Il contratto con sé stesso è invalido se la procura non contiene l’indicazione di un prezzo minimo per la vendita

È annullabile il contratto concluso dal rappresentante con sé stesso se la procura, che pure l’autorizza a un simile contratto, non contiene una determinazione degli elementi negoziali sufficiente a tutelare il rappresentato, e, in particolare, l’indicazione di un prezzo minimo per la vendita dell’immobile avvenuta, secondo una perizia, a valori dimezzati rispetto a quelli di mercato.

Lo afferma la Cassazione con l’ordinanza n. 24674 del 4 novembre 2013. La vicenda . La fattispecie al centro della controversia in esame ha origine da una citazione del tutore di un interdetto legale, in seguito a sentenza penale passata in giudicato. Il tutore citava in giudizio un soggetto per chiedergli la restituzione i un immobile previo annullamento di un contratto di vendita stipulato dal convenuto con sé stesso, sulla base di una procura speciale rilasciata dall’interdetto legale. In particolare quest’ultimo, tramite la procura, aveva incaricato il soggetto convenuto a vendere l’unico immobile di sua proprietà al prezzo considerato conveniente, autorizzandolo, altresì, a vendere anche a sé stesso. Il tutore affermava che il prezzo convenuto per la vendita non raggiungeva neppure la metà del prezzo commerciale di mercato dell’epoca della vendita. Il giudice di prime cure, tuttavia, rigettava la domanda del tutore. La sentenza di primo grado era confermata dalla corte di appello, la quale, in particolare, riteneva che il requisito della specificità dell’autorizzazione a contrarre con sé stesso era realizzato dalla duplice previsione che la vendita doveva essere effettuata a prezzo conveniente e che alla procuratrice era conferita la facoltà di determinare il prezzo della vendita. Inoltre, il giudice del gravame osservava che l’elemento della convenienza del prezzo era stato correttamente valutato dal primo giudice con riferimento all’esistenza di formalità che dovevano essere cancellate a cura dell’acquirente, e alla situazione di fatto del tutore che abitava l’immobile con il figlio minore. Il tutore dell’interdetto legale ricorreva dunque davanti alla Suprema Corte. L’interdizione legale . Al fine di meglio comprendere la fattispecie, si rivela opportuno rammentare che l’interdizione legale, a differenza da quella giudiziale, prescinde dallo stato di infermità e si differenzia per finalità perseguita. Non è infatti finalizzata alla tutela di un soggetto debole, bensì si tratta di unapena accessoriaper chi sia stato condannato all’ergastolo o alla pena della reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni. Si tratta, in questo caso, di legale incapacità di agire che la legge ricollega direttamente alla condanna penale insorgendoautomaticamente, senza necessità di instaurare un giudizio e di uno stato di incapacità stabilito non a protezione dell'interdetto, come nel caso dell’infermo di mente, mapunitivo, per una più intensa punizione del condannato. L’interdizione legale limita l'incapacità del soggetto ai soli atti che riguardano la disponibilità e l'amministrazione dei beni come afferma l’art. 32, comma 4, c.p. e poiché in questo caso nel soggetto non difetta la capacità di intendere e di volere, esso può contrarre matrimonio, fare validamente testamento, riconoscere un figlio. Il quadro normativo . Per meglio inquadrare la vicenda, occorre, inoltre, dar conto della dimensione normativa del contratto con sé stesso. La fattispecie, infatti, richiama le disposizioni del codice civile in tema di contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi col rappresentato, ossia gli artt. 1394 e 1395 c.c. Ai sensi della prima norma citata, applicabile anche in caso di rappresentanza organica di una persona giuridica, il contratto concluso in conflitto d'interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo . Per ottenere l'annullamento, quindi, il rappresentato deve dimostrare la conclusione del contratto in conflitto con il suo interesse e che tale conflitto era noto o riconoscibile dal terzo. Il conflitto preso in considerazione dalla norma riportata ricorre allorquando il rappresentante sia portatore di interessi incompatibili con quelli del rappresentato, cosicché la salvaguardia dei detti interessi gli impedisce di tutelare adeguatamente l'interesse del dominus cfr., ex pluribus , Cass. n. 15981/2007 . Invero, il caso in esame presenta l'ipotesi specifica contemplata dall'art. 1395, comma 1, c.c., a tenore del quale è annullabile il contratto che il rappresentante conclude con sé stesso in proprio o come rappresentante di un'altra parte, a meno che il rappresentante lo abbia autorizzato specificamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d'interessi”. Inoltre, rileva anche il disposto dell’art. 1394 c.c. secondo cui il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo . Il ricorrente, tutore dell’interdetto legale, lamenta proprio la violazione del suddetto art. 1395, sostenendo che il giudice di seconde cure avesse ritenuto che la procura a vendere al prezzo considerato conveniente, con facoltà di contrarre con sé stesso e di determinare il prezzo di vendita, fosse sufficientemente univoca per evitare abusi del rappresentato ossia il conflitto di interessi , e pertanto idonea a realizzare il requisito della specificità dell’autorizzazione. In particolare, il tutore dell’interdetto legale afferma che l’attribuzione della facoltà di vendere al prezzo ritenuto conveniente non integra il requisito della specificità e, inoltre, aggiunge che l’atto era pregiudizievole in quanto l’immobile era stato venduto ad un prezzo molto inferiore a quello stimato da un perito. A quali condizioni si può superare la presunzione di conflitto di interessi? La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, precisa come le suddette norme costituiscono eccezioni al principio generale della irrilevanza del profilo obbligatorio relativo al rapporto interno rappresentante – rappresentato sull’efficacia della legittimazione attribuita al primo. Infatti, l’art. 1395 c.c. stabilisce una presunzione relativa di conflitto di interessi, superabile solo dalla prova dell’esistenza, in via alternativa di due condizioni una autorizzazione specifica ovvero la predeterminazione degli elementi negoziali In questo caso, per un verso, non emerge alcun legittimo affidamento incolpevole di un terzo da tutelare, e per altro verso il conflitto d'interessi è presunto, onde ai fini dell'annullamento al rappresentato basta dimostrare che il rappresentante ha concluso il contratto con sé stesso, mentre quest'ultimo deve necessariamente provare, per evitare l'annullamento del negozio, una delle due circostanze di esclusione del conflitto d'interessi espressamente descritte dall'ultima parte della norma, e cioè la specifica autorizzazione del rappresentato al rappresentante alla conclusione del contratto con sé stesso una determinazione del contenuto del contratto tale da escludere la possibilità del conflitto d'interessi si veda, ex multis , Cass. n. 11321/2009 . Perché si realizzino queste condizioni è necessario un ruolo attivo e partecipe del rappresentato nella fase prodromica alla conclusione dell’atto. La procura speciale non conteneva l’indicazione di un prezzo minimo per la vendita dell’immobile . La Cassazione rileva, dunque, che in tema di annullabilità del contratto concluso dal rappresentante con sé stesso l’autorizzazione data dal rappresentato al rappresentante a concludere il contratto con sé stesso in tanto può considerarsi idonea ad escludere la possibilità di un conflitto di interessi e quindi l’annullabilità del contratto, in quanto sia accompagnata dalla puntuale determinazione degli elementi negoziali sufficienti ad assicurare la tutela del rappresentato. Pertanto, la validità del contratto è legata alla indicazione, nella procura, dei requisiti minimi negoziali perché altrimenti l’interesse perseguito non sarebbe più quello del rappresentato, ma quello del rappresentante ciò che è escluso dalle finalità che la norma persegue. Nella fattispecie al centro della controversia esaminata dalla Suprema Corte, il contenuto della procura, in particolare la facoltà contrarre con sé stesso, di determinare il prezzo di vendita e di vendere al prezzo che il rappresentante avesse ritenuto conveniente è tale da non consentire l’individuazione di alcuna preventiva indicazione dei requisiti minimi che il contratto avrebbe dovuto contenere. Contratto annullabile. La Cassazione, quindi, accoglie il ricorso, in quanto la sentenza impugnata, con motivazione insufficiente, ha ritenuto che l’espressa autorizzazione a concludere il contratto con sé stesso fosse idonea a escludere il conflitto, senza motivare sulla base di quali parametri oggettivi o di quali concreti elementi di riferimento avrebbe potuto essere determinato il prezzo. Mentre il requisito della specificità dell’autorizzazione di cui all’art. 1395 c.c. deve essere riferito anche alla specificità dei criteri di determinazione dell’elemento essenziale del prezzo.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 27 settembre - 4 novembre 2013, n. 24674 Presidente Piccialli – Relatore Proto Fatto e diritto Ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. il relatore nominato per l'esame del ricorso ha depositato la seguente relazione. Osserva in fatto. Con citazione del 15/7/2004 B.A. , quale tutore di M.V. in stato di interdizione legale a seguito di sentenza penale passata in giudicato il 21/9/2001, conveniva in giudizio O.T. chiedendo la restituzione di un immobile previo annullamento di un contratto di vendita stipulato in data 28/3/2001 dalla convenuta con sé stessa in forza di procura speciale rilasciata dal M. in data 22/3/2001 con la procura il rappresentato aveva incaricato la O. di vendere l'unico immobile di sua proprietà al prezzo ritenuto conveniente e l'aveva autorizzata a vendere anche a sé stessa l'attrice sosteneva che il prezzo convenuto per la vendita L. 55.000.000 non raggiungeva neppure la metà di quello commerciale dell'epoca della vendita, pari a Euro 65.000,00, come da perizia che produceva. Con sentenza del 7/11/2006 il Tribunale di Milano rigettava la domanda attorea e la sentenza era confermata dalla Corte di appello di Milano che, con sentenza del 24/11/2010 osservava - che il requisito della specificità della autorizzazione a contrarre con sé stessa era realizzato dalla duplice previsione che la vendita doveva essere effettuata a prezzo conveniente e che alla procuratrice era conferita la facoltà di determinare il prezzo della vendita - che l'elemento della convenienza del prezzo era stato correttamente valutato da primo giudice con riferimento all'esistenza di formalità che dovevano essere cancellate a cura dell'acquirente, e alla situazione di fatto dell'attrice che abitava l'immobile con il figlio minore. B.A. , quale tutore di M.V. in stato di interdizione legale ha proposto ricorso per cassazione passato in notifica il 15/11/2011 e notificato il 24/11/2011. O.T. è rimasta intimata. Osserva in diritto. 1. Con l'unico motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione dell'art. 1395 c.c. e il vizio di motivazione lamentando che immotivatamente la Corte di appello di Milano ha ritenuto che la procura a vendere al prezzo ritenuto conveniente, con facoltà di contrarre con sé stessa e di determinare il prezzo di vendita, sia sufficientemente univoca per evitare abusi del rappresentato e quindi il conflitto di interessi e idonea a realizzare il requisito della specificità dell'autorizzazione e richiama giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l'attribuzione della facoltà di vendere al prezzo ritenuto conveniente non integra il requisito della specificità la ricorrente aggiunge che l'atto era altresì pregiudizievole in quanto l'immobile era stato venduto ad un prezzo L. 50.000.000 molto inferiore a quello stimato Euro 65.000 da un perito e che l'onere economico rappresentato dalle formalità da cancellare era costituito solo da adempimenti formali in quanto i debiti per i quali vi erano iscrizioni e trascrizioni erano stati estinti. 1.1 Il motivo è manifestamente fondato. Gli artt. 1394 e 1395 c.c., rispettivamente prevedono a che il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato può essere annullato se il conflitto era conoscibile dal terzo b che è annullabile il contratto concluso dal rappresentante con sé stesso, in proprio o quale rappresentante di un'altra parte, salvo che non vi sia stata specifica autorizzazione, ovvero che il contenuto del contratto sia stato predeterminato, in modo da escludere il conflitto. Le due disposizioni costituiscono eccezioni al principio generale della irrilevanza del profilo obbligatorio attinente al rapporto interno rappresentante - rappresentato sull'efficacia della legittimazione attribuita al primo. In particolare l'art. 1395 c.c., prevede una presunzione iuris tantum di conflitto di interessi, che può essere superata esclusivamente - con una indicazione che assume dunque i connotati della tassatività -dalla dimostrazione dell'esistenza, in via alternativa, di due condizioni una autorizzazione specifica, ovvero la predeterminazione degli elementi negoziali Cass. 21/11/2008 n. 27783 perché si realizzino queste condizioni è necessario un ruolo attivo e partecipe del rappresentato nella fase prodromica alla conclusione dell'atto cfr. Cass. 24/3/2004 n. 5906 Cass. 15/5/2009 n. 11321 e Cass. 15/3/2012 n. 4143 . Sulla base di tali principi questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di annullabilità del contratto concluso dal rappresentante con se stesso l'autorizzazione data dal rappresentato al rappresentante a concludere il contratto con se stesso in tanto può considerarsi idonea ad escludere la possibilità di un conflitto di interessi e quindi l'annullabilità del contratto, in quanto sia accompagnata dalla puntuale determinazione degli elementi negoziali sufficienti ad assicurare la tutela del rappresentato ne consegue che tale autorizzazione non è idonea quando risulti generica, non contenendo, tra l'altro come nella specie , alcuna indicazione in ordine al prezzo della compravendita, che impedisca eventuali abusi da parte del rappresentante Cass. 6398/11 5906/04 14982/02 - che per la configurabilità del conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato che, se conosciuto o conoscibile dal terzo, rende annullabile il contratto concluso dal rappresentante, ai sensi dell'art. 1394 cod. civ. non ha rilevanza, di per sé, che l'atto compiuto sia vantaggioso o svantaggioso per il rappresentato e che non è necessario provare di aver subito un concreto pregiudizio, perché il rappresentato possa domandare o eccepire l'annullabilità del negozio Cass. 15981/07 - quanto alle due ipotesi in presenza delle quali è esclusa l'annullabilità del contratto, che l’annullabilità del contratto posto in essere dal rappresentante con se stesso, è esclusa nelle due ipotesi, previste, in via alternativa, dall'art. 1395 c.c., dell'autoritario ne specifica e della predeterminazione del contenuto del contratto cfr. Cass. 22/4/1997 n. 3471, 15 maggio 2009, n. 11321 . Ricorre la prima ipotesi quando il rappresentato autorizzi specificamente il rappresentante a concludere il contratto con sé medesimo, determinando gli elementi negoziali sufficienti ad assicurare la tutela dei suoi interessi o la predeterminazione degli elementi negoziali Cass. 7.5.1992, 5438 così Cass. 21/3/2011 n. 6398 . La conseguenza è che la validità del contratto è legata alla indicazione, nella procura, dei requisiti minimi negoziali perché altrimenti l'interesse perseguito non sarebbe più quello del rappresentato, ma quello del rappresentante ciò che è escluso dalle finalità che la norma persegue. Nella specie, il contenuto della procura, in particolare la facoltà contrarre con sé stesso, di determinare il prezzo di vendita e di vendere al prezzo che riterrà conveniente è tale da non consentire l'individuazione di alcuna preventiva indicazione dei requisiti minimi che il contratto avrebbe dovuto contenere cfr. quali precedenti conformi con riferimento a identica formula Cass. 24/3/2004 n. 5906 Cass. 15/5/2009 n. 11321 . La sentenza impugnata ha applicato con motivazione insufficiente l'art. 1395 c.c. ritenendo che l'espressa autorizzazione a concludere il contratto con se stesso fosse idonea a escludere il conflitto e non motivando sulla base di quali parametri oggettivi o di quali concreti elementi di riferimento avrebbe potuto essere determinato il prezzo, posto che il requisito della specificità dell'autorizzazione di cui all'art. 1395 c.c. deve essere riferito anche alla specificità dei criteri di determinazione dell'elemento essenziale del prezzo. 3. In conclusione, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., per essere dichiarato manifestamente fondato . Considerato che il ricorso è stato fissato per l'esame in camera di consiglio, che sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite e la comunicazione al P.G. Rilevato che l'intimata non si è costituita Considerato che il collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore e che pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano che provvederà anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione che dovrà valutare, con specifica e adeguata motivazione, l'esistenza di una specifica autorizzazione al rappresentante a concludere il contratto anche con sé stesso, accompagnata dall'individuazione dei criteri idonei a determinare il prezzo di vendita, tenendo conto che la generica facoltà contrarre con sé stesso e di determinare il prezzo di vendita e di vendere al prezzo ritenuto conveniente non costituiscono idonei ad individuare la necessaria preventiva indicazione dei requisiti minimi che il contratto avrebbe dovuto contenere anche con riferimento all'elemento essenziale costituito dal prezzo di vendita e, quindi, ad escludere il conflitto di interessi. P.Q.M. La Corte di cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.