No TAV: come ha preso lo Stato il lancio della molotov?

Il tribunale di Torino dovrà verificare se, nell’attacco al cantiere di Chiomonte, avvenuto nel maggio 2013 nell’ambito della contestazione alla realizzazione della TAV, sia stata creata un’apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione dell’opera TAV, e di un grave danno che sia effettivamente connesso a tale rinuncia, o comunque, all’azione indebitamente mirata a quel fine. Solo in tale ipotesi, verrebbe integrato il reato di condotte con finalità di terrorismo, disciplinato dall’articolo 270-sexies c.p

È quanto deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 28009, depositata il 27 giugno 2014. Il caso. Il tribunale di Torino, in funzione di giudice del riesame, confermava il provvedimento restrittivo emesso dal gip nei confronti di quattro attivisti del movimento “No TAV”. Oggetto del provvedimento era l’attacco effettuato la notte del 13 maggio 2013 al cantiere di Chiomonte, aperto nell’ambito dei lavori volti a realizzare la linea ferroviaria tra Torino e Lione, con lancio di fuochi pirotecnici, bombe carta e bottiglie molotov, oltre all’effrazione del cancello costringendo gli operai alla fuga a causa del fumo . L’accusa era di attentato per finalità terroristiche o di eversione articolo 270-sexies c.p. , distrazione o sottrazione di armi ed esplosivi, fabbricazione e detenzione di armi e violenza a pubblico ufficiale. Gli imputati ricorrevano in Cassazione, muovendo le loro censure dalla nozione di grave danno per il Paese, elemento necessario ad integrare il reato previsto dall’articolo 270-sexies c.p A loro avviso, i giudici avrebbero dato ampio spazio ad una lunga serie di attentati ed atti di sabotaggio ai danni dell’opera TAV, commettendo in questo modo un grave errore, in quanto non era possibile attribuire agli indagati alcuna responsabilità diretta o indiretta per eventi a cui non erano collegati da alcun elemento di prova, e, quindi, indebitamente accorpati. L’idoneità a provocare un grave danno al Paese dovrebbe, quindi, essere misurata in rapporto all’azione indicata, non ad una lista di avvenimenti eterogenei accaduti nell’arco di diversi anni. Inoltre, veniva contestata anche l’identificazione del danno potenzialmente recato dall’azione. Anche in tale caso, il danno all’immagine sarebbe stato apprezzato in base alla resistenza complessivamente opposta all’opera, mentre non sarebbe stato spiegato il motivo per cui il breve ritardo dei lavori procurato dai fatti di causa avrebbe potuto pregiudicare i rapporti tra Italia e Unione Europea. Infine, per integrare il reato di cui all’articolo 270-sexies c.p. sarebbe necessario che l’agente perseguisse anche un obiettivo di intimidazione riguardo alla collettività dei consociati, oltre che un fine di causazione del danno o di costrizione nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni. Questi elementi mancherebbero nel caso di specie. Scopo dell’attacco era colpire gli operai? Queste contestazioni vengono condivise dalla sez. VI Penale della Corte di Cassazione. I giudici di legittimità, infatti, rimangono piuttosto scettici sulla tesi dei giudici di merito, che nell’ordinanza avevano fatto riferimento ad una diretta intenzione lesiva nei confronti degli operai al lavoro. Infatti, «un trattamento cautelare per fatti potenzialmente lesivi della vita o dell’integrità delle persone non può prescindere dallo stabilire in primo luogo se gli attentatori vedevano o non vedevano le potenziali vittime, se le ‘bersagliavano’ o se piuttosto accettavano il rischio di colpirle». In realtà, se avessero gettato alla cieca le bottiglie incendiarie l’accusa di attentato con finalità terroristiche sarebbe incompatibile con la condotta. Il tribunale ha, quindi, assunto una ricostruzione dei fatti non sufficientemente argomentata, per poi desumerne delle conseguenze giuridicamente scorrette. In più, non ci sono prove del coinvolgimento dei ricorrenti nei fatti antecedenti o successivi all’evento in questione, per cui mancherebbe la dimostrazione del disegno unitario delle azioni illegali intraprese contro l’opera. Danno al Paese. La Cassazione ha, poi, sentito l’esigenza di sottolineare che, affinché possa scattare la contestazione di terrorismo, è necessario un grave danno per un Paese o un’organizzazione internazionale e che si comprometta il sereno svolgimento della vita pubblica, il fisiologico esercizio del potere pubblico, la stabilità e l’esistenza delle istituzioni di una società pluralistica e democratica. Alla luce di tale considerazione, «la connotazione terroristica dell’assalto di Chiomonte non può essere efficacemente contestata in base alla generica denuncia di una sproporzione di scala tra i modesti danni materiali provocati ed il macroevento di rischio cui la legge condiziona la nozione di terrorismo». Connessione tra evento specifico e scelta dello Stato. Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rinviato gli atti al giudice di rinvio, per verificare se, per gli effetti direttamente riferibili al fatto contestato, come tali rappresentati e voluti dagli autori nel contesto in cui calavano la propria azione, sia stata creata un’apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione dell’opera TAV, e di un grave danno che sia effettivamente connesso a tale rinuncia, o comunque, all’azione indebitamente mirata a quel fine. Ciò che importa, infatti, è la costrizione del potere pubblico a tenere od omettere un determinato comportamento e la specifica offensività dei comportamenti.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 maggio – 27 giugno 2014, numero 28009 Presidente Garribba – Relatore Leo