In materia di reati tributari, il carattere residuale del reato di dichiarazione infedele, di cui all’articolo 4 d.lgs. numero 74/2000, ne esclude il concorso con il delitto di frode fiscale, previsto dall’articolo 2 del citato d.lgs., quando la condotta materiale abbia ad oggetto la medesima dichiarazione, esclusa l’ipotesi di una iniziale contestazione dell’articolo 4 d. lgs. numero 74/2000, relativamente alla sola condotta di omissioni di elementi attivi, e, successivamente, con una incriminazione relativa all’articolo 2 del decreto per l’indicazione di elementi passivi per operazioni relative a fatture oggettivamente inesistenti. Ciò in quanto l’articolo 4 mira ad evitare la doppia incriminazione per la stessa condotta – anche se diversamente strutturata, una con frode e l’altra senza frode – ma non può essere invocato per l’incriminazione di condotte diverse, una per le omissioni di elementi attivi del reddito e l’altra per elementi passivi inesistenti – da fatture per operazioni inesistenti.
Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza numero 41260/18 depositata il 25 settembre. Il caso. Il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava il decreto con cui il Giudice per le Indagini Preliminari aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, nei confronti di S.M., indagato per il reato di cui all’articolo 2 d.lgs. numero 74/2000 perché, quale titolare di una ditta, avvalendosi di fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti emessa da altro soggetto, indicava nelle dichiarazioni dei redditi degli anni 2010-2012 elementi passivi fittizi, realizzando annualmente una evasione IVA. Avverso l’ordinanza de qua ricorreva per Cassazione l’indagato, deducendo plurimi motivi di gravame violazione di legge ex articolo 649 c.p.p. e 321, comma 2, c.p.p. motivazione apparente in ordine al fumus commissi delicti violazione di legge ex articolo 4 d.lgs. numero 74/2000, relativamente alla clausola di sussidiarietà. Il ricorso per Cassazione in materia cautelare reale. In via del tutto preliminare, la Suprema Corte ha riaffermato il noto principio secondo il quale il ricorso per Cassazione ai sensi dell’articolo 325, comma 1, c.p.p. è ammesso solo per violazione di legge, e non quindi per i vizi della motivazione. In effetti, chiariscono i Supremi Giudici, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per Cassazione a norma dell’articolo 325, comma 1, c.p.p., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e dell’articolo 606 stesso codice. Il principio di sussidiarietà. In materia di reati tributari, afferma la Corte di legittimità, il carattere residuale del reato di dichiarazione infedele, di cui all’articolo 4 d.lgs. numero 74/2000, ne esclude il concorso con il delitto di frode fiscale, previsto dall’articolo 2 del medesimo decreto, quando la condotta materiale abbia ad oggetto la medesima dichiarazione. Tuttavia, in un caso – come quello de quo – in cui, in un procedimento nel quale l’indagato era stato assolto era stata contestata la indicazione di elementi attivi e nell’odierno procedimento penale in cui è stata contestata l’indicazione di costi fittizi avvalendosi di mezzi fraudolenti, i due reati possono concorrere, trattandosi di condotte materiali diverse. Infatti, la clausola di sussidiarietà riguarda espressamente le condotte rientranti nell’articolo 4 “fuori dai casi previsti dagli articolo 2 e 3”. Invero, solo se l’accusa avesse contestato all’interno della prima imputazione – con assoluzione dell’imputato con sentenza, per come visto – anche l’indicazione di elementi passivi inesistenti – a prescindere dal comportamento fraudolento – sarebbe stata valida la preclusione dell’articolo 4 d.lgs. numero 74/2000. La ratio giuridica della sussidiarietà. Il presupposto della sussidiarietà, chiarisce la Suprema Corte, è infatti proprio quello di evitare una doppia imputazione di condotte strutturalmente diverse – costi fittizi da fatture inesistenti da un lato e omessa indicazione di elementi attivi di reddito dall’altro – ovvero evitare una doppia responsabilità per lo stesso fatto di reato inteso quale coincidenza di condotta, nesso di causalità ed evento, con condotta di frode che qualifica l’ipotesi di cui agli articolo 2 e 3 d.lgs. numero 74/2000, mentre per l’ipotesi di cui all’articolo 4 del medesimo decreto si prescinde dalla condotta di frode. In altri termini, l’articolo 4 prevede una norma specifica di ne bis in idem, per evitare la doppia incriminazione per condotte sostanzialmente identiche.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 gennaio – 25 settembre 2018, numero 41260 Presidente Cavallo – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Catanzaro, sezione riesame, con ordinanza del 14 settembre 2017 confermava il decreto di sequestro del Giudice delle indagini preliminari di Catanzaro, del 20 luglio 2017, che aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di S.M. quale autore del reato per il reato di cui all’articolo 2, d.lgs. 74/2000, perché in qualità di titolare della ditta Thema impianti di S.M. , avvalendosi delle fatture per prestazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti emesse da F.V. indicava nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2010, 2011 e 2012 elementi passivi fittizi, realizzando nell’anno 2010 un’evasione IVA pari ad Euro 41.557,00, nell’anno 2011 un’evasione IVA pari ad Euro 32.265,00 e nell’anno 2012 un’evasione IVA di e 57.967,14. 2. Ricorre per Cassazione S.M. , tramite il suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173, comma 1, disp. att., c.p.p 2.1. Violazione di legge, articolo 649, cod. proc. penumero e 321, comma 2, cod. proc. penumero . Per il medesimo fatto reato era già intervenuta, nei confronti del ricorrente, altra sentenza di proscioglimento passata in giudicato sentenza 632/2016, del 16 marzo 2016 . Al ricorrente erano stati contestati i reati di cui all’articolo 4, d.lgs. 74/2000, sempre per le dichiarazioni degli anni 2010, 2011 e 2012. I procedimenti erano scaturiti dallo stesso accertamento della Guardia di Finanza PVC e dell’ufficio finanziario. Dalla documentazione prodotta si evinceva inconfutabilmente ed ictu oculi l’identità del fatto reato. Infatti l’omissione di elementi attivi contestata nei capi d’imputazione, nel processo definito con l’assoluzione, scaturiva proprio dalla fatture inesistenti, emesse dalla Edil laterizi di F.V. , a favore della ditta Thema impianti, di S.M. . Dalla lettura dell’avviso di accertamento si comprende benissimo che l’importo di Euro 161.327,00, indicato nel capo d’imputazione, come omessi elementi attivi , è quello complessivo delle fatture riconducibili ad operazioni oggettivamente inesistenti. Infatti gli elementi attivi indicati come omessi, sono pari ai costi fittizi di cui alle fatture inesistenti e ritenuti come indeducibili. È evidente, quindi l’identità delle condotte nei due procedimenti penali, ai fini della valutazione della sussistenza del ne bis in idem. 2.2. Motivazione apparente in ordine al fumus. Dalla lettura della motivazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, è palese l’omesso esame di elementi decisivi, ai fini della valutazione del fatto reato, ed in particolar modo, della sua identità con il fatto relativo al precedente procedimento penale concluso con sentenza di assoluzione, sopra evidenziato. Il Tribunale ha omesso di esaminare del tutto la documentazione prodotta dalla difesa, sul ne bis in idem. L’esame della documentazione prodotta avrebbe agevolmente consentito di giungere a diverse conclusioni. 2. 3. Violazione di legge, articolo 4, d.lgs. 74/2000, relativamente alla clausola di sussidiarietà violazione di legge, articolo 321, comma 2, cod. proc. penumero , insussistenza del fumus per improcedibilità della futura azine penale. Il Tribunale ha ritenuto non configurabile la violazione, della disposizione normativa dell’articolo 4, d.lgs. 74/2000, sull’assunto che le condotte materiali dei due procedimenti penali sono diverse. Invero in entrambi i procedimenti la condotta è ricollegata all’utilizzo delle fatture false, e all’indicazione, in dichiarazione, di costi fittizi. Le somme coincidono. Tuttavia è doveroso precisare che la violazione del principio di sussidiarietà sussiste, comunque, a prescindere dall’identità delle condotte materiali. Il Pubblico Ministero avrebbe dovuto anzitempo valutare la ricorrenza nella condotta del reato più grave articolo 2, d.lgs. 74/2000 . Avendo il Pubblico Ministero esercitata l’azione penale, in riferimento al meno grave reato di cui all’articolo 4, è ora preclusa la configurabilità del reato di cui all’articolo 2, d.lgs. 74/2000, per il principio di sussidiarietà contenuto nell’articolo 4, come espressamente ritenuto da Cassazione numero 28226/2016, Rv 267409. Ha chiesto pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 3. Il ricorso in Cassazione ai sensi del’articolo 325, comma 1, del cod. proc. penumero è ammesso solo per violazione di legge, e non quindi per i vizi della motivazione. In tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per Cassazione a norma dell’articolo 325, comma 1, cod. proc. penumero , rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e dell’articolo 606 stesso codice. Fattispecie relativa ad annullamento dell’ordinanza di riesame confermativa del sequestro probatorio di cose qualificate come corpo di reato e del tutto priva di motivazione in ordine al presupposto della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti . Sez. U, numero 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710 . Nel nostro caso il ricorso è per i vizi della motivazione, e come tale inammissibile ad eccezione dell’eccepita violazione dell’articolo 4, d.lgs. 74/2000 principio di sussidiarietà che risulta infondata. Infatti, nel nostro caso, non può dirsi la motivazione dell’ordinanza impugnata mancante, o solo apparente, poiché la stessa ha i requisiti per rendere comprensibile la vicenda e per individuare l’iter logico della decisione. 3.1. Relativamente al primo motivo di ricorso ne bis in idem si deve rilevare che il ricorso non si confronta con le motivazioni del Tribunale del riesame, non contiene motivi di legittimità ovvero il Tribunale del riesame, con motivazione adeguata, rileva la sussistenza di plurimi elementi in fatto tali da far ritenere le due contestazioni diverse. Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale del riesame è desumibile dalla lettura dei capi d’imputazione che S.M. , quale titolare della ditta individuale Thema impianti, negli anni di imposta 2010, 2011e 2012 avrebbe da un lato dichiarato elementi attivi inferiori a quelli effettivi, incorrendo nel reato di dichiarazione infedele con evasioni di Irpef, e nel 2012 di Irpef e di Iva, e negli stessi anni di imposta avrebbe dichiarato, utilizzando fatture per operazioni inesistenti, elementi passivi fittizi con evasione dell’Iva, incorrendo nel reato di dichiarazione fraudolenta. Sebbene l’evasione sia scaturita da una dichiarazione riguardante gli stessi anni di imposta, l’omissione di elementi attivi tesa, come noto, ad abbassare la base imponibile e l’indicazione di elementi passivi fittizi volta invece a gonfiare i costi sostenuti, rappresentano condotte oggettivamente diverse ai fini della valutazione della sussistenza del ne bis in idem, anche quando ciò fosse dipeso in entrambi i casi, come sostiene la difesa, ma non anche il capo d’imputazione, dalla emissione di fatture per operazioni inesistenti. Tanto risulta dimostrato anche dalla diversità delle imposte evase . Il ricorso, invece, ribadisce acriticamente la tesi del ricorso in sede di riesame ma non si confronta con le motivazioni dell’ordinanza impugnata. Infatti una cosa sono le indicazioni di costi non sostenuti derivanti, questi si, da fatture inesistenti e cosa ben diversa sono le omissioni di poste attive incassi, che non possono derivare dalle stesse fatture per operazioni inesistenti, per diversità logica di elementi tributari, in contrasto tra loro le poste attive sono entrate, invece le fatture per operazioni inesistenti incidono sulle spese, le uscite . L’identità delle somme infatti è solo affermata, ma nessuna dimostrazione concreta è stata fornita, sia nel procedimento di riesame e sia in sede di legittimità infatti non è possibile paragonare le imposte IVA evase, per le fatture inesistenti, con le imposte evase, per le poste attive non dichiarate sono due cose diverse strutturalmente. 4. Conseguentemente la motivazione del Tribunale e del G.I.P. relativamente al fumus del commesso reato risulta più che adeguata, esaustiva e immune da vizi di manifesta illogicità o da contraddizioni. Del resto non è contestata l’utilizzazione, in fatto, delle fatture per operazioni inesistenti. 5. Sul principio di sussidiarietà il ricorso richiama la decisione di questa Corte, condivisibile In materia di reati tributari, il carattere residuale del reato di dichiarazione infedele, di cui all’articolo 4 del d.lgs numero 74 del 2000, ne esclude il concorso con il delitto di frode fiscale, previsto dall’articolo 2 del citato D.Lgs., quando la condotta materiale abbia ad oggetto la medesima dichiarazione Sez. 3, numero 28226 del 09/02/2016 - dep. 07/07/2016, Disparra, Rv. 26740901 . Tuttavia, come esattamente rilevato nell’ordinanza impugnata Nel caso di specie, in cui, in un procedimento penale nel quale lo S. era andato assolto era stata contestata la indicazione di elementi attivi e nell’odierno procedimento penale in cui è stata contestata l’indicazione di costi fittizi avvalendosi di mezzi fraudolenti, i due reati ben possono concorrere trattandosi di condotte materiali diverse . Infatti la clausola di sussidiarietà riguarda espressamente le condotte rientranti nell’articolo 4, fuori dai casi previsti dagli articoli 2 e 3 , d.lgs. 74/2000. Invero solo se l’accusa avesse contestato all’interno della prima imputazione con l’assoluzione dell’imputato con sentenza, come sopra visto anche l’indicazione di elementi passivi inesistenti a prescindere dal comportamento fraudolento sarebbe valida la preclusione dell’articolo 4, d.lgs. 74/2000. Il presupposto della sussidiarietà infatti è proprio quello di evitare una doppia imputazione per la stessa condotta, e non già quello di divieto di incriminazione di condotte strutturalmente diverse costi fittizi da fatture inesistenti verso omessa indicazione di elementi attivi di reddito, entrate . In pratica la norma mira ad evitare una doppia responsabilità per lo stesso fatto reato, inteso quale coincidenza di condotta, nesso di causalità ed evento, con condotta di frode che qualifica le ipotesi di cui agli articolo 2 e 3, d.lgs. 74/2000, mentre per l’ipotesi dell’articolo 4, si prescinde dalla condotta di frode. In sostanza l’articolo 4, d.lgs. 74/2000 prevede una norma specifica di ne bis in idem, per evitare la doppia incriminazione per condotte sostanzialmente identiche. Può quindi esprimersi il seguente principio di diritto In materia di reati tributari, il carattere residuale del reato di dichiarazione infedele, di cui all’articolo 4 del d.lgs numero 74 del 2000, ne esclude il concorso con il delitto di frode fiscale, previsto dall’articolo 2 del citato d.lgs., quando la condotta materiale abbia ad oggetto la medesima dichiarazione, esclusa l’ipotesi di una iniziale contestazione dell’articolo 4, d.lgs. 74/2000, relativamente alla sola condotta di omissione di elementi attivi, e, successivamente, con una incriminazione relativa all’articolo 2, d.lgs. 74/2000 per l’indicazione di elementi passivi per operazioni relative a fatture oggettivamente inesistenti in quanto l’articolo 4, d.lgs. 74/2000 mira ad evitare la doppia incriminazione per la stessa condotta anche se diversamente strutturata, una con frode e l’altra senza frode ma non può essere invocato per l’incriminazione di condotte diverse, una per le omissioni di elementi attivi del reddito e l’altra per elementi passivi inesistenti da fatture per operazioni inesistenti . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.