Se la nota spese non è accettata dal cliente e se l’avvocato dimostra le ragioni per un maggiore compenso, essa non può ritenersi vincolante per il professionista.
Con la sentenza numero 1284, depositata il 18 gennaio 2013, la Corte di Cassazione ha confermato quanto statuito nei giudizi di merito. Una grande divisione ereditaria. Svolge la sua attività professionale, in qualità di avvocato, in una divisione ereditaria. Terminato il suo compito, intima all’erede, che si è avvalsa di questa sua prestazione, il pagamento di più di 300mln di lire, tramite decreto ingiuntivo. Questa propone però opposizione, respinta dal Tribunale. Decisione confermata in appello. Sostiene l’erede, anche in Cassazione, la vincolatività di una precedente nota spese, in cui veniva quantificata la somma di 95mln di lire. Non sarebbe quindi dovuta l’ulteriore somma. La prima nota spese non è vincolante. La S.C. rileva che la Corte d’Appello ha correttamente motivato. Non solo la nota spese non è mai stata accettata espressamente dalla cliente l’avvocato ha «validamente giustificato l’invio della seconda richiesta per essere stata la prima erroneamente calcolata al di sotto dei parametri tabellari, avendo applicato lo scaglione della tariffa professionale corrispondente al valore della quota della cliente invece che a quello dell’asse ereditario». L’errore è stato giustamente ritenuto sussistente, poiché l’avvocato si è occupato direttamente dell’effettiva individuazione della massa ereditaria. Peraltro la ricorrente non ha mai mosso alcuna censura circa la ritenuta mancata vincolatività della prima parcella. Già considerando anche solo questo elemento si sarebbe potuta dedurre le legittimità della decisione del giudice di merito, circa la possibilità di formulare la seconda richiesta di compenso da parte del professionista. Per questi motivi la Corte respinge il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 dicembre 2012 – 18 gennaio 2013, numero 1284 Presidente Felicetti – Relatore Bertuzzi Svolgimento del processo C.M.L. propose opposizione al decreto ingiuntivo che le intimava il pagamento della somma di lire 311.783.680 in favore dell'Avv. S.V. a titolo di compenso dell'attività professionale da lui svolta ai fini di una divisione ereditaria. L'opponente dedusse di non dovere quanto richiesto stante la vincolatività per il professionista di una precedente nota spese del 1997 con cui aveva quantificato la propria parcella nella minor somma di lire 95.154.500, richiesta che era comunque da considerarsi troppo elevata in relazione all'attività professionale effettivamente espletata. Il convenuto si costituì in giudizio deducendo che la precedente nota spese non poteva essere presa in considerazione in quanto frutto di errore. Esaurita l'istruttoria, il Tribunale di Cagliari respinse l'opposizione e la relativa decisione, impugnata dalla C., fu confermata con sentenza numero 313 del 23 settembre 2006 dalla Corte di appello di Cagliari, la quale motivò il rigetto dell'appello affermando, per quanto qui ancora interessa, che la nota spese del 1997 non poteva ritenersi vincolante per il professionista atteso che essa non era stata accettata dalla cliente e che, comunque, il professionista, allegando di avere errato nella prima richiesta ad applicare la tariffa professionale, aveva validamente esposto le ragioni per cui aveva inviato successivamente una richiesta di compenso maggiore. Per la cassazione di questa decisione, notificata il 13 ottobre 2006, propone ricorso C.M.L. con atto notificato in data 11 dicembre 2006, affidandosi ad un solo motivo. V.S. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione L'unico motivo di ricorso denunzia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio , lamentando che la Corte di appello non abbia esposto le ragioni che avrebbero legittimato il professionista alla presentazione, per la stessa attività professionale, di una seconda parcella per un importo di molto superiore alla prima, limitandosi sul punto a considerare valide le giustificazioni addotte, ma senza una motivazione chiara, specifica e dettagliata. Si aggiunge che la decisione è viziata anche perché ha omesso di trattare la questione relativa al parere espresso dal Consiglio dell’Ordine in merito alla seconda parcella dell'Avv. V Il mezzo è infondato. La Corte di appello ha disatteso l'argomento difensivo della appellante che rivendicava la vincolatività, per il professionista, della prima richiesta di parcella sulla base del rilievo che essa, che equivaleva ad una proposta, ex articolo 1344 cod. civ., non essendo mai stata accettata dalla cliente, poteva essere validamente revocata dal legale ha inoltre aggiunto che comunque quest'ultimo aveva validamente giustificato l'invio della seconda richiesta per essere stata la prima erroneamente calcolata al di sotto dei parametri tabellari, avendo applicato lo scaglione della tariffa professionale corrispondente al valore della quota della cliente invece che a quello dell'asse ereditario, errore che la Corte ha considerato effettivamente esistente, dal momento che il legale si era occupato direttamente della stessa individuazione della massa ereditaria. Tanto precisato, la motivazione della decisione impugnata appare esauriente e logicamente coerente tra le sue premesse e conclusioni, esponendo in modo adeguato e congruo le ragioni per cui il giudice ha ritenuto che la prima parcella non vincolasse il professionista. A tale valutazione deve poi aggiungersi che le ragioni addotte dalla sentenza non appaiono nemmeno interamente conteste dalla ricorrente, la quale non muove alcuna censura all’argomentazione della Corte di merito che ha ritenuto priva di valore vincolante la prima parcella in quanto mai accettata dalla cliente, ragione che pure di per sé sembra sufficiente a sorreggere l'affermazione del giudicante favorevole a riconoscere al professionista la possibilità di formulare la seconda richiesta di compenso. La doglianza circa l'omesso esame della questione relativa al parere espresso dal Consiglio dell'ordine degli Avvocati appare infine inammissibile per genericità, non illustrando il ricorso né gli esatti termini della questione così come posta sia in primo che in secondo grado, né la sua decisività ai fini della risoluzione della controversia. Il ricorso va pertanto respinto. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 6.300, di cui euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.