Il detenuto non può richiedere l’esecuzione della pena residua presso il proprio domicilio, se uno dei reati, per cui si trova in carcere, rientra nella fattispecie prevista dall’articolo 4-bis ord. pen., disciplinante l’esclusione dai benefici per i soggetti condannati per reati particolarmente gravi.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 10054, depositata il 3 marzo 2014. Il caso. Il Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria confermava l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza, il quale aveva respinto l’istanza di un detenuto di ammissione alla detenzione domiciliare per l’esecuzione della pena residua. La decisione era fondata sul giudizio di pericolosità sociale del condannato, inserito in ambienti della criminalità organizzata e, perciò, sottoposto a misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Una valutazione antiquata. Il detenuto ricorreva in Cassazione, contestando al Tribunale di non aver considerato che il giudizio di pericolosità sociale implica una valutazione globale della personalità, risultante da tutte le manifestazioni sociali, e dalla persistenza di comportamenti illeciti. Deve, inoltre, essere espresso allo stato attuale, mentre, in questo caso, il giudizio era fondato su reati ormai remoti, compreso quello associativo. La Cassazione ricordava il percorso logico seguito dai giudici di merito, i quali avevano riscontrato una condizione ostativa alla detenzione domiciliare nella pericolosità sociale del detenuto, desunta dalla natura e dalla pluralità dei delitti commessi, oggetti del provvedimento di unificazione delle pene concorrenti. I limiti. La l. numero 199/2010, consentendo l’esecuzione di pene detentive brevi presso il domicilio, ha escluso dall’ambito di applicazione i soggetti condannati per dei delitti indicati dall’articolo 4-bis ord. penumero , il quale già vieta la concessione di benefici per chi è stato condannato per gravi reati. La Corte di legittimità si chiedeva se questa esclusione fosse applicabile anche nei casi di pene determinate da provvedimenti di cumulo, comprensivo di più titoli esecutivi, di cui alcuni per reati ex articolo 4-bis ord. penumero e altri, invece, esclusi dall’ambito di applicazione di tale norma. Il paragone. In materia di sospensione condizionata dell’esecuzione della pena, in presenza di titoli ostativi, rappresentati da condanne per reati inclusi nell’articolo 4-bis ord. penumero , non è possibile sciogliere il cumulo delle pene concorrenti al fine di accertare l’avvenuta espiazione della porzione di pena relativa a detti reati. Infatti, in questi casi, deve prevalere l’unitarietà dell’esecuzione. Questo avviene a causa della peculiarità della sospensione condizionata, legata ad un preciso momento temporale e ad un preciso limite di pena. Questo istituto non incide sulla durata della pena, bensì sulle modalità di esecuzione, che avviene in luogo esterno al carcere con l’imposizione di alcune limitazioni, mutuate, in parte, da misure coercitive previste dal codice e, in parte, dalla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale. Ne resta, quindi, esclusa l’applicazione in presenza di reati particolarmente gravi, nonché a fronte del concreto pericolo di fuga e di recidiva del condannato. I giudici di legittimità reputavano che le stesse argomentazioni fossero valide anche per la detenzione presso il domicilio, la quale ripete, nella specificità delle sue previsioni, quelle che contraddistinguono la sospensione condizionata. L’unitarietà della pena. Correttamente, quindi, il Tribunale respingeva la domanda, dovendosi opporre l’unitarietà dell’esecuzione e la non operabilità dello scioglimento del cumulo in presenza di reati ostativi. Per questi motivi, la Cassazione respingeva il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 gennaio – 3 marzo 2014, numero 10054 Presidente Siotto – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza deliberata in data 5 giugno 2013 il Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria rigettava il reclamo, proposto da G.C., avverso l'ordinanza resa il 23 gennaio 2013 dal Magistrato di Sorveglianza di Reggio Calabria, che aveva respinto la sua istanza di ammissione alla detenzione presso il domicilio per l'esecuzione della pena detentiva residua ai sensi della legge numero 199/2010. Fondava la decisione in ragione del giudizio di pericolosità sociale del condannato, inserito nel locale contesto della criminalità organizzata e perciò sottoposto a misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s., pericolosità non smentita nemmeno dalla regolare condotta carceraria, nell'assenza di prova circa la rescissione dei legami intrattenuti con l'organizzazione di appartenenza. 2. Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione l'interessato a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento per inosservanza o erronea applicazione della legge penale e/o contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione il Tribunale non aveva considerato che il giudizio di pericolosità sociale implica una valutazione globale della personalità risultante da tutte le manifestazioni sociali e dalla persistenza di comportamenti illeciti e che deve essere espresso all'attualità, mentre nel caso di specie tale giudizio si era fondato su procedimenti penali conclusi con l'assoluzione e su reati ormai remoti, mentre quello associativo era stato commesso quindici anni prima e nel frattempo egli non era stato coinvolto in altre vicende di rilievo penale. 3. Con requisitoria scritta depositata il 2 ottobre 2013 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dr. E.D., ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. I1 provvedimento impugnato ha respinto il reclamo proposto dal ricorrente sulla scorta di una corretta analisi della sua posizione giuridica e di altrettanto corretta interpretazione delle norme giuridiche di riferimento. Ha rilevato, infatti, la sussistenza delle condizioni ostative all'applicazione della detenzione presso il domicilio, previste dall'articolo 1, comma 2 lett. d , della legge numero 199/2010, ossia la attuale pericolosità sociale del richiedente, intesa quale giudizio prognostico circa l'elevata probabilità di ricaduta nel crimine ha desunto tale valutazione dalla natura e dalla pluralità dei delitti commessi, oggetto del provvedimento di unificazione pene concorrenti in esecuzione. 1.1. E' noto che la legge numero 199 del 2010 ha introdotto una speciale modalità di esecuzione della pena, volta ad attuare il principio dei finalismo rieducativo, sancito dall'articolo 27 Cost. , che consente l'esecuzione di pene detentive brevi presso il luogo del domicilio del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, al fine di alleggerire la grave situazione di affollamento degli istituti penitenziari del paese in attesa della realizzazione dei piano straordinario penitenziario e della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione. La nuova disciplina esclude dall'ambito di applicazione quanti siano stati condannati per taluno dei delitti indicati dall'articolo 4-bis ord. penumero , i delinquenti abituali, professionali o per tendenza ed i detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ai sensi dell'articolo 14-bis ord. penumero , salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dal successivo articolo 14-ter, e in presenza del concreto pericolo di fuga o di commissione di altri delitti e di insussistenza della idoneità e della effettività dei domicilio, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato, a norma dell'articolo 1, comma 2 . 1.2. La prevista negazione dell'ammissione alla misura dei soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dalla L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 4-bis pone la questione della sua riferibilità alle situazioni in cui, come nel caso di specie, sia in corso di esecuzione la pena determinata con provvedimento di cumulo, comprensivo di più titoli esecutivi, uno dei quali per reato indicato dall'articolo 4-bis ord. penumero , e, come tale, espressamente escluso dall'ambito oggettivo di applicazione della legge, ed altri riguardanti reati non di ostacolo alla fruizione dell'istituto giuridico, nei casi in cui la pena relativa al reato ostativo sia stata già interamente espiata. 1.3. Questa Corte ha costantemente affermato in riferimento all'istituto della sospensione condizionata della esecuzione della pena, previsto dalla L. numero 207 del 2003, che in presenza di titoli ostativi, rappresentati da condanne per reati inclusi nell'articolo 4-bis ord. penumero , non è operabile lo scioglimento del cumulo delle pene concorrenti al fine di accertare l'avvenuta espiazione della porzione di pena relativa a detti reati, dovendo prevalere l'unitarietà della esecuzione tra le altre, Cass. sez. 1, numero 9423 del 07/01/2010, Cantora, rv. 246822 sez. 1, numero 15988 del 02/04/2009, Mariano, rv. 243175 sez. 1, numero 47005 del 12/10/2008, Esposito, rv. 242056 Sez. 1, numero 17810 del 08/04/2008, Amante, rv. 239853 Sez. 1, numero 253 del 12/11/2007, Fichera, rv. 238843 . 1.4. Tale principio di diritto trova fondamento, per quanto desumibile anche dai lavori parlamentari, nel rilievo circa la peculiarità della sospensione condizionata dell'esecuzione della pena, legata ad un preciso momento temporale e ad un preciso limite di pena, il cui superamento esclude del tutto il beneficio in questione, come espressamente previsto dall'articolo 2, comma 8, il quale richiama la L. numero 354 del 1975, articolo 51-bis e 51-ter e successive modifiche, relativi alla sopravvenienza, di nuovi titoli privativi della libertà personale tale istituto non incide sulla durata della pena, bensì sulle modalità dell'esecuzione, che avviene in luogo esterno al carcere con l'imposizione di alcune limitazioni, mutuate, in parte da misure coercitive previste dal codice di rito e, in parte, dalla misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale. Ne resta esclusa l'applicazione in presenza di reati particolarmente gravi, tali considerati dallo stesso legislatore, nonché a fronte del concreto pericolo di fuga e di recidiva del condannato. Si è dunque ritenuto che le stesse argomentazioni conservino validità anche per la detenzione presso il domicilio, che ripete nella specificità delle sue previsioni quelle che contraddistinguono la sospensione condizionata, come del resto già affermato da recente pronuncia di questa sezione in caso similare Cass. sez. 1, numero 25046 del 13/01/2012, Zarra, rv. 253335 . 1.5. Pertanto, in coerenza con i già affermati principi, per le ragioni di diritto che il Tribunale non ha considerato, ma che sono dirimenti e che integrano e rettificano la relativa motivazione ai sensi dell'articolo 619 cod. proc. penumero , deve ritenersi del tutto legittima la decisione impugnata, che ha respinto la richiesta di esecuzione della pena presso il domicilio, avanzata dal ricorrente, dovendosi opporre la unitarietà della esecuzione e la non operabilità dello scioglimento del cumulo in presenza di reati ostativi, quale quello di cui all'articolo 416-bis cod. penumero . Il ricorso, poiché infondato alla stregua dei detti rilievi, che rivestono carattere assorbente rispetto alle ulteriori deduzioni svolte, deve essere respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.