La previsione che un’attività probatoria possa essere esperita in appello non è di per sé irragionevole, poiché il regime delle preclusioni in tema di attività probatoria come la produzione di un documento mira a scongiurare che i tempi della sua effettuazione siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre la previsione della producibilità in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile.
Lo ha confermato la Corte costituzionale, con la sentenza numero 199, depositata il 14 luglio 2017. Le censure del giudice a quo. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, d.lgs numero 546/1992 Disposizioni sul processo tributario , sia in sé che in relazione al primo comma della medesima disposizione, il quale prevede che, nel giudizio di appello, è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti. Ad avviso del rimettente, la facoltà di produrre per la prima volta in appello documenti già nella disponibilità della parte nel grado anteriore genererebbe una disparità di trattamento tra le parti del giudizio, in violazione dell’articolo 3 Cost Secondo il Giudice a quo, inoltre, la norma censurata impedirebbe artatamente alla controparte la proposizione di motivi aggiunti in primo grado e, quindi, condurrebbe alla perdita, da parte di quest’ultima, di un grado di giudizio, con chiara compromissione del diritto consacrato nell’articolo 24 Cost La parte può produrre nuovi documenti in appello nessuna disparità di trattamento . La pronuncia in commento esclude la fondatezza della censura relativa ad una presunta disparità di trattamento tra le parti del giudizio, sostenuta sulla base del presunto sbilanciamento a favore di quella facultata a produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore il semplice fatto che tale facoltà sia riconosciuta ad entrambe le parti del giudizio esclude, infatti, la sussistenza del lamentato “sbilanciamento”. Sul punto, la Consulta ha più volte chiarito che non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità tra i diversi tipi di processo cfr., ex plurimis , Corte Cost., numero 165/2000, numero 18/2000 e numero 82/1996 , e, più specificatamente, un principio di uniformità del processo tributario e di quello civile cfr., tra le altre, Corte Cost., numero 316/2008, numero 303/2002, numero 330/2000 e numero 329/2000 . Quanto alla disciplina dei singoli istituti processuali, è riconosciuta un’ampia discrezionalità del legislatore nella loro conformazione cfr., ad esempio, Corte Cost., numero 94/2017, numero 121/2016 e numero 44/2016 , fermo restando, naturalmente, il limite della manifesta irragionevolezza di una disciplina che comporti un’ingiustificabile compressione del diritto di agire così Corte Cost., numero 121/2016, numero 44/2016 e numero 335/2004 . e nessuna lesione del diritto di difesa. La Consulta esclude, altresì, che la disposizione impugnata leda il diritto di difesa sancito dall’articolo 24 Cost In proposito, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente ritenuto che la citata norma costituzionale non imponga l’assoluta uniformità dei modi e dei mezzi della tutela giurisdizionale ciò che conta è che non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale cfr., ex plurimis , Corte Cost., numero 121/2016, numero 44/2016 e numero 386/2004 . Ebbene, nella fattispecie, il giudice delle leggi non ravvisa alcuna compressione dell’esercizio del diritto di difesa nel senso indicato. La previsione che un’attività probatoria, rimasta preclusa nel giudizio di primo grado, possa essere esperita in appello non è di per sé irragionevole, poiché il regime delle preclusioni in tema di attività probatoria come la produzione di un documento mira a scongiurare che i tempi della sua effettuazione siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre la previsione della producibilità in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile così Corte Cost., numero 401/2000 . Parimenti infondata è, poi, la dedotta violazione dell’articolo 24 Cost. per la perdita di un grado di giudizio è, infatti, giurisprudenza pacifica della Consulta che la garanzia del doppio grado non gode, di per sé, di copertura costituzionale cfr., ex multis , Corte Cost., numero 243/2014, numero 42/2014 e numero 190/2013.
Corte Costituzionale, sentenza 5 – 14 luglio 2017, numero 199 Presidente Grossi – Redattore Coraggio Sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, anche «in relazione al comma 1», del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 546 Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, numero 413 , promosso dalla Commissione tributaria regionale della Campania, nel procedimento vertente tra l’Agente di riscossione Equitalia Sud spa e A. E., con ordinanza del 6 maggio 2016, iscritta al numero 245 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 49, prima serie speciale, dell’anno 2016. Ritenuto in fatto 1.− La Commissione tributaria regionale della Campania, con ordinanza iscritta al numero 245 del registro ordinanze 2016, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 546 Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, numero 413 , «sia in sé che in relazione al comma 1 di essa norma, per divisato contrasto» con gli articolo 3, 24 e 117, primo comma, della Costituzione, «nonché con criteri di razionalità e con i principi generali dell’ordinamento». 1.1.− Il giudice rimettente espone che la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva accolto un ricorso proposto avverso il preavviso di fermo amministrativo relativo ad un’autovettura inviatogli da Equitalia Sud spa per conto dell’Agenzia delle entrate di Napoli e del Comune di Napoli, relativamente a dieci cartelle di pagamento per tributi TARSU, IVA, IRPEF, IRAP ed altro dal 2005 al 2011, il tutto per un importo complessivo di euro 61.022,72. La parte ricorrente aveva dedotto l’omessa notifica delle cartelle richiamate nel preavviso e la decadenza dal diritto a quelle esazioni tributarie, nonché la necessità di usare la detta auto per accompagnare il figlio minore portatore di grave handicap. L’Agenzia delle entrate di Napoli ed il Comune di Napoli si erano costituiti deducendo la loro estraneità alla lite, in quanto la notifica delle cartelle riguardava esclusivamente Equitalia Sud spa, e quest’ultima, costituitasi anch’essa, aveva contestato ogni avversa deduzione. La Commissione tributaria provinciale di Napoli, previamente ritenuto impugnabile il preavviso di fermo, lo aveva annullato rilevando la mancata prova documentale della notifica delle cartelle ad esso prodromiche, pur rigettando la domanda di annullamento di queste ultime e quella di declaratoria di decadenza. Avverso tale sentenza – prosegue l’ordinanza di rimessione – aveva proposto appello Equitalia Sud spa, producendo documentazione relativa alla notifica delle suddette cartelle e comunque sostenendo l’erroneità della decisione impugnata per inammissibilità e infondatezza della domanda di annullamento del preavviso di fermo, nonché per difetto di prova circa la dedotta necessità del contribuente di accompagnare con l’autovettura in oggetto il figlio minore portatore di handicap. 1.2.− A parere del giudice rimettente − stante la rilevanza della questione, in quanto strettamente funzionale alla decisione sulla legittimità della produzione in appello della prova documentale della notifica delle cartelle prodromiche al preavviso di fermo in oggetto, pur se tale prova era nella disponibilità della parte producente già in primo grado − l’articolo 58, comma 2, del d.lgs. numero 546 del 1992 sarebbe costituzionalmente illegittimo «sia in sé che in relazione al comma 1 della stessa norma», in quanto «sembra far salva indiscriminatamente la possibilità di produzione in secondo grado di nuovi documenti». Il giudice a quo rammenta che della norma impugnata si è costantemente registrata una rigida interpretazione letterale, che avalla la legittimità della produzione di nuovi documenti in appello pur quando essi, come nella specie, già all’epoca del giudizio di primo grado siano in possesso della parte, la quale per mera inerzia non li ha prodotti. La norma impugnata, a parere della Commissione tributaria regionale, finirebbe col vanificare il rispetto del diritto di difesa. Una produzione documentale nuova in appello possibile in primo grado e non avvenuta per mera inerzia della parte interessata potrebbe artatamente impedire alla controparte processuale la proposizione di motivi aggiunti in primo grado e quindi condurre alla perdita di un grado di giudizio, con chiara compromissione del diritto consacrato nell’articolo 24 Cost. La Commissione tributaria regionale della Campania – evidenziato come, nel giudizio a quo, la prova della notifica al contribuente delle cartelle prodromiche al preavviso di fermo in oggetto ben potrebbe essere acquisita nel secondo grado, pur non avendo Equitalia Sud spa provato la sussistenza di caso fortuito o forza maggiore impeditivi di tale produzione in primo grado – rileva come ciò comporterebbe il superamento della perenzione cristallizzatasi davanti alla Commissione tributaria provinciale per mancata produzione di tali documenti nel termine previsto dall’articolo 32 del d.lgs. numero 546 del 1992, la quale resterebbe, quindi, sempre sanabile davanti alla Commissione tributaria regionale al massimo, subordinatamente al rispetto del termine dei venti giorni anteriori alla prima udienza in appello , peraltro operando, tale sanatoria, in modo del tutto incondizionato, senza cioè alcun limite legato ad un previo giudizio di eventuale indispensabilità dell’acquisizione. Da tali argomentazioni il giudice a quo desume anche la violazione dell’articolo 3 Cost., derivante dalla disparità di trattamento delle parti a favore di quella facultata a produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore ed in danno della controparte. Alla luce delle medesime motivazioni sarebbe infine ravvisabile, «altresì, quasi a mo’ di corollario, la non manifesta infondatezza della stessa questione di costituzionalità rispetto all’articolo 117, co. 1, Cost. e, per esso, rispetto ai vincoli derivanti, a tacer d’altro, dall’articolo 6 CEDU, che sancisce il diritto ad un processo equo». 2.− È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata. 2.1.− Innanzitutto, si profilerebbe un difetto di rilevanza, in quanto l’eventuale declaratoria di incostituzionalità della norma censurata non potrebbe incidere sull’esito del giudizio a quo. E ciò alla luce del principio affermato dalla Corte di cassazione a sezioni unite, con sentenza 7 novembre 2011, numero 15144 secondo il quale il mutamento della propria precedente interpretazione di una norma processuale da parte del giudice della nomofilachia, il quale porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, non può comportare una decadenza non esistente nella previgente giurisprudenza. A parere dell’Avvocatura, tale principio, ispirato dall’esigenza di tutelare l’affidamento delle parti rispetto alle regole processuali, elaborato dalla giurisprudenza per impedire l’applicazione in peius di una nuova giurisprudenza nel senso di escluderne la retroattività, andrebbe, a fortiori, applicato per tutelare l’affidamento in una chiara disposizione di legge, quale, appunto, l’articolo 58, comma 2, del d.lgs. numero 546 del 1992 e nella facoltà, in essa sancita, di produzione di documenti per la prima volta in appello. Ulteriore profilo di inammissibilità deriverebbe dall’assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate in un ambito – quello delle norme processuali – connotato da ampia discrezionalità del legislatore. Infatti, la questione impingerebbe nell’individuazione del momento del giudizio oltre il quale alle parti è impedito il deposito di documenti, frutto di una valutazione necessariamente rimessa alla discrezionalità del legislatore. 2.2.− Quanto al merito, L’Avvocatura deduce la manifesta infondatezza della questione. Non sarebbe, infatti, ravvisabile alcuna disparità di trattamento tra le parti processuali, posto che la facoltà di produrre documenti prevista dalla norma censurata è attribuita ad entrambe. Inoltre non potrebbe ritenersi irragionevole la scelta del legislatore di consentire che un’attività probatoria rimasta preclusa nel giudizio di primo grado sia esperita in appello. Tanto avrebbe già affermato questa Corte, dichiarando manifestamente infondata la censura di violazione dell’articolo 3 Cost. per l’asserita intrinseca irragionevolezza della disciplina per cui, nel rito ordinario, scaduti i termini concessi ai sensi dell’articolo 184 del codice di procedura civile, nuove produzioni documentali non sono più possibili in primo grado – se non ove ricorrano gli estremi della rimessione in termini ex articolo 184-bis cod. proc. civ. – mentre sarebbero ammissibili in appello è richiamata l’ordinanza numero 401 del 2000 . Considerato in diritto 1.− La Commissione tributaria regionale della Campania dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 546 Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, numero 413 , «sia in sé che in relazione al comma 1 di essa norma», il quale prevede che nel giudizio di appello «[è] fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti». 1.1.− La disposizione violerebbe gli articolo 3, 24 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU , firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, numero 848, nonché «criteri di razionalità e [] i principi generali dell’ordinamento». Secondo il rimettente, la facoltà di produrre per la prima volta in appello documenti già nella disponibilità della parte nel grado anteriore genererebbe una disparità di trattamento tra le parti del giudizio. Essa, inoltre, impedirebbe artatamente alla controparte la proposizione di motivi aggiunti in primo grado e quindi condurrebbe alla perdita, da parte di quest’ultima, di un grado di giudizio, con chiara compromissione del diritto consacrato nell’articolo 24 Cost. Sussisterebbe inoltre la violazione dell’articolo 117, primo comma, Cost., in riferimento all’articolo 6 della CEDU. 2.− In via preliminare, va affermata l’inammissibilità di quest’ultima censura per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Il rimettente si limita ad affermare che dalle argomentazioni sviluppate con riferimento agli altri parametri «discende altresì, quasi a mo’ di corollario la non manifesta infondatezza della stessa questione di costituzionalità rispetto all’articolo 117 co. 1 Cost. e, per esso, rispetto ai vincoli derivanti, a tacer d’altro, dall’articolo 6 CEDU, che sancisce il diritto ad un processo equo». 2.1.− Conclusione analoga nel senso dell’inammissibilità vale per la censura basata sulla violazione di «criteri di razionalità» e non meglio precisati «principi generali dell’ordinamento». Manca infatti l’indicazione dei parametri costituzionali violati e, comunque, qualsiasi argomentazione a supporto della censura. 3.− Sempre in via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza formulata dall’Avvocatura generale dello Stato. Secondo la difesa erariale, una pronuncia di accoglimento della questione di legittimità costituzionale non potrebbe mai produrre effetti nel giudizio a quo. E ciò alla luce del principio elaborato dalla Cassazione, secondo il quale va esclusa l’operatività della preclusione derivante dal nuovo indirizzo giurisprudenziale nei confronti della parte che abbia confidato nella consolidata precedente interpretazione di una norma processuale. 3.1.− Il ragionamento pone sullo stesso piano il mutamento di orientamento giurisprudenziale e la declaratoria di incostituzionalità di una norma e ne fa conseguire l’irretroattività delle pronunce di incostituzionalità aventi ad oggetto norme di carattere processuale. Ciò è in evidente contrasto con la fisionomia del controllo di costituzionalità, risultante dagli articolo 136 Cost. e 30 della legge 11 marzo 1953, numero 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , caratterizzato dall’efficacia retroattiva delle pronunce di legittimità costituzionale e fisiologicamente destinato ad incidere sul giudizio principale. 4.− Nel merito, non è fondata la censura di disparità di trattamento tra le parti del giudizio, sostenuta sulla base del presunto «sbilanciamento a favore di quella facultata a produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore». Sul punto è sufficiente rilevare che tale facoltà è riconosciuta ad entrambe le parti del giudizio, cosicché non sussistono le ragioni del lamentato «sbilanciamento». 5.− Ai fini dell’esame dell’altra censura, è opportuno premettere che questa Corte ha più volte chiarito che non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità tra i diversi tipi di processo ex plurimis sentenze numero 165 e numero 18 del 2000, numero 82 del 1996 ordinanza numero 217 del 2000 , e, più specificatamente, un principio di uniformità del processo tributario e di quello civile tra le altre, ordinanze numero 316 del 2008, numero 303 del 2002, numero 330 e numero 329 del 2000, numero 8 del 1999 . Quanto alla disciplina dei singoli istituti processuali, è riconosciuta un’ampia discrezionalità del legislatore nella loro conformazione ex plurimis, sentenze numero 94 del 2017, numero 121 e numero 44 del 2016 , fermo restando, naturalmente, il limite della manifesta irragionevolezza di una disciplina che comporti un’ingiustificabile compressione del diritto di agire sentenze numero 121 e numero 44 del 2016, numero 335 del 2004 . Con particolare riferimento all’articolo 24 Cost., questa Corte ha costantemente ritenuto che esso non impone l’assoluta uniformità dei modi e dei mezzi della tutela giurisdizionale ciò che conta è che non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale ex plurimis, sentenze numero 121 e numero 44 del 2016 ordinanza numero 386 del 2004 . 5.1.− Ebbene, nella specie non vi è una compressione dell’esercizio del diritto di difesa nei sensi indicati. La previsione che un’attività probatoria, rimasta preclusa nel giudizio di primo grado, possa essere esperita in appello non è di per sé irragionevole, poiché «il regime delle preclusioni in tema di attività probatoria come la produzione di un documento mira a scongiurare che i tempi della sua effettuazione siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre la previsione della producibilità in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile» ordinanza numero 401 del 2000 . 5.2.− Non sussiste, infine, la dedotta violazione dell’articolo 24 Cost. per la perdita di un grado di giudizio è infatti giurisprudenza pacifica di questa Corte che la garanzia del doppio grado non gode, di per sé, di copertura costituzionale ex multis, sentenza numero 243 del 2014 ordinanze numero 42 del 2014, numero 190 del 2013, numero 410 del 2007 e numero 84 del 2003 . 6.− Le argomentazioni svolte conducono ad una pronuncia di non fondatezza della questione sollevata. Per questi motivi La Corte Costituzionale 1 dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, «sia in sé che in relazione al comma 1 di essa norma», del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 546 Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, numero 413 , sollevata, in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, numero 848, nonché ai «criteri di razionalità» e ai «principi generali dell’ordinamento», dalla Commissione tributaria regionale della Campania, con l’ordinanza in epigrafe 2 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, «sia in sé che in relazione al comma 1 di essa norma», del medesimo d.lgs. numero 546 del 1992, sollevata, in riferimento agli articolo 3 e 24 Cost., dalla Commissione tributaria regionale della Campania, con la stessa ordinanza.