Il giudizio abbreviato non subordinato al compimento di atti istruttori comporta, per sua stessa natura, la formazione della res iudicanda sulla base del quadro probatorio già esistente, non potendo l’imputato poi invocare la lesione delle sue facoltà difensive.
Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 20885/17 depositata il 3 maggio. La vicenda. La sentenza in oggetto origina dalla condanna emessa con rito abbreviato dal Tribunale di Roma nei confronti di un soggetto imputato per spaccio di sostanze stupefacenti. La Corte d’appello confermava la pronuncia di prime cure. L’imputato ricorre dunque dinanzi alla Corte di Cassazione dolendosi per la violazione dell’articolo 391-octies c.p.p. Fascicolo del difensore a causa della negata acquisizione delle risultanze delle indagini difensive e, in particolare, delle dichiarazioni rese al difensore dall’acquirente della sostanza stupefacente che dichiarava di aver acquistato la droga da un terzo soggetto . Giudizio abbreviato e facoltà difensive. La Corte coglie l’occasione per ricordare che ai sensi dell’articolo 438 c.p.p., la richiesta di definizione del giudizio con rito abbreviato non subordinato al compimento di atti istruttori comporta la formazione della res iudicanda sulla base del quadro probatorio già esistente. Nessuna nuova prova, né documentale né orale, può essere successivamente acquisita salva comunque la facoltà dell’imputato di sollecitare l’esercizio dei poteri officiosi del giudice di cui all’articolo 441, comma 5, c.p.p Si tratta di una caratteristica insita nella struttura stessa del rito in cui risultano fisiologicamente incompatibili con richieste di ammissione di nuovi mezzi di prova. Aggiunge inoltre la Corte che in tale contesto processuale, le facoltà difensive dell’imputato devono essere coordinate con i criteri ed i limiti processuali per la formazione della prova, dovendosi dunque escludere che i limiti del giudizio abbreviato costituiscano una compromissione dei diritti di difesa dell’imputato. Nel caso di specie inoltre l’omessa acquisizione delle dichiarazioni dell’acquirente dello stupefacente non poteva essere considerata una prova decisiva posto che la Corte d’appello è pervenuta alla sentenza di condanna sulla base degli accertamenti disposti dalla polizia giudiziaria. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 novembre 2016 – 3 maggio 2017, numero 20885 Presidente Savani - Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 27 settembre 2012 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma L.E. venne condannato, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena di anni quattro e giorni dieci di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, in relazione al reato di cui all’articolo 73 d.P.R. 309/90 per avere ceduto grammi 0,90 di sostanza stupefacente del tipo cocaina e averne detenuto a fine di spaccio l’ulteriore quantitativo di grammi 243 . La Corte d’appello di Roma, provvedendo con sentenza del 4 luglio 2013 sulla impugnazione proposta dall’imputato, ha escluso la recidiva contestata e ha ridoto la inflitta all’imputato ad anni tre di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata. Nel disattendere le altre doglianze dell’imputato, tra cui l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado a causa della mancata acquisizione, nel corso dell’udienza di discussione, del verbale delle dichiarazioni rese al difensore dell’imputato dall’acquirente della sostanza stupefacente, la Corte territoriale ha sottolineato che la richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato non era stata subordinata ad alcuna condizione e ha escluso, sulla base delle altre risultanze istruttorie, che tali dichiarazioni fossero necessarie ai fini della decisione, sottolineando che la polizia giudiziaria aveva avuto modo di osservare chiaramente lo scambio tra l’imputato e l’acquirente. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso personalmente l’imputato, affidato a unico motivo, mediante il quale ha denunciato violazione dell’articolo 391 octies cod. proc. penumero , a causa del diniego del primo giudice alla acquisizione delle risultanze delle indagini difensive, richiamando l’orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità circa l’obbligo di acquisirle ed esaminarle alla stressa stregua degli atti di indagine formati dal Pubblico Ministero, anche nel giudizio abbreviato, essendo tra l’altro tale acquisizione compatibile con il principio di economia processuale cui tale rito speciale è ispirato. Ha pertanto lamentato l’omessa acquisizione di una prova decisiva, in quanto nel fascicolo del difensore di cui era stata negata l’acquisizione erano contenute le dichiarazioni del presunto acquirente della sostanza stupefacente, che aveva escluso di averla acquistata dall’imputato, che quindi sarebbe stato scagionato in caso di acquisizione ed esame di tali dichiarazioni, essendo compatibile con la destinazione al consumo personale il quantitativo di sostanza stupefacente detenuta dall’imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2. Va ricordato che la richiesta di definizione del giudizio con rito abbreviato, non subordinata al compimento di determinati atti istruttori, di cui all’articolo 438, comma primo, cod. proc. penumero , comporta la definizione del processo allo stato degli atti, che determina la formazione della res iudicanda sulla base del quadro probatorio già esistente, sicché nessuna prova, documentale od orale, può essere successivamente acquisita, salva la facoltà dell’imputato, ammesso al giudizio abbreviato, di sollecitare il giudice all’esercizio dei poteri di cui all’articolo 441, comma quinto, cod. proc. penumero Sez. 4, numero 51950 del 15/11/2016, Peano, Rv. 268694, relativa a fattispecie in cui è stata ritenuta legittima la decisione del giudice che aveva respinto la richiesta di produzione dei verbali delle indagini difensive, effettuata dopo la presentazione della richiesta di ammissione al giudizio abbreviato conf. Sez. 3, numero 5457 del 28/11/2013, Mauro, Rv. 258020 Sez. 4, numero 6969 del 20/11/2012, Carani, Rv. 254478 . Ciò discende dalla natura del rito abbreviato c.d. ordinario , ovverosia non subordinato a integrazioni istruttorie, disciplinato dall’articolo 438, comma 1, cod. proc. penumero , caratterizzato dalla fisiologica incompatibilità con richieste di ammissione di mezzi di prova, sia orali che documentali, come chiaramente evincibile dal fatto che in tal caso il processo viene definito, secondo la testuale espressione della norma, allo stato degli atti , e che solo nel caso del comma 5, richiamato dal comma 1 come un’evidente eccezione rispetto a tale definibilità allo stato degli atti, è consentita la richiesta di una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione cui il rito stesso viene condizionato ne consegue che, una volta richiesto e disposto il rito speciale nella configurazione del comma 1, nessuna prova, documentale od orale, può essere acquisita. Ne consegue l’infondatezza della doglianza sollevata dall’imputato, essendo successiva alla sua richiesta di definizione del giudizio con il rito abbreviato, formulata in data giugno 2012, a seguito della richiesta di giudizio immediato da parte del Pubblico Ministero, l’istanza di autorizzazione alla produzione dei verbali delle indagini difensive, avanzata nel corso della successiva udienza di discussione innanzi al giudice per le indagini preliminari, allorquando la res iudicanda si era definitivamente cristallizzata. Le facoltà difensive dell’imputato, compresa quella di produzione degli atti formati nel corso delle investigazioni di cui agli articolo 391 bis e segg. cod. proc. penumero , debbono, infatti, essere coordinate con i criteri e i limiti previsti dal codice per la formazione della prova cfr. Sez. 3, numero 35372 del 26/05/2010, G., Rv. 248366 Sez. 6, numero 1400 del 22/10/2014, PR., Rv. 261798 , sicché deve escludersi che l’imposizione del limite anzidetto determini una indebita compressione dei diritti di difesa spettanti all’imputato, e in particolare del diritto di avvalersi degli esiti delle investigazioni difensive, che deve essere correlato con i criteri e i limiti previsti per tutte le parti per la formazione della prova. Va, infine, aggiunto, che la mancata considerazione delle dichiarazioni rese dall’acquirente della sostanza stupefacente, che secondo quanto affermato dal ricorrente avrebbe escluso di averla ricevuta da quest’ultimo, non ha determinato la mancata assunzione di una prova decisiva, essendo la Corte d’appello pervenuta all’accertamento della consumazione di tale cessione in modo univoco, sulla base degli esiti degli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria. La Corte territoriale ha, infatti, escluso la decisività del verbale delle dichiarazioni rese al difensore dell’imputato dall’acquirente della sostanza stupefacente, sottolineando come lo scambio tra l’acquirente e l’imputato fosse stato chiaramente osservato dalla polizia giudiziaria, che aveva avuto modo di vedere che l’acquirente si era portato con il suo ciclomotore nelle immediate vicinanze della abitazione dell’imputato, laddove quest’ultimo aveva ricevuto dal primo del denaro, consegnandogli qualcosa, poi risultato essere un involucro di cellophane bianco contenente grammi 0,90 di sostanza stupefacente del tipo cocaina, di cui il suddetto era stato trovato in possesso immediatamente dopo lo scambio con l’imputato ne consegue la mancanza del carattere della decisività della prova della cui mancata assunzione si duole il ricorrente, in quanto può ritenersi decisiva, secondo la previsione dell’articolo 606, lett. d , cod. proc. penumero , solamente la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione del provvedimento impugnato, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia, ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante così Sez. 4, numero 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323 . Il ricorso in esame deve, in conclusione, essere respinto, e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.