Concessa dai Giudici di merito la protezione sussidiaria al cittadino senegalese vittima di violenze e minacce. Il Ministero dell’Interno, però, non accetta la decisione sostenendo che servono prove maggiormente incisive per la concessione del diritto. Sul punto gli Ermellini precisano le differenze tra i requisiti per la protezione sussidiaria e per la forma maggiore di protezione internazionale costituita dallo status di rifugiato.
Sul punto la Cassazione con ordinanza numero 16275/18 depositata il 20 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Bologna rigettava l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Interno avverso l’ordinanza del Tribunale con la quale veniva riconosciuto ad un cittadino senegalese il diritto alla protezione sussidiaria, ex articolo 14 d.lgs. numero 251/2007. Il cittadino straniero aveva spiegato di essere stato minacciato di morte da un gruppo di ribelli in Senegal per poi essere scappato in Libia dove aveva subito numerose minacce. La Corte territoriale a sostegno della sua decisione spiegava di aver ritenuto sussistente il diritto alla protezione sussidiaria sulla base dalla compatibilità dei fatti raccontanti dal richiedente con il contesto storico – politico. La pronuncia di merito è impugnata per cassazione dal Ministero dell’Interno con due censure entrambe concernenti l’attendibilità del richiedente e la credibilità del suo racconto. Differenze di requisiti tra protezione sussidiaria e status di rifugiato. La Cassazione ha ritenuto tali motivi inammissibili in quanto non è censurabile in sede di legittimità la valutazione dei fatti - «precisa, particolareggiata e plausibile» - compiuta dalla Corte di merito che è coerente rispetto alle condizioni del Senegal e alla documentazione sanitaria fornita dal cittadino straniero. I Giudici di legittimità si limitano a ricordare che in ogni caso non è strettamente necessario che il cittadino straniero fornisca «la prova di una persecuzione diretta, grave e personale», ai fini della concessione della protezione sussidiaria, in quanto tale requisito è riferito «alla forma maggiore di protezione internazionale costituita dallo status di rifugiato». In particolare, precisa la Suprema Corte, ai sensi delle ipotesi previste dall’articolo 14, lett. a e b , d.lgs. numero 251/2007, «l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti, pur dovendo rivestire un certo grado di individualizzazione, non deve avere i caratteri più rigorosi del fumus persecutionis». Mentre l’ipotesi di cui all’articolo 14, lett. c del citato decreto prevede che «la situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato nel paese di ritorno può giustificare la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale nella situazione di pericolo». Alla stregua di dette considerazioni la Cassazione ha ritenuto che nel caso di specie la minaccia di subire un danno grave al cittadino senegalese rende del tutto coerente la decisione di merito con i parametri normativi. In conclusione gli Ermellini rigettano il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 19 aprile – 20 giugno 2018, numero 16275 Presidente Scaldaferri – Relatore Acierno Ragioni della decisione Con sentenza numero 779/2016 la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Interno avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città che, accogliendo il ricorso del cittadino senegalese T.A. , aveva riconosciuto al medesimo il diritto alla protezione sussidiaria ex articolo 14, d.lgs. 251/2007. Esponeva il cittadino straniero di essere originario della città di omissis , dove nell’ottobre del 2012 era stato minacciato di morte da un gruppo di ribelli che volevano arruolarlo nel loro esercito. Aiutato dai familiari, fuggiva in Libia, dove subiva numerose violenze e veniva sequestrato per dieci giorni. Infine, arrivava in Italia il 04/02/2014. A sostegno della decisione la Corte territoriale ha rilevato che correttamente il Tribunale aveva ritenuto la sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria sulla base dell’intrinseca coerenza del racconto del richiedente e della compatibilità dei fatti rappresentati con la situazione locale del . L’Amministrazione appellante, che non ha contestato la situazione socio-politica senegalese come accertata dal Tribunale, si è limitata a contestare genericamente la credibilità del richiedente senza specificare eventuali contraddizioni e incongruenze del suo racconto. Al contrario, il sig. T. ha fornito una versione dei fatti precisa e particolareggiata, peraltro suffragata, quanto alle violenze subite, da documentazione sanitaria. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno sulla base di due motivi. Non ha svolto difese l’intimato. Con il primo motivo viene lamentata la violazione dell’articolo 3, d.lgs. 251/2007, perché la Corte d’appello ha ritenuto credibile il racconto del richiedente malgrado l’insussistenza di qualsiasi elemento atto a suffragarne l’attendibilità, desumendo la prova del danno grave ex articolo 14, d.lgs. cit., unicamente dalla situazione generale del Senegal, che, invece, non è sufficiente, dovendosi provare l’esistenza di una persecuzione diretta, grave e personale. Con il secondo motivo viene lamentata la violazione dell’articolo 2, lett. g , e articolo 14, lett. c , d.lgs. 251/2007, non avendo la Corte d’appello accertato né la sussistenza, in capo al richiedente, del rischio di una persecuzione diretta e personale, né il nesso di causalità tra la minaccia individuale e la situazione di conflitto violento e indiscriminato. I motivi possono trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi e parzialmente ripetitivi. Le censure concernenti l’attendibilità del richiedente e la credibilità del suo racconto sono inammissibili. La Corte d’appello ha rilevato, da un lato, che il sig. T. ha offerto una versione dei fatti precisa, particolareggiata e plausibile, nonché coerente rispetto alle condizioni del Paese di provenienza dall’altro, che la documentazione sanitaria prodotta è del tutto compatibile rispetto alle violenze che il medesimo ha dichiarato di aver subito. Trattasi di un accertamento di fatto che non può essere messo in discussione in sede di legittimità, se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., numero 5 denuncia che, peraltro, nella specie non viene formulata. La censura di violazione di legge rispetto ai presupposti della protezione sussidiaria è manifestamente infondata, basandosi su un’interpretazione del tutto erronea della normativa di riferimento. Invero, ai fini della concessione di tale forma di protezione, non è necessario che il richiedente fornisca la prova di una persecuzione diretta, grave e personale p. 6 del ricorso , essendo, quest’ultimo, un requisito afferente alla forma maggiore di protezione internazionale costituita dallo status di rifugiato articolo 7 ss., d.lgs. 251/2007 . Occorre rilevare, come chiarito da questa Corte, che, in relazione alle ipotesi descritte alle lettere a e b dell’articolo 14 cit., l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti, pur dovendo rivestire un certo grado di individualizzazione, non deve avere i caratteri più rigorosi del “fumus persecutionis mentre, con riferimento all’ipotesi indicata nella lettera c del medesimo articolo, la situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato nel paese di ritorno può giustificare la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale nella situazione di pericolo Cass. numero 6503/2014 . Nella specie, tanto la sussistenza dell’individualizzazione della minaccia di subire un danno grave , quanto la situazione socio-politica del Senegal, per come incensurabilmente accertate dal giudice del merito, rendono la pronuncia impugnata del tutto conforme al parametro normativo. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, senza provvedere in ordine alle spese processuali in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata. Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ex articolo 13, comma 1 quater, del d.p.r. numero 115 del 2002, non trovando applicazione tale obbligo di versamento nei confronti delle Amministrazioni dello Stato Cass. numero 5955/2014, rv. 630550-01 Cass. numero 1768/2016, rv. 638714-01 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.