Il quesito di diritto imposto dall’articolo 366-bis c.p.c., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enunciare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C., il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.
E’ quanto emerge dalla sentenza numero 7732/14, depositata il 2 aprile. Inammissibilità del ricorso per Cassazione e quesiti di diritto. Con la pronuncia in rassegna, avente ad oggetto una complessa questione successoria, la Corte si sofferma su alcuni profili concernenti la disciplina, oggi abrogata, dei quesiti di diritto nel ricorso per Cassazione. Come ben noto la formulazione dell’articolo 366-bis c.p.c., introdotto dalla d.lgs. numero 40/2006, è stato abrogato dall’articolo 47, comma 1 lett. d , legge numero 69/2009. Nel breve periodo in cui il richiamato articolo del codice di rito è stato in vigore, la giurisprudenza di legittimità si è trovata non di rado a delineare i requisiti che il quesito di diritto doveva avere al fine di non rendere il ricorso inammissibile. Con la pronuncia in commento la Corte ricostruisce, sulla base dei precedenti sul punto, i tratti e le caratteristiche dei quesiti di diritto, fornendo altresì alcuni chiarimenti sulla disciplina transitoria applicabile. Su tali basi la Corte dichiara l’inammissibilità di ben quattro su cinque motivi di ricorso, rilevata per tutti l’inidoneità dei quesiti di diritto con i quali i motivi si concludono. La formulazione dei quesiti di diritto. La Corte, sulla scorta dei precedenti sul punto, afferma che il quesito di diritto imposto dall’articolo 366-bis c.p.c. non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte, in modo da porre la porre Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Da tale principio emerge quindi chiaramente il ruolo dell’enunciazione del principio di diritto, il quale si spiega e risulta funzionale alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, la quale per mezzo del quesito di diritto risultava in grado di rendere una soluzione valevole oltre il caso deciso. I requisiti del quesito di diritto. Su tale presupposto, la Corte chiarisce quindi quali sono i contenuti specifici del quesito di diritto, il quale deve avere la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice, la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Ciò posto, il quesito di diritto non può essere desunto dal contenuto del motivo di ricorso, in quanto in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto dell’articolo 366-bis c.p.c. consiste proprio nell’imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità. Quesiti di diritto e vizio di motivazione. Aggiunge la Corte, che qualora il motivo di ricorso abbia ad oggetto il vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. La censura deve contenere peraltro un momento di sintesi omologo del quesito di diritto che circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. La chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve infatti consistere in una parte del motivo a ciò specificatamente e riassuntivamente destinata, con la conseguenza che non sarà rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere al decisione.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 ottobre 2013 – 2 aprile 2014, numero 7732 Presidente Triola – Relatore Petitti Svolgimento del processo 1. - Con atto di citazione notificato il 22 aprile 1997, G.N. conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Roma, M.G. e V.M. ed esponeva che era erede legittima, per rappresentazione del padre premorto, G.M. , della nonna paterna M.L. , deceduta il OMISSIS che negli ultimi anni di vita M.L. , affetta da una grave forma di malattia mentale, si era trasferita presso la sorella G. e il cognato V.M. , i quali le avevano impedito di avere contatti con altri parenti che il V. si era ingerito nella gestione del patrimonio della cognata che dopo la morte della nonna il V. si era rifiutato di rendere il conto della gestione e M.G. aveva fatto pubblicare un testamento olografo datato 9 novembre 1993, che attribuiva la disponibile alla M. e la legittima ad essa attrice. Tanto premesso G.N. chiedeva che fossero trasferiti in sua proprietà esclusiva i beni caduti in successione, previa declaratoria di inesistenza del testamento disconosciuto, e, in subordine, di nullità del testamento stesso per vizio di mente della testatrice, con conseguente condanna dei convenuti al rilascio degli immobili indebitamente occupati e ordine al V. di rendere il conto e di corrispondere il conguaglio attivo. 2. - I convenuti si costituivano e contestavano la domanda il V. , in via riconvenzionale, chiedeva che venisse accertata l'usucapione, in suo favore, del terreno ubicato in località Castagnano e che gli venisse restituita la somma di L. 30.000.000 mutuata alla de cuius, come da scrittura del 25 agosto 1993, con conseguente condanna dell'attrice al pagamento del detto importo nonché al rimborso delle somme anticipate per imposte, tasse, manutenzione e utenze, quantificate in L. 60.000.000. 3. - Istruita la causa anche a mezzo di c.t.u., l'adito Tribunale, con sentenza del 2001, dichiarava l'autenticità del testamento olografo di M.L. annullava detto testamento per incapacità di intendere e di volere della testatrice, dichiarando, per l'effetto, l'attrice G.N. unica erede, per legge, della M. rigettava la domanda riconvenzionale di usucapione condannava i convenuti al rilascio degli immobili facenti parte del compendio ereditario previa compensazione delle reciproche ragioni creditorie, condannava l'attrice al pagamento della somma di lire 22.000.000, oltre interessi legali dalla domanda al saldo compensava le spese processuali, ponendo le spese di c.t.u. a carico delle parti in misura uguale. 4. - Avverso questa sentenza proponevano appello M.G. e V.M. , chiedendo l'accertamento della validità del testamento e riproponendo le domande riconvenzionali resisteva G.N. e, in via di appello incidentale, chiedeva il rigetto della pretesa creditoria avanzata dal V. ed accolta dal Tribunale. 5. - La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 18 settembre 2007, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di annullamento del testamento olografo di M.L. dichiarava, per l'effetto, M.G. e G.N. eredi di M.L. dichiarava compensate le ragioni creditorie tra G.N. e V.M. confermava la sentenza nel resto e compensava le spese. La Corte d'appello, richiamata la giurisprudenza di legittimità in tema di articolo 591 cod. civ., riteneva che il Tribunale avesse creato un collegamento inesistente tra i ricoveri della M. avvenuti nel OMISSIS e quelli verificatisi nel OMISSIS , atteso che in occasione del primo ricovero nulla era emerso di patologico sul piano psichico e in occasione del secondo OMISSIS , venne effettuata una consulenza psicologica, da cui era emerso un atteggiamento collaborativo e una comune disponibilità al colloquio con la precisazione che non poteva ritenersi significativa la diagnosi di orientamento depressivo, che trovava adeguata giustificazione nel vissuto della donna. In questo contesto, ad avviso della Corte territoriale, la diagnosi formulata nel OMISSIS di demenza multinfartuale non poteva ritenersi una evoluzione peggiorativa della situazione pregressa, integrando piuttosto un radicale mutamento del contesto sintomatico e diagnostico. Pertanto, essendo la diagnosi di demenza multinfartuale successiva di oltre due mesi alla redazione del testamento, non poteva ritenersi, in mancanza di altre prove, che la testatrice fosse al momento della redazione del testamento incapace di intendere e di volere. A riprova di questa conclusione la Corte d'appello adduceva anche le r risultanze della consulenza grafologica, la quale aveva consentito di fugare ogni dubbio in ordine alla riferibilità alla M. del testamento olografo. Accertata, dunque, la validità del testamento e rigettata la domanda di annullamento del medesimo, la Corte d'appello riformava altresì la sentenza impugnata - nella parte in cui aveva condannato l'erede testamentaria al rilascio del compendio ereditario, dovendo i diritti di godimento su detti beni essere disciplinati dalle norme sulla comunione ereditaria. 5.1. - Con riferimento al primo motivo dell'appello incidentale del V. , avente ad oggetto la domanda di usucapione, la Corte condivideva la motivazione offerta dal Tribunale, secondo cui la stessa asserita qualità, da parte del V. , di amministratore dei beni della defunta qualificava il rapporto materiale con il bene in termini di detenzione, con conseguente non configurabilità della usucapione. Né risultava provato alcun atto di interversione del possesso, mentre la prova testimoniale articolata risultava irrilevante atteso che la mera coltivazione del fondo e la mera utilizzazione di una cantina dovevano ritenersi inidonei a provare il possesso, trovando tali accadimenti nel rapporto di gestione del patrimonio della de cuius. La Corte prendeva poi in esame le questioni concernenti la scrittura del 1993 con cui la de cuius aveva riconosciuto di dover restituire L. 30.000.000 al V. . In proposito, la Corte rigettava l'appello incidentale concernente la validità della scrittura, rilevando che correttamente il Tribunale aveva valorizzato il mancato disconoscimento da parte della erede G.N. , mentre era rimasto sfornito di prova l'assunto di quest'ultima circa l'avvenuta captazione e la invalidità della scrittura stessa per dolo. Accertata la validità della scrittura, la Corte d'appello rigettava il motivo di appello del V. , il quale si doleva del mancato riconoscimento per intero della somma recata dalla scrittura. In particolare, la Corte rilevava come il V. , tenuto a rendere il conto, non avesse adempiuto a tale obbligo, il che aveva indotto il Tribunale ad operare una valutazione presuntiva ed equitativa dell'attivo della gestione per il periodo successivo al decesso della M. . La Corte riformava però la statuizione del Tribunale in quanto, stante la validità del testamento e la conseguente apertura della successione in favore sia di G.N. che di M.G. , trovava applicazione l'articolo 752 cod. civ., in forza del quale ciascun erede è tenuto a soddisfare il debito ereditario esclusivamente in proporzione della quota attiva in cui succede, senza vincolo di solidarietà con gli altri eredi. G.N. era quindi tenuta al pagamento del 50% della somma di 30.000.000. Peraltro, poiché la stessa era già titolare dei beni ereditari gestiti dal V. , in quanto coerede unitamente alla de cuius per averli ereditati dal nonno Ge.Nu. , la G. aveva diritto a percepire gli utili pro quota anche nel periodo in cui era in vita la de cuius, sicché dovevano ragionevolmente ritenersi equivalenti le ragioni creditorie tra V. e G. , con conseguente loro integrale compensazione e con rigetto di ogni domanda di pagamento. 6. - Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso G.N. sulla base di cinque motivi ha resistito con controricorso V.M. , il quale ha a sua volta proposto ricorso incidentale affidato a due motivi ha resistito altresì con distinto controricorso M.G. . In prossimità dell'udienza, la ricorrente ha depositato memoria difensiva con costituzione di nuovo difensore. Analogamente, il controricorrente e ricorrente incidentale V.M. e la controricorrente M.G. hanno depositato procura speciale contenente la nomina di un nuovo difensore. Motivi della decisione 1. - Deve essere preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, in quanto rivolti avverso la medesima sentenza articolo 335 cod. proc. civ. . 2. - Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente principale deduce, ai sensi dell'articolo 360, nnumero 3 e 5, cod. proc. civ., violazione dell'articolo 591 cod. civ. in relazione alla perizia svolta in primo grado. La ricorrente ricorda che la c.t.u. svolta in primo grado conteneva un'accurata disamina dei ricoveri subiti dalla de cuius e aveva concluso nel senso della incapacità di intendere e di volere della testatrice alla data della redazione del testamento, essendo la stessa affetta da patologie degenerative, con conseguente progressivo degrado delle facoltà intellettive. Ad avviso della ricorrente, i giudici di appello, sminuendo la portata della c.t.u., si sarebbero sostituiti ai tecnici, peraltro con argomentazioni non convincenti e riduttive del quadro patologico accertato dal c.t.u A conclusione del motivo la ricorrente chiede a questa Corte di affermare che “La c.t.u. ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice quelle cognizioni tecniche di cui quest'ultimo non dispone, e può costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con il concorso di determinate cognizioni tecniche quali quelle in possesso del consulente tecnico. Accertata la totale incapacità di un soggetto in due determinati periodi, prossimi nel tempo, per il periodo intermedio la sussistenza dell'incapacità è assistita da presunzione iuris tantum. con conseguente inversione dell'onere probatorio, nel senso che deve essere colui che vi ha interesse a dimostrare che il soggetto ha agito in una fase di lucido intervallo. In tema di prova per presunzioni, non occorre che i fatti su cui si fonda la presunzione siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio, è sufficiente che il fatto ignoto sia desunto alla stregua di un canone di probabilità”. 3. - Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 624 cod. civ. in relazione all'articolo 2697 cod. civ., dolendosi del fatto che la Corte d'appello non abbia ammesso le prove volte a dimostrare l'attività captatoria posta in essere dal V. e dalla M. ai danni di M.L. . Chiede quindi alla Corte di affermare che “L'attività captatoria può, in assenza di prova testimoniale, presumersi sulla base di alcuni elementi oggettivi che debbono essere necessariamente presenti quali lo stato di incapacità di intendere e volere del soggetto, l'allontanamento graduale dai rapporti con i propri familiari fino al totale isolamento, il mutare improvviso, immotivato e illogico dei rapporti con i propri familiari. Gli elementi di giudizio acquisiti indizi possono non aver alcun valore se considerati individualmente, mentre possono acquisirlo se considerati tutti insieme, nel loro complesso, alla luce del loro vicendevole completamento”. 4. - Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 2729 cod. civ. in relazione alle risultanze delle cartelle cliniche relative ai ricoveri ospedalieri della signora M.L. . La Corte d'appello avrebbe errato nel non riconoscere che sin dal febbraio 1993 esisteva documentazione sanitaria idonea a dimostrare che la M. era affetta da patologie invalidanti che incidevano gravemente sulle sue capacità intellettive. Chiede quindi alla Corte di affermare che “Gli elementi di giudizio acquisiti indizi , possono non aver alcun valore se considerati individualmente, mentre possono acquisirlo se considerati tutti insieme, nel loro complesso, alla luce del loro vicendevole completamento. In tema di prova per presunzioni, non occorre che i fatti su cui si fonda la presunzione siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio, è sufficiente che il fatto ignoto sia desunto alla stregua di un canone di probabilità”. 5. - Con il quarto motivo la ricorrente lamenta insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado in relazione al quadro clinico e alla c.t.u. sullo stato di capacità di intendere e di volere della de cuius, e violazione dell'articolo 2729 cod. civ. sotto altro profilo. Rilevato che la decisione impugnata si basa su documentazione relativa ad un momento antecedente e ad un periodo successivo alla redazione del testamento, la ricorrente ritiene che la motivazione della sentenza impugnata non sia sorretta da un apparato argomentativo logicamente adeguato, in particolare nella parte in cui ha utilizzato dichiarazioni di M.G. che non sono state in alcun modo provate. Chiede quindi alla Corte di affermare che “Gli elementi di giudizio acquisiti indizi possono non aver alcun valore se considerati individualmente, mentre possono acquisirlo se considerati tutti insieme, nel loro complesso, alla luce del loro vicendevole completamento. In tema di prova per presunzioni, non occorre che i fatti su i cui si fonda la presunzione siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio, è sufficiente che il fatto ignoto sia desunto alla stregua di un canone di probabilità”. 6. - Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 1243 cod. civ. La ricorrente rileva che il V. aveva sempre amministrato il patrimonio di M.L. e aveva così gestito anche la parte di patrimonio ad essa spettante in quanto legittima erede del nonno Ge.Nu. , senza mai rispondere alle richieste di documentare il risultato della gestione, e che la scrittura del 25 agosto 1993, da lei disconosciuta, non poteva fornire prova del credito del V. . In tale contesto, la Corte d'appello non avrebbe potuto operare alcuna compensazione non essendosi in presenza di un credito liquido ed esigibile. Chiede quindi alla Corte di affermare che “Non può operare la compensazione, qualora il credito addotto in compensazione sia contestato nell'esistenza e nell'ammontare, in quanto la contestazione esclude la liquidità del credito. Ai fini dell'operatività della compensazione, i rispettivi crediti debbono essere preventivamente determinati nel loro ammontare, altrimenti un credito non liquido, non può considerarsi esigibile e conseguentemente non può essere soggetto a compensazione”. 7. - Con il primo motivo del ricorso incidentale il V. denuncia violazione dell'articolo 1243 cod. civ., in relazione all'articolo 360, nnumero 3 e 5, cod. proc. civ., dolendosi del fatto che la Corte d'appello abbia ritenuto compensato il proprio credito derivante dalla scrittura del 25 agosto 1993 nei confronti della G. con un presunto debito derivante dall'amministrazione del patrimonio di M.L. e della stessa G.N. , pur se il credito della G. non era né certo, né liquido né esigibile. A conclusione del motivo chiede alla Corte di affermare che “Ai fini del verificarsi della compensazione, sia essa legale che giudiziale, il computo della somma a ciò destinata dovrà essere determinato per la sua liquidità ed esigibilità, nonché facile e pronta liquidazione, sulla base ed effettivo riscontro di un calcolo contabile e non invece basato in via presuntiva e liquidato equitativamente”. 8. - Con il secondo motivo il V. denuncia violazione degli articolo 1158 e 1159 bis cod. civ., in relazione all'articolo 360, nnumero 3 e 5, cod. proc. civ., sostenendo che la Corte d'appello avrebbe errato nel non considerare che egli aveva cominciato a svolgere attività di amministrazione del patrimonio di M.L. solo nel 1993, mentre egli aveva chiesto di provare di aver posseduto il terreno, coltivandolo, sin dal 1960. A conclusione del motivo chiede alla Corte di affermare che “Chi sia nominato amministratore di beni immobili può dimostrare con prova di aver posseduto di fatto, univocamente ed uti dominus tali beni od alcuni di essi per un periodo temporale che abbia fatto maturare l'usucapione sui predetti”. 9. - Il primo, il secondo il terzo e il quarto motivo del ricorso principale sono inammissibili per inidoneità dei quesiti di diritto con i quali i motivi stessi si concludono. Premesso che la sentenza impugnata è stata depositata il 18 settembre 2007 ed è quindi soggetta, ratione temporis, all'applicazione dell'articolo 366 bis cod. proc. civ., nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito che “il quesito di diritto imposto dall'articolo 366 bis cod. proc. civ., rispondendo all'esigenza di soddisfare l'interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell'interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura cosi come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l'enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all'esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata” Cass., numero 11535 del 2008 . In particolare, il quesito di diritto di cui all'articolo 366-bis cod. proc. civ. deve compendiare “a la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito b la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice c la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie” Cass. numero 19769 del 2008 e “non può essere desunto dal contenuto del motivo, poiché in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l'indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all'articolo 366 bis cod. proc. civ., introdotto dall'articolo 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, numero 40, consiste proprio nell'imposizione, L al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità” Cass., ord. numero 20409 del 2008 . Nella giurisprudenza di questa Corte si è altresì precisato, con riferimento, in particolare, ai motivi di ricorso con i quali - come nella specie - si denuncia vizio di motivazione, che l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi omologo del quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità Cass., S.U., numero 20603 del 2007 . In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all'esito di un'attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all'osservanza del requisito del citato articolo 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione Cass., numero 16002 del 2007 . Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è poi bensì ammissibile, ma esso deve concludersi “con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all'altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto”. Cass., S.U., numero 7770 del 2009 . Ciò comporta che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità cfr., ad esempio, Cass., sez. unumero , numero 20603 del 2007 . Si deve poi rilevare che è del tutto irrilevante la circostanza che l'articolo 366 bis cod. proc. civ., alla data di proposizione del ricorso, fosse stato abrogato dalla legge numero 69 del 2009. In proposito, questa Corte ha chiarito che alla stregua del disposto del quinto comma dell'articolo 58 della legge 18 giugno 2009, numero 69, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge 4 luglio 2009 , l'abrogazione dell'articolo 366 bis cod. proc. civ. intervenuta ai sensi dell'articolo 47 della citata legge numero 69 del 2009 è efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti antecedentemente, purché dopo l'entrata in vigore del d.lgs. numero 40 del 2006, come nel caso di specie, tale norma è da ritenersi ancora applicabile Cass. numero 7119 del 2010 Cass. numero 26364 del 2009 . 9.1. - Nel caso di specie, dalla lettura dei quesiti di diritto formulati dalla ricorrente a conclusione dei motivi di ricorso in esame, appare del tutto evidente la non rispondenza di detti quesiti alle indicazioni offerte dalla giurisprudenza di questa Corte. Da un lato, infatti, i quesiti si risolvono in generiche affermazioni di principio, del tutto avulse dal contenuto della sentenza impugnata e dalla fattispecie oggetto della decisione dall'altro, e segnatamente nel primo motivo, si assume un dato di fatto - l'accertamento della situazione di incapacità di intendere e di volere del testatore in epoca anteriore alla redazione del testamento - che è positivamente escluso dalla sentenza impugnata dall'altro ancora, e sempre con riferimento al primo motivo, vengono dedotti sia la violazione di legge che il vizio di motivazione, senza tuttavia che dall'articolazione del motivo e dalla formulazione del relativo quesito sia dato evincere quale sia il vizio di violazione di legge denunciato e quale il fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione al quale si assume che la motivazione della sentenza impugnata sia carente o contraddittoria. 9.2. - Con specifico riferimento al secondo motivo deve poi rilevarsi una ulteriore ed autonoma ragione di inammissibilità, atteso che la ricorrente si duole, sia pure con riferimento alla violazione dell'articolo 624 cod. civ. e dell'articolo 2697 cod. civ., della mancata ammissione dei mezzi istruttori che avrebbero dovuto fornire la prova dell'attività di captazione posta in essere dai controricorrenti, ma non risulta indicato il contenuto dei capitoli di prova testimoniale dei quali si lamenta la mancata ammissione. In proposito, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che “il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative” tra le più recenti, Cass. numero 17915 del 2010 numero 13677 del 2012 . 9.3. - Quanto al terzo e al quarto motivo, i quesiti di diritto - identici e consistenti in principi di diritto affermati da questa Corte - sono del tutto astratti e generici e viene sollecitata una valutazione delle risultanze istruttorie diversa da quella affermata dal giudice del merito. Ed è noto che “il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, numero 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione tali vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti” Cass. numero 15489 del 2007 Cass. numero 18119 del 2008 . Nel quarto motivo, inoltre, vengono denunciati congiuntamente vizio di violazione di legge e vizio di motivazione. 10. - Il quinto motivo del ricorso principale - ammissibile in considerazione della idoneità del secondo quesito formulato in conclusione - deve essere esaminato congiuntamente al primo motivo del ricorso incidentale, attenendo entrambi al capo della sentenza impugnata concernente la regolamentazione delle ragioni di dare e avere tra le parti. 10.1. - Entrambi i motivi sono infondati. La Corte d'appello, accertata la validità della scrittura privata in data 25 agosto 1993 contenente il riconoscimento, da parte della de cuius, di un debito di lire 30.000.000 nei confronti del V. - validità, peraltro, sostanzialmente ammessa dalla stessa G. , atteso che la stessa aveva assunto che la detta scrittura privata potesse essere affetta da captazione resa possibile dalle condizioni di patologia mentale della de cuius -, e dopo avere ricordato quanto affermato dal Tribunale in ordine alle modalità di determinazione delle risultanze della gestione, della quale il medesimo V. si era sempre rifiutato di rendere il conto, ha ritenuto di dover riformare la decisione del Tribunale concernente la condanna della G. al pagamento, in favore del V. , della somma di L. 22.000.000, dovendosi integralmente compensare le ragioni di credito esistenti tra il V. e la G. quelle di quest'ultima relative non solo ai proventi derivanti dalla gestione dei beni ereditari a seguito del decesso di M.L. , ma anche alla gestione antecedente, atteso che G.N. era già titolare di una quota dei beni stessi, per averli ereditati dal nonno G.N. . La statuizione della Corte d'appello resiste alle critiche formulate sia dalla ricorrente principale, che dal ricorrente incidentale. Il motivo del ricorso principale, invero, muove dalla premessa che il credito del V. non sarebbe stato provato, sicché, nella prospettiva della ricorrente principale, la compensazione non avrebbe potuto operare poiché era del tutto insussistente il credito del V. e perché questi, non avendo adempiuto all'obbligo di rendere il conto, avrebbe dovuto mettere a disposizione tutto quanto riscosso per somme e frutti civili. Ma la Corte d'appello, al contrario, con motivazione congrua e logica, ha ritenuto la scrittura del 25 agosto 1993 idonea a fornire la prova del credito azionato in via riconvenzionale dal V. , pur se, avendo riconosciuto la validità della scheda testamentaria, ha poi ridotto il credito del V. nei confronti della ricorrente principale della metà, gravando l'altra metà sull'altra erede di M.L. . Quanto ai frutti della gestione dei beni, la Corte d'appello, alla luce delle valutazioni effettuate dal Tribunale e degli elementi di valutazione desumibili dagli atti, ne ha stimato l'entità in misura pari a quella del credito del V. nei confronti della G. , pur ridotto della metà. Quanto al ricorso incidentale, occorre rilevare che il V. - come sottolineato dalla Corte d'appello - ha rifiutato di rendere il conto della complessiva gestione dei beni della de cuius, sia per il periodo anteriore al decesso che per il periodo successivo, sino all'affidamento della custodia degli stessi alla G. . Non può quindi dolersi della valutazione compiuta in proposito dalla Corte d'appello, avendo egli dato causa, con il proprio comportamento, alla valutazione in concreto svolta nella sentenza impugnata. La censura appare peraltro sfornita di ogni elemento valutativo, essendosi il ricorrente limitato ad affermare la inoperatività della compensazione legale, omettendo tuttavia di indicare quali fossero gli elementi dai quali la Corte d'appello avrebbe potuto trarre una diversa valutazione in ordine ai risultati della gestione, in misura inferiore a quella stimata sulla base delle considerazioni svolte nella sentenza di primo grado. 11. - Il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato. Del tutto linearmente la Corte d'appello ha rilevato che, avendo il V. assunto la gestione dei beni di G.L. in qualità di amministratore degli stessi, il rapporto tra il medesimo V. e i beni non poteva essere altro che di detenzione. La deduzione del V. , secondo cui egli avrebbe richiesto di provare il possesso dei beni a far data dal 1960, sicché, al momento in cui aveva assunto l'amministrazione per conto della cognata G.L. , egli li aveva già usucapiti, da un lato, non tiene conto del rilievo che la stessa qualificazione di amministratore di quei beni si pone in contraddizione logica con la pretesa dell'avvenuto acquisto per usucapione dall'altro, non è idonea a censurare la sentenza impugnata, atteso che la Corte d'appello ha espressamente ritenuto irrilevante la prova testimoniale articolata in relazione alla pretesa esistenza di un possesso utile ai fini dell'usucapione. Il ricorrente incidentale, invece, si limita a rilevare di avere formulato una richiesta istruttoria, peraltro non integralmente riportata, che, a suo dire, avrebbe dovuto trovare accoglimento, senza però minimamente confrontarsi con le ragioni in base alle quali la Corte d'appello ha ritenuto la prova testimoniale irrilevante. 12. - In conclusione, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati. In considerazione della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità devono essere compensate tra le parti. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta compensa le spese del giudizio di legittimità.