Per la Cassazione non è tassativo l’elenco ex articolo 45 del DPR 445/2000 sulle informazioni autocertificabili. Si commette reato anche falsificando altre informazioni.
Un aspirante ad un concorso pubblico dichiarava un voto finale di licenza media in realtà mai maturato. Il G.I.P. locale riteneva insussistente la falsità ideologica ex articolo 483 c.p., siccome quel contenuto non è presente nell’elenco tassativo dell’articolo 45 del DPR cit., indicante le informazioni autocertificabili sotto comminatorie di legge. Ricorre il Procuratore Generale competente e la Cassazione, sez. quinta, numero 15048, dep. il 18 aprile, accoglie il ricorso annullando la sentenza impugnata e rinviando gli atti al Tribunale. Nulla osta a ritenere a ritenere sanzionabile anche la dichiarazione inveritiera di quell’informazione, seppure non tipizzata nel DPR cit. Non è tassativo, ai fini penali, l’elenco dell’articolo 45 cit. Il voto di licenza media non è un dato testualmente contenuto nell’elenco dell’articolo 45 cit., che descrive i casi in cui il privato può autocertificare una condizione personale. Va tuttavia esclusa la tassatività di quell’elencazione, l’articolo 485 c.p. punisce anche l’autocertificazione di un dato estraneo a quel testo di legge, quando il privato intende realizzare un ingiusto vantaggio. In termini sistemici ed ordinamentali quando una norma extrapenale giunge ad integrare un precetto penale – nel caso il DPR cit. che disciplina le autocertificazioni dei privati, sulle leggi penali che puniscono le falsità ideologiche -, la legge civile va letta ed applicata indagando l’estensione dell’intimo disvalore contenuto e regolato dalla norma penale. In termini più elastici, se è in gioco il significato delle espressioni contenute nella legge extrapenale, occorre interrogare la norma penale e in quel luogo comprendere quali siano i significati che risultino coerenti con il nucleo di illiceità che il legislatore ha inteso realizzare, quando ha codificato quella specifica norma. In sostanza, l’occhio va alla norma penale sulla falsità ideologica, che determina i valori ermeneutici di ogni dato legislativo in grado di integrarla. Non ha senso allora distinguere fra dati autocertificabili ai sensi dell’articolo 45 cit. e dati non ivi contenuti. Qualunque sia il caso, se si bara in sede di dichiarazione al fine di trarne un ingiusto vantaggio, si realizza comunque una falsità ideologica perfetta. Una giurisprudenza coerente con quella sulla modifica delle norme extrapenali. L’indagine sul “precetto penale” riecheggia più volte nelle pronunce della Cassazione. Si pensi – il rilievo è solo indicativo – al caso in cui la norma extrapenale muti e la variazione avrebbe effetti salvifici per l’imputato. Per l’opinione giurisprudenziale più consolidata, l’imputato non può essere sic et simpliciter considerato esente da sanzione penale – ai sensi dell’articolo 2 c.p., siccome la nuova formulazione della norma extrapenale sarebbe più favorevole - , occorre indagare se quella modifica ha inciso il disvalore sociale , come sopra descritto, espresso della norma. In caso negativo, non opera nessuna abolitio criminis e la norma penale continua ad applicarsi. L’interpretazione estensiva e non analogica, ai fini penali, della lett. m dell’articolo 45 cit. Non avrebbe senso punire una falsa indicazione degli “esami sostenuti” e rendere esente da sanzione penale la falsità in punto di voto finale. La ratio legis della norma consente di ricomprendere anche quelle falsità. Nel caso non opererebbe alcun processo inferenziale analogico, penalmente precluso. La norma è razionalmente tanto chiara ed indicativa da non poter escludere anche quel contenuto autocertificabile. Non si tratta di casi somiglianti, dunque correlabili solo a mezzo dello strumento analogico, si tratta di casi fortemente assimilabili sia per tipologia che per genere, avendo entrambi ad oggetto valori scolastici di qualificazione formativa.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 febbraio – 18 aprile 2012, numero 15048 Presidente Ferrua – Relatore Marasca In fatto e in diritto 1.1. Il Pubblico Ministero chiedeva la emissione di un decreto penale per la violazione dell'articolo 483c.p. contro P.L. accusato di avere falsamente attestato nella domanda di arruolamento nell'esercito italiano di avere conseguito il diploma di scuola media secondaria con una votazione di buono superiore a quella realmente ottenuta di sufficiente, 1.2. Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza emessa in data 29 ottobre 2010, dichiarava, ai sensi dell'articolo 129c.p.p., non doversi procedere contro il P.L. in ordine al delitto ascrittogli perché il fatto non sussiste, sul presupposto che la lettera m dell'articolo 46 del DPR 445 del 2000 individuava, come fatti soggetti ad autocertificazione, il titolo di studio e gli esami sostenuti, ma non anche il giudizio o il voto riportato nell'esame con il quale era stato conseguito il titolo. 2. Con il ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli deduceva la violazione della legge penale perché il voto riportato si doveva ritenere inscindibilmente correlato al titolo di studio conseguito, anche perché la votazione costituiva titolo preferenziale nel reclutamento degli aspiranti. 3.1. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con trasmissione degli atti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. 3.2. Il difensore di P.L. in data 4 novembre 2011 depositava una memoria difensiva con la quale, richiamando anche un precedente giurisprudenziale, contestava gli argomenti del ricorrente. 4.1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Secondo il giudicante l'articolo 483 c.p. costituisce una norma penale in bianco il cui precetto va specificato e riempito con altre fonti normative, facenti obbligo al privato di dichiarare il vero per il conseguimento di specifici effetti giuridici nel caso specifico ha osservato ancora, il G.U.P. la norma di cui all'articolo 46 D.P.R. 28 dicembre 2000 numero 445 ricollega alla lettera m l'effetto di autocertificazione alla dichiarazione del privato riguardante il titolo di studio e gli esami sostenuti, ma non ricollega alcun effetto all'attestazione riguardante il giudizio riportato sicché, non essendo consentita un'estensione in malam partem della norma incriminatrice, l'avere il P. falsamente dichiarato di aver ottenuto il giudizio di buono , anziché quello di sufficiente , non può considerarsi penalmente rilevante. 4.2. La motivazione della sentenza impugnata muove da un'esatta premessa, là dove il giudicante osserva che la norma penale contenuta nell'articolo 483 c.p. richiede, per la definizione del suo contenuto precettivo, il collegamento con una diversa norma eventualmente di carattere extrapenale che conferisca attitudine probatoria all'atto in cui confluisce la dichiarazione inveritiera, così dando luogo all'obbligo per il dichiarante di attenersi alla verità in tal senso si è costantemente espressa la giurisprudenza di questa Corte Suprema, anche a Sezioni Unite v. Cass. Sez. Unumero 17 febbraio 1999 numero 6 Cass. Sez. Un, 15 dicembre 1999 numero 28 nonché le più recenti Cass. Sez. V 13 febbraio 2006 numero 19361 Cass. sez. V 4 dicembre 2007 numero 5365 . Del pari condivisibile è l'individuazione dell'articolo 46 D.P.R. 28 dicembre 2000 numero 445 quale norma integratrice del precetto penale nella fattispecie qui rassegnata la citata disposizione, invero, attraverso l'indicazione di cui alla lettera m attribuisce efficacia probatoria, ai fini amministrativi, alla dichiarazione del privato riguardante il titolo di studio e gli esami sostenuti. 4.3. Non ha, di contro, fondamento giuridico l'interpretazione ingiustificatamente restrittiva data dal G.I.P. al testo normativo in esame, il cui tenore letterale è il seguente Sono comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all'istanza, sottoscritte dall'interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti omissis m titolo di studio, esami sostenuti”. Nell'ottica della sentenza impugnata, l'attestazione resa dal privato nella dichiarazione sostitutiva varrebbe a provare soltanto il superamento dell'esame ivi enunciato, mentre sarebbe giuridicamente irrilevante l'indicazione veridica o mendace del giudizio riportato, in quanto non richiesta dalla norma e, perciò, priva di valenza probatoria tanto dovrebbe dedursi dalla lettera della disposizione, da ritenersi insuperabile se non si voglia accedere ad un'interpretazione estensiva in malam partem, ritenuta illegittima dal giudicante. Proprio in quest'ultima valutazione si annida il vizio che inficia, per violazione di legge, il deliberato. L'interpretazione c.d. estensiva della norma penale, lungi dall'essere vietata, è invece lecita e, anzi, doverosa quando sia dato stabilire attraverso un corretto uso della logica e della tecnica giuridica che il precetto legislativo abbia un contenuto più ampio di quello che appare dalle espressioni letterali adottate dal legislatore in tal caso non si da luogo ad alcuna violazione dell'articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale che vieta, invece, l'applicazione analogica di una norma al di fuori dell'area di operatività che le è propria , in quanto non ne risulta ampliato il contenuto effettivo della disposizione, ma si impedisce che fattispecie ad essa soggette si sottraggano alla sua disciplina per un ingiustificato rispetto di manchevoli espressioni letterali. Il suesposto principio, che nella giurisprudenza di legittimità è stato enunciato da Cass. 29 aprile 1974 numero 1041/75, è di origine assai risalente e risponde ad insopprimibili esigenze di logica giuridica, ignorando le quali si perverrebbe all'assurdo risultato di ritenere ad esempio penalmente lecita l'uccisione volontaria della donna, sol perché l'articolo 575 c.p. punisce colui che cagiona la morte di un uomo . Nel caso specifico di cui ci si occupa, il ricorso all'interpretazione estensiva è reso necessario dalla formula eccessivamente contratta utilizzata dal legislatore nell'indicare l'oggetto della dichiarazione sostitutiva qualora, infatti, si ritenesse bastante la mera indicazione degli esami sostenuti , come dovrebbe trarsi dal tenore letterale della norma se piattamente applicato, il dichiarante sarebbe legittimato ad elencare, senza alcuna specificazione o perfino con indicazione di esito favorevole, secondo la logica della sentenza impugnata , anche gli eventuali esami sostenuti con esito negativo. Tale considerazione basta ad evidenziare la necessità di una lettura della disposizione che sia consona alla finalità di essa sicché, avuto riguardo alla ratio legis, appare chiaro come nell'ambito di una procedura amministrativa nella quale non solo il titolo di studio, ma anche l'esito degli esami sostenuti assume rilievo nella valutazione comparativa dei richiedenti, debba riconoscersi all'autocertificazione valenza probatoria anche riguardo al giudizio riportato con ogni conseguenza in ordine all'obbligo di attestare il vero e all'applicabilità della sanzione penale in caso di sua inottemperanza. La sentenza qui impugnata, che non ha dato corretta applicazione ai suesposti principi, va conseguentemente annullata con rinvio, per nuovo giudizio, allo stesso Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.