Le espressioni utilizzate dal consigliere devono infatti essere strumentali all’esercizio delle funzioni e al collegamento contrattuale con l’oggetto della discussione, in modo da effettuare un bilanciamento tra interessi contrapposti.
La vicenda . La fattispecie al centro della controversia in esame si impernia su una presunta diffamazione ad opera di un magistrato nei confronti di un altro magistrato e sulla conseguente richiesta di risarcimento dei danni morali e materiali patiti. Il magistrato accusato affermava che le dichiarazioni, rese nel corso di una seduta del plenum del CSM, fossero pertinenti al tema in discussione, e, di conseguenza, erano riconducibili all’esercizio di componente del CSM. Pertanto, secondo questi, risultava applicabile l’esimente speciale prevista dall’articolo 32- bis, legge numero 195/1958, introdotto dall’articolo 5, legge numero 1/1981, in forza della quale i componenti del Consiglio superiore non sono punibili per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, e concernenti l'oggetto della discussione. Il giudice di prime cure rigettava la domanda risarcitoria, con sentenza riformata in appello. In particolare, la Corte di appello accoglieva parzialmente l’appello principale sostenendo che non vi fosse correlazione tra le contestate dichiarazioni del magistrato accusato e il tema all’ordine del giorno. In altre parole, il giudice del gravame ha ritenuto che nella riunione del CSM non fossero in discussione profili riguardanti «le attitudini, i meriti e i demeriti dei magistrati da assegnare ai vari uffici, da trasferire, da promuovere, da sottoporre a procedimenti disciplinari». Quindi, a detta della Corte di appello il magistrato accusato aveva fatto delle affermazioni sicuramente fuori luogo. Le scriminanti relative alla diffamazione . Risulta opportuno premettere come sia oramai pacifico che il comportamento astrattamente illecito di colui che divulghi notizie lesive dell’altrui onore o reputazione è considerato scriminato dall’esercizio del diritto di cronaca, tutelato dall’articolo 21 Cost., rispetto alla diffamazione a mezzo stampa di cui al comma 3 dell’articolo 595 c.p. ovvero alla lesione della privacy ai sensi dell’articolo 167, d.lgs. numero 196/2003 sul trattamento illecito di dati personali, qualora i fatti narrati posseggano i requisiti - i primi due contenutistici, il terzo formale - della pertinenza del fatto all’interesse pubblico, della verità oggettiva, o quanto meno putativa, della notizia e della continenza formale dell’esposizione. Giova precisare come i parametri della continenza formale e della pertinenza – invocato dal magistrato accusato nel caso in specie - possono essere qualificati come specificazione dei più generali vincoli di necessità e proporzione che contraddistinguono la generalità delle scriminanti, non esclusa, dunque, la scriminante costituzionale del diritto di cronaca. Infatti, la necessità esige un nesso di interdipendenza tra la divulgazione della notizia e la lesione dell’onore, tanto da non poter impedire che si possa esercitare il diritto di informazione senza pregiudicare il diritto individuale all’onore e alla reputazione. L’incidenza dei suddetti vincoli si riflette in materia civile in quanto si tratta di cause di giustificazione che dunque rendono lecito ab origine il fatto sotto ogni profilo, rimuovendo l’ingiustizia del danno benché in alcune ipotesi residui comunque l’imposizione di un obbligo indennitario in capo al danneggiante, come nel caso dell’articolo 2045 c.c. . Diffamazione e responsabilità civile . Del resto, la diffamazione ha recentemente acquisito sempre più rilevanza dal punto di vista civilistico, stante la diffusa propensione dei soggetti diffamati a prediligere l’azione civile di risarcimento del danno in luogo della querela per diffamazione. Questa propensione, emergente dalla prassi giudiziaria, è chiaramente addebitabile alla scarsa efficacia dell’azione penale ai fini di tutela del soggetto leso e di sanzione del reo. A tale causa deve aggiungersi la possibilità, ammessa in sede civile, di sanzionare l’illecito diffamatorio a prescindere dalla circostanza che lo stesso costituisca reato o che non risulti punibile per mancanza di condizioni che riguardano unicamente il profilo penalistico. Infatti, vale rammentare come la responsabilità aquiliana derivi non dalla mera commissione di un fatto costituente reato bensì dall’illiceità del comportamento da cui si è originato quel pregiudizio. Di conseguenza, anche in caso di diffamazione, quando si configura una fattispecie che integra gli estremi dell’articolo 2043 c.c., o una delle ipotesi di responsabilità oggettiva, e l’evento lesivo attiene ad un valore della persona costituzionalmente tutelato quale il diritto alla reputazione e all’immagine, il danno-conseguenza non patrimoniale risulterà risarcibile, benché tale fatto non costituisca un reato o non sia previsto dalla legge come reato. La legittimità costituzionale della scriminante . La Suprema Corte si concentra sulla questione di legittimità costituzionale del suddetto articolo 32- bis, legge numero 195/1958. Ribadendo quanto stabilito da una decisione della Corte Costituzionale, la Cassazione riafferma che qualunque condotta delittuosa che non si esaurisca in manifestazioni del pensiero e nei voti in cui si concretano i giudizi, come quelli rilevanti nella specie, che la Costituzione riserva al Consiglio superiore della magistratura rimane soggetta al diritto penale comune, quand'anche posta in essere dai consiglieri, nell'esercizio delle loro funzioni. In aggiunta a ciò, la scriminante in questione si differenzia, sotto un ulteriore aspetto dall'immunità parlamentare in quanto le formule rispettivamente adoperate dalla Costituzione e dalla legge numero 1 del 1981 sono volutamente diverse. Nel primo caso, cioè, si afferma che «i membri del Parlamento non possono essere perseguiti » nella stesura finale del disposto in esame si chiarisce invece - a seguito di un apposito emendamento, approvato dalla quarta commissione permanente della Camera - che «i componenti del Consiglio superiore non sono punibili » quasi per escludere che i consiglieri siano stati in alcun modo sottratti ai giudici penali, mediante un'immunità di tipo processuale e non solo sostanziale. Infine, non è senza significato che la disposizione impugnata, pur contenendo un generico riferimento alle opinioni espresse dai componenti il Consiglio, precisi contestualmente che esse devono concernere «l'oggetto della discussione». Sotto questo profilo, la scriminante in esame presenta un punto di contatto con la previsione dell'articolo 598, primo comma, del codice penale. Quindi, il giudice penale può bene sindacare se siano stati superati i limiti della condotta scriminata. In breve, dunque, l'articolo 5, legge numero 1/1981 ha previsto una causa di non punibilità specifica, ma rigorosamente circoscritta, che ha per oggetto le sole manifestazioni di pensiero funzionali all'esercizio dei poteri - doveri costituzionalmente spettanti ai componenti il CSM. I precedenti di legittimità il collegamento funzionale del voto . La Suprema Corte conferma dunque l’orientamento già adottato da precedenti sentenze di legittimità. Infatti, si evidenzia come la garanzia di non punibilità per i componenti del Consiglio superiore della magistratura in relazione alle opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni e concernenti l'oggetto della discussione - garanzia prevista, a tutela della funzione istituzionale dell'organo di governo autonomo della magistratura, - si riferisce anche alla responsabilità civile e copre ogni manifestazione del pensiero in concreto attinente all'oggetto della discussione consiliare e strumentalmente collegata al fine dell'esercizio del voto ne consegue che, ove sussista detto collegamento funzionale, il comportamento del componente del CSM deve considerarsi legittimo e non produttivo di danno ingiusto, ancorché possa cagionare a terzi un pregiudizio, restando così precluso qualsiasi sindacato sul contenuto dell'opinione espressa, sulla rispondenza a veridicità della medesima nonché sulla potenziale idoneità a determinare un effetto di tipo diffamatorio. Il distinguo della fattispecie . Nel caso al centro della questione, tuttavia, la circostanza che il plenum del C.S.M. non discutesse di provvedimenti relativi alla vita professionale del magistrato esclude l’applicazione della suddetta norma esimente. Infatti, la garanzia che la disposizione è destinata ad apprestare è sicuramente destinata ad operare con riferimento all’adempimento di tutti i compiti riservati agli stessi componenti del CSM. Pertanto, per la Cassazione il motivo di ricorso deve essere accolto. Secondo la Suprema Corte, invero, perché sia applicabile l’esimente non basta il semplice contesto consiliare in cui sono state rese le manifestazioni di pensiero, ma è necessario verificare che tali manifestazioni di pensiero costituiscano espressione delle funzioni assegnate ai componenti del CSM, sussistendo un oggettivo collegamento tra l’oggetto della discussione e le opinione espressi.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 29 gennaio - 27 febbraio 2013, numero 4854 Presidente Berruti – Relatore Ambrosio Svolgimento del processo Con citazione notificata in data 11.12.2002 D.S.A. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma A S. , lamentando di essere stato diffamato dal collega in due occasioni - nel corso di una seduta del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura in data omissis , nonché in un successivo intervento spedito il omissis alla mailing list, denominata . - e chiedendo, dunque, il risarcimento dei danni morali e materiali subiti. Resisteva il convenuto, il quale - con particolare riferimento alle dichiarazioni rese nel corso della riunione consiliare che ancora interessa in questa sede - rilevava la pertinenza delle stesse in ordine al tema in discussione e la conseguente riconducibilità delle opinioni espresse all'esercizio delle funzioni di componente del C.S.M. con conseguente applicabilità dell'esimente speciale sancita dall'articolo 32 bis della legge 195/1958, introdotto dall'articolo 5 della legge numero 1/1981. La domanda risarcitoria era rigettata dal Tribunale con sentenza in data 21 marzo 2005, con la quale l'attore era condannato al pagamento delle spese di lite in favore della controparte. La decisione, gravata da impugnazione principale del D.S. e incidentale dello S. , era riformata dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza in data 11 maggio 2009, accoglieva parzialmente l'appello principale e condannava S.A. al pagamento in favore di A D.S. della somma simbolica di un Euro, come da richiesta formulata dall'appellante in sede di discussione orale rigettava l'appello incidentale e condannava l'appellato alle spese del doppio grado. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.A. , svolgendo tre motivi. Ha resistito A D.S. , depositando controricorso, con il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso o, comunque, di rigettarlo, formulando in via gradata questione di legittimità costituzionale dell'articolo 32 bis della legge 14 marzo 1958, numero 195, introdotto dall'articolo 5 della legge 31 gennaio 1981, numero l. Parte resistente ha anche chiesto la cancellazione di alcune frasi ritenute oltraggiose. La discussione del ricorso - preceduta dal deposito di memorie ex articolo 378 cod. proc. civ. e originariamente fissata per il 20.06.2012 - è stata rinviata a seguito della richiesta di astensione di uno dei componenti del Collegio per ragioni di opportunità ed è, quindi, avvenuta all'udienza del 29.01.2013. In relazione a detta udienza parte resistente ha depositato ulteriore memoria ex articolo 378 cod. proc. civ Motivi della decisione 1. La Corte di appello si è discostata dalle valutazioni del primo Giudice, in punto di liceità del primo in ordine temporale dei due episodi denunciati dal D.S. e, precisamente, di quello verificatosi nel corso della seduta del C.S.M. in data omissis , dedicata alla discussione di un quesito relativo alla mailing list . formulato, quale magistrato, proprio dall'odierno resistente , allorché A S. , all'epoca consigliere del C.S.M., pronunciò la seguente frase “il dr. D.S. è passato anche da vicende penali è stato condannato in primo grado, anche se poi assolto per gravi reati e ha subito un procedimento disciplinare per questo”. In particolare la Corte territoriale - pur convenendo con il Tribunale circa l'astratta applicabilità alle suddette dichiarazione della speciale esimente di cui all'articolo 32 bis della legge 14 marzo 1958 numero 195, aggiunto dall'articolo 5 l. 3 gennaio 1981 numero 1 secondo cui “i componenti del Consiglio Superiore non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni e concernenti l'oggetto della discussione” - ha ritenuto che non vi fosse correlazione tra le contestate dichiarazioni dello S. e il tema all'ordine del giorno, concernente pretese deviazioni nell'utilizzazione dell'innovativo mezzo di comunicazione delle mailing list gestite da correnti associative o gruppi di magistrati. In altri termini - secondo la Corte territoriale – “non essendo in discussione profili attinenti le attitudini, i meriti e i demeriti dei magistrati da assegnare ai vari uffici, da trasferire, da promuovere, da sottoporre a procedimenti disciplinari appare . sicuramente fuori luogo il riferimento dello S. ai trascorsi giudiziari e disciplinari del D.S. , mero autore del quesito sulla disciplina delle c.d. mailing list al Consiglio” così a pag.10 della sentenza . Dalla eccentricità delle affermazioni dello S. e del tema della riservatezza che, a parere dell'appellato, esse profilavano, rispetto all'oggetto della discussione, nonché dall'ulteriore rilievo della non veridicità delle riferite circostanze in particolare nessun grave reato era stato ascritto prima del definitivo proscioglimento , la Corte di appello ha, quindi, tratto il convincimento dell'integrazione, nella fattispecie, dell'illecito contestato, con conseguente accoglimento della domanda risarcitoria. 2. Il ricorso - avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009 - è soggetto, in forza del combinato disposto di cui al d.Lgs. 2 febbraio 2006, numero 40, articolo 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, numero 69, articolo 58, alla disciplina di cui agli articolo 360 cod. proc. civ. e segg. come risultanti per effetto del cit. d.Lgs. numero 40 del 2006. 2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell'articolo 32 bis della legge 195/1958, introdotto dall'articolo 5 della legge numero 1/1981 articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. , nonché difetto di motivazione, lamentandosi il mancato riconoscimento dell'esimente di cui alla norma indicata. Il motivo si chiude con il seguente quesito ex articolo 366 bis cod. proc. civ. “Con riferimento ad un intervento svolto nel corso di una seduta del plenum, ancorché non relativo ad una vicenda di assegnazione di uffici, trasferimento o promozione di magistrati, provvedimenti disciplinari, può essere invocata l'esimente speciale prevista dall'articolo 32 bis l. 14 marzo 1958 numero 195, introdotto dall'articolo 5 l. 31 gennaio 1981 numero 1 ogniqualvolta il problema sollevato determini la necessità di valutare la complessiva personalità del magistrato implicato nel fatto assunto ad oggetto della discussione? Dica in particolare la Corte, per quanto si riferisce al caso di specie, se il giudice di merito abbia del tutto omesso di valutare la ricorrenza dei requisiti di applicabilità della norma sopra richiamata, evitando qualunque valutazione specifica della peculiarità del caso, nel raccordo tra il problema sollevato e la complessiva figura umana e professionale del denunciante. Dica ancora la S.C. che l’intervento del cons. S.A. , in occasione della seduta del plenum del C.S.M. in data 11 luglio 2002 non aveva alcun contenuto diffamatorio e, in ogni caso, era scriminato dall'esimente speciale prevista dall'articolo 32 bis l. 14/3/1958 numero 195, introdotto dall'articolo 5 l. 31/1/1981 numero 1 e, pertanto il cons. S. non può rispondere in sede civile nei confronti del cons. A D.S. per il contenuto delle stesse dichiarazioni. Dica in ultimo la S.C. che la sentenza impugnata è incongruamente e insufficientemente motivata per avere ritenuto l'intervento del cons. S. nella stessa seduta del plenum del OMISSIS eccentrico rispetto alla discussione di plenum, che riguardava anche la persona dell'esponente cons. D.S. e, in particolare, che era nel legittimo esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri la richiesta del cons. S. di aprire una pratica conoscitiva nei confronti dell'esponente cons. A D.S. ”. 2.2. L'esame del motivo deve essere preceduto da quello delle pregiudiziali eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate da parte resistente sotto diversi profili e, segnatamente, in relazione ai nnumero 3 e 4 dell'articolo 366 cod. proc. civ. e all'articolo 366 bis cod. proc. civ., applicabile alla fattispecie in ragione di quanto esposto sub numero 1.1 2.2.1. Innanzitutto va sgombrato il campo dalla pregiudiziale eccezione di inammissibilità del ricorso in relazione all'articolo 366 numero 3 cod. proc. civ., formulata da parte resistente sul presupposto dell'inidoneità della “sommaria esposizione del fatto” contenuta in ricorso, siccome in tesi realizzata con una modalità equivalente a un mero rinvio agli atti di causa, attraverso l' assemblaggio di pregressi atti processuali. In via di principio si rileva che la disposizione richiamata è volta ad assicurare, in ossequio al principio dell'autosufficienza del ricorso, la compiuta conoscenza dell'oggetto della pretesa e dell'esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse, postulando una selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice che ne evidenzi gli aspetti rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso. In tale prospettiva questa Corte è costante nell'affermare che lo scopo perseguito dalla norma può essere realizzato anche dalla trascrizione della sentenza impugnata, purché se ne possa ricavare la cognizione dell'origine e dell'oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, senza necessità di ricorrere ad altre fonti Cass. 26 marzo 2012, numero 4782 cfr. anche Cass. numero 11338/2004 Cass. numero 19237/2003 Cass. numero 3747/03 . In particolare le SS.UU. - nel valutare negativamente, in termini di inammissibilità del ricorso, la tecnica di redazione tramite assemblaggio di pregressi atti processuali - hanno tuttavia precisato che la riproduzione del fatto mediante l'esclusiva, testuale esposizione dell'intera sentenza impugnata o della parte di essa dedicata allo svolgimento del processo prescritta per la sentenza fino all'entrata in vigore della L. numero 69 del 2009 non comporta necessariamente l'inammissibilità del ricorso per inosservanza del disposto di cui all'articolo 366 numero 3 cod. proc. civ., fermo restando che “riproducendo il fatto come riportato nella sentenza impugnata, il ricorrente assume il rischio sia di una rappresentazione non sufficientemente chiara sia della sua inadeguatezza funzionale in relazione ai motivi per i quali la sentenza stessa è censurata” e ciò in quanto, pur in assenza di una parte formalmente destinata all'esposizione del fatto, il ricorso non è inammissibile “se l’esposizione dei motivi sia di per sé autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso” sentenza 11 aprile 2012, numero 5698 in motivazione . Orbene, riconoscendo continuità a siffatti principi, il Collegio rileva che il ricorso all'esame - sia pure attraverso una discutibile tecnica redazionale, risolventesi nella pedissequa riproduzione, nella parte dedicata all'esposizione del fatto, dello svolgimento del processo come descritto dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado - da adeguata contezza, anche per effetto dei richiami svolti nella successiva esposizione dei motivi, sia dell'oggetto della controversia, sia del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura, così assolvendo l'onere previsto dalla norma di cui al numero 3 dell'articolo 366 cit. di operare una sintesi funzionale all'adeguata comprensione e valutazione delle censure svolte con il ricorso per cassazione 2.2.2. Le ulteriori questioni di in ammissibilità - prospettate in considerazione vuoi della formulazione con un unico motivo di plurime censure ai sensi del numero 3 e del numero 5 dell'articolo 360 cod. proc. civ. , vuoi dell'articolazione di plurimi quesiti in relazione all'unico motivo, vuoi ancora sul presupposto dell'inadeguatezza del quesito o dei quesiti di diritto e della mancanza del quesito c.d. di fatto la “chiara indicazione” di cui alla seconda parte dell'articolo 366 bis cod. proc. civ. , oltre che sul rilievo della genericità della denuncia del vizio motivazionale - si prestano ad un esame unitario, per la loro stretta connessione e interdipendenza, riconducendosi tutte, in via diretta o indiretta, a profili di specificità di questo come dei successivi motivi di ricorso Del resto - considerato che i canoni di elaborazione dei quesiti predicano, essenzialmente, la specifica, diretta e autosufficiente formulazione di un interpello alla Corte sull'errore di diritto asseritamente commesso dal giudice del merito e, per la censura motivazionale, la chiara indicazione del fatto controverso e della sua decisività - l'inadeguatezza del quesito di diritto o di fatto altro non dovrebbe essere che la cartina di tornasole della aspecificità del motivo. 2.2.3. Le suddette censure non meritano accoglimento. In via di principio occorre distinguere il caso in cui il contemporaneo riferimento alle diverse ipotesi contemplate dai nnumero 3 e 5 dell'articolo 360 cod. proc. civ. si traduca in una inammissibile mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, prospettando la medesima questione sotto profili incompatibili in cui ricorre sicuramente il difetto di specificità , da quello che si sottrae alla sanzione di inammissibilità del motivo formalmente unico che risulti, però, articolato in autonomi e differenziati profili di violazione o falsa applicazione di legge ovvero del motivo complesso, in cui uno stesso mezzo include diverse censure, di violazione di legge e di vizio motivazionale, aventi un proprio, specifico e ben delimitato oggetto. In particolare costituisce principio acquisito, convalidato dalle SS.UU. nell'ambito della tematica concernente l'elaborazione dei quesiti cfr. sentenza 31 marzo 2009, numero 7770 , quello secondo cui nessuna prescrizione è rinvenibile nelle norme processuali, che ostacolino la duplice denunzia con unico mezzo, di vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto cfr. anche Cass. 18 gennaio 2008, numero 976 , fermo restando che in tale caso il motivo si deve concludere con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all'altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stata, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto. Nel contempo è stato affermato che - anche qualora il ricorso sia formulato con riferimento solo al numero 3 o al numero 4 dell'articolo 360 cod. proc. civ. - la formulazione di distinti e plurimi quesiti di diritto non può ritenersi contrastante, di per sé, con la disposizione dell'articolo 366 bis cod. proc. civ. per il solo fatto che questa esige che il motivo si concluda, a pena di inammissibilità, con un quesito e ciò non solo, perché il motivo di ricorso può essere articolato con riferimento a diverse e concorrenti violazioni di legge, con la conseguenza che il quesito deve rispecchiare ciascuna di tali articolazioni, potendo ben assumere una forma, anche dal punto di vista grafico, separata Cass. 9 giugno 2010, numero 13868 , ma anche perché la funzione del quesito, di sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, non può dirsi elusa, quando esso sia formulato per più punti e questi consistano in più proposizioni, intimamente connesse, che, per la loro funzione unitaria, sotto il profilo logico e giuridico, risultino complessivamente idonee, pur sovrapponendosi parzialmente, a far comprendere senza equivoci la violazione denunciata ed a richiedere alla Corte di affermare un principio di diritto contrario a quello posto a base della decisione impugnata Cass. 6 novembre 2008, numero 26737 . Invero la frammentazione di un unico motivo in una pluralità di quesiti non determina di per sé l'inammissibilità del ricorso, allorquando il giudice sia in grado di ridurre ad unità i quesiti formulati, attraverso una lettura che sia agevole ed univoca, per la chiarezza del dato testuale Cass. 21 settembre 2007, numero 19560 . 2.2.4. Ciò posto e rilevato che il quesito a corredo del motivo all'esame è formalmente articolato in un interrogativo circa l'applicabilità dell'esimente di cui all'articolo 32 bis legge numero 195 del 1958, introdotto dall'articolo 5 legge numero 1 del 1981, all'intervento svolto nel corso della seduta del plenum del C.S.M. “ancorché non relativo ad una vicenda di assegnazione di uffici, trasferimento o promozione di magistrati, provvedimenti disciplinari .” e in una serie di successive esortazioni in ordine all'applicazione dell'esimente nel caso specifico “dica in particolare .” , ritiene il Collegio che la pur singolare struttura di detto quesito rende, tuttavia, possibile enucleare almeno una duplice proposizione decisiva ai fini della controversia, e, cioè, l'erronea individuazione dell'ambito di applicazione della norma cit., siccome ristretta alle sole deliberazioni attinenti alla carriera dei magistrati e, quale riflesso dell'erronea ricognizione della fattispecie astratta applicabile al caso concreto, l'omessa verifica della connessione funzionale delle dichiarazioni di cui trattasi rispetto all'oggetto e al fine della deliberazione consiliare. Invero il vizio di falsa applicazione della legge si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalla norma di diritto applicabile al caso concreto. In definitiva il nucleo del quesito consente di ritenere soddisfatto l'onere imposto dall'articolo 366 bis cod. proc. civ. in relazione al vizio di cui al numero 3 dell'articolo 360 cod. proc. civ., giacché - ad onta della congiunta denuncia del vizio motivazionale e del riferimento, nell'ultima parte del quesito, alla sentenza impugnata come “incongruamente ed insufficientemente motivata” di per sé inidoneo ai fini del c.d. quesito di fatto - la questione proposta è essenzialmente una questione di diritto, afferendo nei termini sopra precisati, all'interpretazione della norma enunciata in rubrica e all'individuazione dell'ambito normativo di riferimento dell'esimente ivi prevista. 3. Così precisati i termini della censura, si impone una ricognizione dei per il vero rari approdi della giurisprudenza in materia, anche in considerazione della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 32 bis cit. prospettata in via gradata da parte resistente che - seppure inammissibile come tale, per l'omessa indicazione dei parametri costituzionali di riferimento - nella sostanza denuncia i pericoli di un'interpretazione della norma che risolva la speciale guarentigia in un'immunità tout court per i componenti del C.S.M 3.1. Come è noto la norma, sottoposta a verifica di conformità agli articolo 3, comma 1, 28 e 122 Cost., è stata ritenuta legittima, in ragione della limitata operatività dell'esimente costituente “una causa di non punibilità specifica, ma rigorosamente circoscritta, avente per oggetto le sole manifestazioni di pensiero, funzionali all'esercizio dei poteri-doveri costituzionalmente spettanti ai componenti il Consiglio superiore” e in considerazione del “ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco”, posto che “è nella logica del disegno costituzionale che il Consiglio sia garantito nella propria indipendenza, tanto nei rapporti con altri poteri quanto nei rapporti con l'ordine giudiziario” così, Corte Cost. sent. 3 giugno 1983, numero 148 . Più di recente la “precisa copertura costituzionale” della legge ordinaria, quale fonte idonea a prevedere l'esimente di cui si discute, risulta incidentalmente ribadita dal Giudice delle leggi, anche alla luce del principio secondo cui le prerogative di organi costituzionali, in quanto derogatorie al principio di eguaglianza, devono essere stabilite con norma costituzionale, mentre il legislatore ordinario può solo intervenire per attuare, sul piano procedimentale, il dettato costituzionale, essendogli preclusa ogni integrazione o estensione dello stesso cfr. Corte cost. sent. 19 ottobre 2009, numero 262 . E tutto ciò è in linea con il principio consolidato, secondo cui - quale che sia la sua qualificazione dogmatica - il Consiglio Superiore della Magistratura è organo di sicuro rilievo costituzionale, inteso a rendere effettiva, fornendola di apposita garanzia costituzionale, l'autonomia della magistratura cfr. Corte Cost. sent. 2 febbraio 1971, numero 12 e con l'ulteriore considerazione che “strumento essenziale di siffatta autonomia, e quindi della stessa indipendenza dei magistrati nell'esercizio delle loro funzioni, che essa è istituzionalmente rivolta a rafforzare, sono le competenze attribuite al Consiglio superiore dagli articolo 105, 106 e 107 Cost.” Corte Cost. sent. 18 luglio 1973, numero 142 . 3.2. In tale solco interpretativo si colloca la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, segnatamente evidenziando che la garanzia di non punibilità prevista dall'articolo 32 bis cit. a tutela della funzione istituzionale dell'organo di governo autonomo della magistratura, si riferisce anche alla responsabilità civile e copre ogni manifestazione del pensiero in concreto attinente all'oggetto della discussione consiliare e strumentalmente collegata al fine dell'esercizio del voto cfr. SS.UU. 11 marzo 2002, numero 3527 e ulteriormente precisando, in una fattispecie peculiare relativa ad azione risarcitoria per diffamazione proposta da un imputato in relazione alla segnalazione fatta da alcuni consiglieri al Presidente di una Commissione per far valutare ed eventualmente censurare l'operato di un magistrato che lo aveva scarcerato , che la speciale causa di non punibilità si riferisce anche alle opinioni dei consiglieri non collegabili con argomenti già posti all'ordine del giorno dell'assemblea plenaria o delle commissioni, ma relative a materie rientranti nelle competenze dell'organo di autogoverno e che siano funzionali alle attività dello stesso cfr. Cass. 11 dicembre 2007, numero 25955 . Inoltre - trattandosi di un elemento impeditivo della oggettiva configurabilità di un illecito nelle dichiarazioni che siano strumentali all'attività costituzionalmente necessaria del Consiglio - qualora un componente del Consiglio superiore della magistratura, convenuto in un giudizio civile per rispondere delle opinioni da lui espresse, abbia rinunciato al favor innocentiae ed esplicitamente subordinato l'esame del merito della controversia alla verifica della non punibilità della sua condotta, l'accertamento della sussistenza delle condizioni per l'applicabilità dell'esimente è pregiudiziale all'indagine sulla veridicità e sul carattere diffamatorio delle dichiarazioni da lui rese, giacché questa indagine, se operata anteriormente al vaglio negativo delle attribuzioni dell'organo di autogoverno, si risolverebbe in una sostanziale elusione della ratio dell'insindacabilità, in sede giurisdizionale, del pensiero manifestato dal consigliere nello svolgimento delle sue funzioni Cass. numero 25955/2007 cit. . 3.3. Orbene la fattispecie all'esame è differente sia da quella esaminata da SS.UU. numero 3527 del 2002 in cui venivano in rilievo dichiarazioni espresse nel corso di una discussione consiliare, vertente sul trasferimento per incompatibilità ambientale di un magistrato , sia da quella esaminata da Cass. numero 25995 del 2007 relativa, come si è detto, ad affermazioni contenute in una missiva su carta intestata di alcuni consiglieri del C.S.M. al presidente di una delle commissioni , in quanto le contestate dichiarazioni vennero rese dall'allora consigliere S. nel corso di una discussione del plenum, non riguardante, però, la carriera dei magistrati tantomeno quella del D.S. , posto che - per quanto emerge dalla decisione impugnata e dalle stesse concordi affermazioni delle parti - all'ordine del giorno era un quesito, presentato dal D.S. sull'utilizzo da parte di magistrati della mailing list, denominata XXXXXXXX. Tanto precisato, il Collegio ritiene fondata la principale censura formulata con il motivo all'esame, rappresentata dall'indebita limitazione dell'ambito di applicazione della norma alle delibere riguardanti la carriera del magistrato ciò in quanto la Corte di appello - pur muovendo dal rilievo che alle contestate dichiarazioni potesse, in astratto, applicarsi la speciale esimente di cui all'articolo 32 bis cit. - ha, poi, in concreto escluso l'applicazione della norma proprio, erroneamente dando rilievo alla circostanza che il plenum non discutesse di provvedimenti riguardanti la vita professionale del magistrato cfr. pag. 10 della sentenza, già richiamata sub 1. . Così come ritiene erroneo o, comunque, non conducente ai fini di cui trattasi, l'argomento su cui si sofferma la decisione impugnata, per inferirne la conferma dell'inapplicabilità dell'esimente, secondo cui lo S. non ebbe, nell'occasione, a richiedere l'apertura di una pratica a carico del D.S. circostanza, questa, preannunciata solo nel successivo intervento nella mailing list, di cui è stata esclusa la valenza diffamatoria, con decisione in parte qua, immune da censure e che detta pratica non risultava neppure essere stata richiesta successivamente. Se è vero, infatti, che “la parte centrale e costituzionalmente necessaria dell'azione del Consiglio consiste in apprezzamenti sulle attitudini, sui meriti e sui demeriti dei magistrati da assegnare ai vari uffici, da trasferire, da promuovere, da sottoporre a procedimenti disciplinari e via dicendo” così Corte Cost. nella cit. sent. numero 148 del 1983 , è pur vero che la garanzia che la norma è destinata ad apprestare al Consiglio “nella misura necessaria a preservarlo da influenze” che potrebbero pregiudicare “l'esercizio imparziale della giustizia” cfr. Corte Cost. 14 maggio 1968, numero 44 - rendendo “non punibili” ergo, non sanzionabili agli effetti penali, civili e disciplinari i suoi componenti “per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni e concernenti l’oggetto della discussione” – è sicuramente destinata ad operare con riferimento all'adempimento di tutti i compiti riservati agli stessi componenti del Consiglio per Costituzione. Ciò in quanto è nella ratio della norma che debba ritenersi coperta ogni manifestazione di pensiero collegata all'esercizio delle funzioni consiliari, fermo restando il limite della pertinenza all'oggetto della discussione. 3.4. Non si vuole, in tal modo, veicolare l'idea, patrocinata da parte ricorrente, secondo cui “il quesito o esposto del D.S. era indubbiamente stravagante e, giustific herebbe di per sé una preliminare domanda sulla persona del richiedente . perché sarebbe di per sé singolare che a qualcuno venga in mente di denunziare a pubbliche autorità ciò che avviene in un luogo privato tra soggetti che - tutti maggiori di età e capaci di intendere e volere -liberamente si scambiano le loro impressioni su giustizia ed altro .” cfr. pag. 9 del ricorso . Il problema, qui, non è di accertare se il quesito/esposto, che il D.S. aveva formulato e che il plenum aveva posto all'ordine del giorno , fosse stravagante o singolare , quanto, piuttosto, di verificare se, in considerazione dei contenuti dello stesso quesito, venissero in rilievo profili di correttezza deontologica del comportamento dei magistrati che si collegavano alla mailing list, sicché le espressioni, riferite alla persona del D.S. che - dall'essersi egli stesso collegato a detta mailing list - aveva tratto occasione per l'interpello al Consiglio fossero in concreto attinenti all'oggetto della discussione e strumentalmente collegate al fine dell'esercizio del voto, non essendo, in tal caso, consentite autocensure idonee a minare il buon andamento della magistratura. 3.5. A quest'ultimo riguardo è il caso di puntualizzare che, agli effetti della strumentalità delle dichiarazioni del membro del Consiglio all'oggetto e al fine della discussione consiliare e dalla conseguente esclusione della responsabilità anche civile del consigliere, non basta una mera occasionalità, ma un più stretto legame, quale è richiesto dalla espressione opinioni concernenti l'oggetto della discussione cfr. SS.UU. numero 3527 del 2002 . Optare per una soluzione ermeneutica più ampia significherebbe, in primo luogo, urtare contro la lettera della norma, che fa preciso riferimento alla strumentalità delle espressioni all'esercizio delle funzioni e al collegamento delle stesse con l'oggetto della discussione ma soprattutto significherebbe tralasciare, completamente, quel delicato giudizio di comparazione/bilanciamento tra interessi contrapposti, che è alla base della tenuta costituzionale della norma. Si tratta, infatti, per quanto innanzi detto, di una guarentigia destinata ad operare a tutela dell'indipendenza del Consiglio e indirettamente, della magistratura “nella misura necessaria a preservarlo da influenze”, con la conseguenza che l'operatività dell'esimente deve restare circoscritta alle sole manifestazioni di pensiero, in concreto attinenti all'oggetto della discussione e strumentalmente collegate all'esercizio del voto. In altri termini - sulla falsariga di principi espressi dalla Corte Costituzionale con riguardo all'applicabilità dell'articolo 68 co. 1 Cost. alle dichiarazioni rese da un parlamentare extra moenia - ai fini dell'applicabilità dell'articolo 32 bis cit. non basta il mero contesto consiliare in cui sono state rese le manifestazioni di pensiero, occorrendo verificare - in specie in situazioni, come quella che ci occupa, in cui vengono in rilievo opinioni espresse in occasione di delibera non concernente la carriera del magistrato - che siffatte manifestazioni di pensiero costituiscano espressione delle funzioni assegnate ai componenti del Consiglio per Costituzione e che vi sia una corrispondenza contenutistica , id est un obiettivo collegamento tra quanto oggetto della discussione e le opinioni espresse, altrimenti convertendosi la speciale guarentigia in un possibile strumento di abusi. 3.6. In definitiva il motivo di ricorso va accolto nei termini sopra precisati, risultando assorbita ogni altra questione e, segnatamente, i motivi concernenti la regolazione delle spese e la responsabilità processuale. Di conseguenza la decisione impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame in ordine all'applicabilità o meno dell'esimente in conformità al seguente principio posto che la garanzia di non punibilità per i componenti del Consiglio Superiore della magistratura in relazione alle opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni e concernenti l'oggetto della discussione - garanzia prevista, a tutela della funzione istituzionale dell'organo di governo autonomo della magistratura, dall'articolo 32 bis, legge 24 marzo 1958, numero 195, aggiunto dall'articolo 5, legge 3 gennaio 1981, numero 1 - copre ogni manifestazione del pensiero in concreto attinente all'oggetto della discussione consiliare e strumentalmente collegata al fine dell'esercizio del voto, essa si riferisce anche alle opinioni dei consiglieri espresse nel corso di discussioni non aventi ad oggetto la carriera del magistrato, sempreché siffatte manifestazioni di pensiero costituiscano espressione delle funzioni ad essi assegnate per Costituzione, risultando strumentalmente necessarie all'esercizio di dette funzioni e obiettivamente collegate con l'oggetto della discussione. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi in motivazione cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.