contestazione della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità. Nello stesso contesto integrò l'accusa di cui al capo A aggiungendo il riferimento alle operazioni dolose di cui all'articolo 223, comma 2, numero 2, legge fallimentare. Il ricorrente lamenta che, in tal modo, gli fu preclusa la possibilità di richiedere il giudizio abbreviato. La censura è infondata, giacché il verbale di udienza fu notificato all'imputato contumace e questi non avanzò nessuna richiesta, tantomeno di giudizio abbreviato, né risulta che lo avesse fatto nei termini di cui all'articolo 438 cod. proc. penumero . Del resto, seppur avesse richiesto il giudizio abbreviato dopo la modifica dell'imputazione o dopo la contestazione della circostanza aggravante, non avrebbe avuto, né in base alla normativa di allora, né in base alla normativa vigente, alcuna possibilità di essere esaudito, giacché nemmeno dopo la modifica apportata agli articolo 516 e 517 cod. proc. penumero dalla giurisprudenza costituzionale Corte Cost. numero 333 del 18 dicembre 2009 è possibile all'imputato richiedere un giudizio siffatto, se non in caso di contestazione di reato concorrente e solo quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale . Nel caso di specie, invece, non vi è stata contestazione di reato concorrente, ma di una circostanza aggravante, ed è stata operata una diversa qualificazione del fatto di reato modificazioni, quindi, che nemmeno dopo le innovazioni apportate dalla Corte costituzionale autorizzano l'imputato ad avvalersi dell'istituto premiale previsto dagli articolo 438 e segg. cod. proc. penumero D'altra parte, seppur si dovesse ritenere che il 7-4-2005 gli è stato contestato un reato concorrente , nessuna censura è possibile muovere alla sentenza impugnata, dal momento che nessuna richiesta di giudizio abbreviato è stata da lui avanzata, né prima né dopo la sentenza della Corte costituzionale sopra richiamata. 2. Anche il secondo motivo è infondato. La sentenza impugnata ha ampiamente argomentato pagg. 5-9 circa il ruolo di amministratore di fatto ricoperto dall'imputato, specificando che è stato lo stesso imputato ad ammettere la falsificazione delle fatture per oltre un miliardo di lire indicate al capo B che è stata accertata l'attività manipolativa della contabilità, tenuta nello studio che lo stesso imputato gestiva insieme ai fratelli V. e A. che è stata accertata, attraverso le dichiarazioni del curatore fallimentare, la falsificazione dei bilanci, redatti anch'essi con la collaborazione dell'imputato, e che era l'imputato a curare i rapporti con i clienti, i fornitori e gli operai. Gli elementi di valutazione utilizzati dai giudici di merito per affermare che l'imputato ha esercitato, di fatto, i poteri tipici dell'amministratore e che lo ha fatto per un tempo apprezzabile e con la piena consapevolezza delle condotte illecite che venivano poste in essere sono, pertanto, univoci e molteplici e tali, quindi, da giustificare appieno la decisione adottata, a nulla rilevando che il giudice civile non abbia esteso a lui il fallimento circostanza imputabile ai più svariati motivi, che non è possibile apprezzare in questo giudizio di legittimità . 3. Gli stessi elementi di giudizio portano a ritenere infondato anche il terzo motivo di ricorso, poiché da essi risulta evidente, come argomentato dalla Corte territoriale, che la contabilità era tenuta nello studio gestito dai tre fratelli P. , tra cui P.C. rivestiva un ruolo determinante, e che il suo ruolo di amministratore di fatto rendeva impensabile un'attività manipolatrice od omissiva della contabilità attuata senza la sua diretta partecipazione o il suo consenso. Nessun rilievo dirimente può attribuirsi, pertanto, alle circostanze evidenziate dal difensore dell'imputato le dichiarazioni del curatore L. , che avrebbe attribuito la tenuta della contabilità fiscale - contabile a P.V. le dichiarazioni dello stesso curatore, che avrebbe parlato di una gestione dell'imputato limitata ai cantieri di lavoro relativi alla impresa di impiantistica le risultanze del verbale di inventario del 17/3/1999, da cui risulterebbe che le scritture contabili si trovavano in un locale di Petrosi no, nella disponibilità del coimputato M. le dichiarazioni dello stesso M. , che avrebbe dichiarato, in un verbale di interrogatorio, di non poter consegnare parte delle scritture contabili perché custodite all'interno dell'ufficio della sede di OMISSIS , giacché nessuna di dette circostanze è idonea a depotenziare il dato, acquisito al processo, del ruolo centrale avuto dall'imputato nella gestione ed amministrazione della società, che ne faceva un sicuro compartecipe delle attività delittuose incentrate sulla manipolazione dei dati contabili e di bilancio il fatto che la contabilità fosse tenuta da P.V. non esclude che le disposizioni relative alla sua gestione fossero date dall'imputato il fatto che l'imputato fosse concentrato nella gestione dei cantieri di impiantistica non esclude che cooperasse alla gestione della contabilità sotto il profilo delle annotazioni da effettuare e dei registri da impiantare la disponibilità di parte della contabilità da parte del M. è in contraddizione con l'affermazione della tenuta della contabilità da parte di P.V. e non è conducente rispetto alla tesi difensiva, giacché qual che rileva non è la custodia della contabilità, ma la sua concreta gestione . 4. Quanto al quarto motivo di ricorso, si rileva che all'imputato è contestato di aver aggravato il dissesto della società presentando per lo sconto, o a garanzia di un richiesto aumento di fido bancario, fatture relative ad operazioni inesistenti per oltre un miliardo di lire, e di avere, in tal modo, aumentato il passivo societario per gli importi corrispondenti. Il giudice di merito ha accertato, sia attraverso le dichiarazioni dei responsabili delle società truffate, sia attraverso le dichiarazioni dell'imputato, che, effettivamente, IFI e BAE erogarono le somme corrispondenti alle false fatturazioni e che dette somme non sono mai entrate nel patrimonio della società, di cui il P. era uno degli amministratori, aumentando in tal modo, con un'attività distrattiva, il dissesto societario pag. 9 . Per questa via è pervenuto all'affermazione della responsabilità dell'imputato, il quale non ha fatto mistero di aver collaborato all'emissione delle fatture, da lui definite di comodo . La deduzione è logica e congruente, giacché fa corretta applicazione dei principi in materia di imputazione degli atti giuridici in ambito societario e perché rispetta il principio, più volte affermato da questo giudice di legittimità, per cui, una volta accertata l'esistenza di un bene in capo alla società fallita, spetta all'imprenditore, ove il bene non sia poi rinvenuto dal curatore, dare la prova di una sua lecita destinazione ex pluribus, Cass., sez. V, 5/6/2010, numero 35828 . Né la prova dell'aumento del dissesto deve essere necessariamente data attraverso la comparazione delle cifre dell'attivo e del passivo, potendosi desumere dalla stessa attività distruttiva, una volta accertato che i beni in questo caso, denaro liquido sono stati sottratti alla loro destinazione legale, con consequenziale aumento del passivo societario. Nel caso di specie, poi, il fallimento della F.A.E. snc è stato dichiarato su iniziativa della Banca Agricola Etnea cioè, uno dei soggetti truffati con le false fatturazioni , per cui è indiscutibile che il passivo societario si sia incrementato dagli importi erogati da questa banca. 5. Col quinto motivo il ricorrente lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche da parte del giudice del merito, che le ha negate in considerazione della gravità del danno patrimoniale cagionato a soci e creditori e dei precedenti penali dell’imputato. Si tratta di motivazione congrua e logica e, quindi, non censurabile in questa sede di legittimità, essendo stato correttamente esercitato il potere discrezionale spettante al giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio. Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.