Poste condannate ad attribuire le mansioni corrispondenti alla qualifica. E il danno? E’ desumibile in via presuntiva

Il giudice può desumere l’esistenza del danno anche presuntivamente, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.

Con la sentenza numero 11722, depositata il 15 maggio 2013, la Corte di Cassazione ha ordinato alla corte territoriale di rivalutare la vicenda per l’esame e la quantificazione del danno lamentato. Dalla manutenzione alla movimentazione dei carrelli demansionato. Un dipendente delle Poste Italiane, dal profilo professionale di perito, è addetto alla manutenzione, riparazione e conduzione degli impianti. Viene poi inquadrato, in una mansione inferiore, nell’area operativa, utilizzato presso il reparto posta aerea come addetto alla movimentazione dei carrelli, all’apertura e chiusura dei dispacci e all’incasellamento della corrispondenza. La condanna per Poste Italiane. Su ricorso del lavoratore, il Tribunale condanna le Poste ad attribuire al proprio dipendente le mansioni corrispondenti alla qualifica da questo posseduta, nonché al risarcimento del danno equitativamente determinato nel 50% della retribuzione dovuta. Ma il risarcimento danni è dovuto? La Corte d’Appello dichiara come non dovuto il risarcimento per danni da dequalificazione per «mancanza di adeguata allegazione e prova degli stessi», confermando nel resto la sentenza. Il dipendente ricorre per cassazione, lamentando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ricordando di «aver analiticamente dedotto, sin dal ricorso introduttivo del giudizio, le mansioni di contenuto specialistico svolte sino al marzo 1999, e quelle svolte dopo tale data, evidenziandone l’impoverimento professionale». L’allegazione è onere del lavoratore, ma il giudice può desumere il danno presuntivamente. La Suprema Corte accoglie il ricorso, ricordando che, come statuito dalle Sezioni Unite nel 2006, con la sentenza numero 6572, «il tecnicismo delle mansioni svolte, per lungo tempo,e dunque verosimilmente soggette ad obsolescenza, il palese demansionamento protrattosi per molti anni», sono elementi idonei a fornire una prova, almeno presuntiva, del danno subìto. La Corte ricorda quindi che nel caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore, in violazione dell’articolo 2103 c.c., il giudice può desumere l’esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale, il cui onere di allegazione spetta al lavoratore, anche in via presuntiva, «in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto». Nel caso specifico, la corte territoriale ha omesso di valutare, a tal riguardo, le articolate allegazioni presentate dal lavoratore. Per questo la decisione deve essere annullata con rinvio, affinchè venga esaminato e quantificato il danno subìto dal dipendente delle Poste.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 febbraio – 15 maggio 2013, numero 11722 Presidente Lamorgese – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo La società Poste Italiane proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma che accertò che il Q. - dipendente della società Poste e già adibito a mansioni rientranti nella ex sesta categoria nel profilo professionale di perito, addetto alla manutenzione, riparazione e conduzione degli impianti - era stato successivamente illegittimamente inquadrato nell'area operativa ed utilizzato presso il reparto posta aerea quale addetto alla movimentazione dei carrelli, all'apertura e chiusura dei dispacci, all'incasellamento della corrispondenza, condannando conseguentemente la società ad attribuire al ricorrente mansioni corrispondenti alla qualifica posseduta ed al risarcimento del danno, determinato in via equitativa in misura corrispondente al 50% della retribuzione dovuta. Si costituiva l'appellato, resistendo al gravame. Con sentenza depositata il 28 aprile 2009, la Corte d'appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame, ed in parziale riforma della sentenza impugnata, che nel resto confermava, rigettava il capo di domanda relativo ai danni da dequalificazione, per ritenuta mancanza di adeguata allegazione e prova degli stessi. Per la cassazione propone ricorso il Q. , affidato a tre motivi. Resiste la società Poste Italiane con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato ad unico motivo, cui resiste il Q. con controricorso, poi illustrato con memoria. Motivi della decisione Deve pregiudizialmente disporsi la riunione dei ricorsi avverso la medesima sentenza, ex articolo 335 c.p.c 1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360, comma 1, numero 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c Lamenta che la Corte capitolina riformò la sentenza impugnata in ordine al risarcimento del danno, per ritenuto difetto di allegazione e prova, senza essere stata invescata della questione dalla società Poste che nel ricorso in appello si era limitata a sostenere la legittimità del mutamento di mansioni. Il motivo è infondato, posto che dalla stessa lettura della sentenza impugnata risulta che l'appellante società Poste, oltre ad aver lamentato la legittimità delle nuove mansioni, aveva altresì censurato il capo di sentenza relativo al risarcimento del danno, lamentando il difetto di prova sul punto e comunque l'incongruità della liquidazione pag. 2 sentenza impugnata . Tale accertamento non ha formato oggetto di specifica censura da parte del Q. . 2. Con il secondo ed il terzo motivo, il ricorrente denuncia, ex articolo 360, numero 5 c.p.c., una omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ed in particolare circa l'allegazione e prova del pregiudizio subito per effetto delle mansioni assegnategli dall'aprile 1999. Denuncia inoltre, ex articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'articolo 414 c.p.c. in relazione agli articolo 1218, 1223, 2103 e 2697 c.c Lamenta che la Corte di merito ritenne, in contrasto con le norme denunciate, le allegazioni del ricorrente insufficienti a fondare la domanda risarcitoria, in contrasto con i principi espressi nella nota sentenza di questa Corte, resa a sezioni unite, numero 6572/06. Lamenta di avere analiticamente dedotto, sin dal ricorso introduttivo del giudizio, le mansioni di contenuto specialistico svolte sino al marzo 1999, e quelle svolte dopo tale data, evidenziandone l'impoverimento professionale. Il motivo è fondato. Rileva infatti la Corte che le circostanze di fatto pacificamente esposte in appello, ed ampiamente richiamate alle pagine 17-19 del presente ricorso il tecnicismo delle mansioni svolte, per lungo tempo, e dunque verosimilmente soggette ad obsolescenza, il palese demansionamento protrattosi per molti anni appaiono idonee, in base a quanto statuito da Cass. sez.unumero numero 6572/06 e successiva giurisprudenza, a fornire una prova, almeno presuntiva, del danno non patrimoniale subito. Questa Corte, dopo la citata sentenza a sezioni unite, ha più volte rimarcato che in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'arti. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto Cass. 26 febbraio 2009 numero 4652 Cass. 26 novembre 2008 numero 28274 . Nella specie la Corte capitolina non risulta avere adeguatamente valutato le articolate allegazioni fornite dal ricorrente al riguardo, sicché risulta viziata. Ne consegue la cassazione della sentenza, con rinvio ad altro giudice, per l'esame e quantificazione del danno lamentato, oltre che per la liquidazione delle spese, ivi compreso il presente giudizio di legittimità. 4. Con il ricorso incidentale la società Poste denuncia, ex articolo 360, numero 5 c.p.c., una omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e cioè la soppressione del posto occupato dal dipendente. Lamenta che la Corte di merito si limitò a confrontare le mansioni in precedenza espletate dal Q. e quelle svolte successivamente. Il ricorso incidentale risulta in parte inammissibile per non contenere il quesito di fatto di cui all'articolo 366 bis c.p.c., ex plurimis, Cass. 30 dicembre 2009 numero 27680, Cass. 7 aprile 2008 numero 8897, Cass. 18 luglio 2007 numero 16002, Cass. sez. unumero 1^ ottobre 2007 numero 20603 , e per il resto infondato, richiamando una risalente giurisprudenza in tema di equivalenza professionale all'interno della medesima area prevista dai ceni, superata dai più recenti arresti di questa S.C., secondo cui, anche in tal caso, ed a prescindere dalla prova che non risulta fornita circa l'adibzione del Q. a mansioni riconducibili alla medesima area contrattuale, è necessario il rispetto del principio dell'equivalenza professionale di cui all'articolo 2103 c.c. Cass. 23 luglio 2007 numero 16190 Cass. 11 novembre 2009 numero 23877 . 5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la socccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore dei controricorrenti, dichiaratosi antecipante. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso principale, rigettato il primo rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.