Lettere non consegnate, piano aziendale non rispettato: eccessiva la sospensione per dieci giorni

‘Salvo’ il portalettere, colpito duramente da Poste Italiane. Illegittima la decisione di sospendere il dipendente dal lavoro e dalla retribuzione per ben dieci giorni, perché assolutamente sproporzionata rispetto alla condotta a lui addebitata, ossia il non esser riuscito a completare le consegne.

Corrispondenza non consegnata precisamente, quattro lettere ‘prioritarie’ più missive ‘ordinarie’. Tutto il materiale ‘scottante’ è rinvenuto sul tavolo del dipendente, un ‘portalettere’, di ‘Poste Italiane’. Durissima la reazione dell’azienda, che opta per la sospensione – dal servizio e dalla retribuzione – del dipendente per ben 10 giorni, richiamando il programma ‘Tavolo Pulito’ finalizzato a un miglior recapito della corrispondenza, evidentemente non rispettato dal ‘portalettere’. Ciò, però, non basta per rendere legittima la sanzione vittoria piena, quindi, per il lavoratore. Cass., sent. numero 12361/2014, Sezione Lavoro, depositata oggi Arretrati. A dar torto a ‘Poste Italiane’, per la verità, hanno provveduto già i giudici di primo e di secondo grado, dichiarando la «illegittimità della sanzione disciplinare di dieci giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione» irrogata a un ‘portalettere’, colpevole, secondo l’azienda, di avere un grosso quantitativo – oltre 6 chilogrammi – di corrispondenza ancora non consegnata. Per i rappresentanti di ‘Poste’, è evidente la «gravità della condotta addebitata al lavoratore, idonea ad incidere su diritti e interessi della collettività». Di avviso opposto, invece, i giudici Sanzione azzerata. Per l’azienda, però, la battaglia non è ancora chiusa difatti, in Cassazione viene sostenuto, ancora una volta, che «la condotta del dipendente doveva considerarsi quale grave inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, tale da giustificare la sanzione». Anche in questo caso, anche nel contesto del ‘Palazzaccio’, i giudici valutano eccessiva la durezza mostrata da ‘Poste Italiane’. Detto in maniera ancora più chiara, la «sanzione applicata» – praticamente, l’azzeramento di un terzo della retribuzione mensile del dipendente – è ritenuta «sproporzionata rispetto al fatto addebitato», anche perché il dipendente, a fronte della contestazione, si era giustificato con il fatto di «avere ‘ereditato’ un notevole quantitativo di corrispondenza ordinaria lasciata da una ‘titolare di zona’ andata in ferie», spiegando che proprio nella giornata dell’addebito mossogli dall’azienda egli «aveva prolungato l’orario di servizio di un’ora e 45 minuti per far fronte all’eccessivo carico di lavoro, senza peraltro percepire alcun compenso per lavoro straordinario». Quadro chiarissimo, quindi, per i giudici ci si trova di fronte ad un «dipendente, privo di precedenti disciplinari», il quale, semplicemente, «non riuscì a completare le consegne, pur protraendo spontaneamente l’orario giornaliero». Assolutamente irrilevante, invece, il richiamo di ‘Poste’ su una «iniziativa aziendale» – ‘Tavolo Pulito’ – «in corso per il raggiungimento di un miglior risultato nel recapito della corrispondenza», soprattutto tenendo presente, evidenziano i giudici, che l’azienda «esercitò il potere disciplinare senza avere adeguatamente informato il dipendente circa le conseguenze sanzionatorie della nuova iniziativa».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 aprile – 30 maggio 2014, numero 12361 Presidente Vidiri – Relatore Amoroso Svolgimento del processo 1. Il Tribunale di Grosseto, giudice del lavoro, con sentenza numero 199 del 9.3 - 31.3.2004, ha dichiarato l'illegittimità della sanzione disciplinare di dieci giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione irrogata a T.P., portalettere in servizio a Follonica, con lettera 2.8.2000. Poste Italiane S.p.A., con ricorso del 30.3.2005. ha proposto appello contro la sentenza del giudice grossetano segnalando la gravità della condotta addebitata al lavoratore, idonea a incidere su diritti e interessi della collettività. La Corte d'appello di Firenze con sentenza del 13 aprile 2007 ha rigettato l'appello. 2. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società con tre motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. Motivi della decisione 1. Il ricorso è articolato in tre motivi con cui la società ricorrente denuncia la violazione falsa applicazione degli articolo 2086, 2094 e 2104 c.c. in relazione all'articolo 41 Cost, primo motivo violazione e falsa applicazione degli articolo 1362 1363 c.c. in relazione agli articolo 30 e 34 C.C.N.L. dell'11 gennaio 2001 secondo motivo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Essenzialmente la società ricorrente si duole dell'asserito difettoso giudizio di proporzionalità tra fatto addebitato e sanzione, deducendo che la condotta del dipendente doveva considerarsi quale grave inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro tale da giustificare la sanzione conservativa irrogata. 2. Il ricorso - i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato. Va innanzitutto ribadito quanto già ritenuto da questa corte Cass. 27 settembre 2007 numero 20221 che ha affermato che in tema di sanzioni disciplinari, il giudice di merito, investito del giudizio circa la legittimità di tali provvedimenti, deve valutare la sussistenza o meno del rapporto di proporzionalità tra l'infrazione del lavoratore e la sanzione irrogatagli. A tal fine deve tenere conto sia delle circostanze oggettive che delle modalità soggettive della condotta del lavoratore l'apprezzamento di merito della proporzionalità tra infrazione e sanzione sfugge a censure in sede di legittimità se adeguatamente e congruamente motivato. Nella specie la corte d'appello ha operato questo giudizio di proporzionalità e, con motivazione sufficiente e non contraddittoria, ha ritenuto che la sanzione applicata fosse sproporzionata rispetto al fatto addebitato. Ha in particolare osservato la corte territoriale che, come emergeva dalla lettera di contestazione del 13.6.2000, a T.P. era stato contestato che, in data 22.5.2000, alle ore 14.45, egli non aveva consegnato numero 4 lettere prioritarie bollate 18.5.2000, che venivano rinvenute sul suo tavolo assieme a corrispondenza ordinaria per un peso complessivo di 6 kg. datata 18, 19 e 20 maggio 2000 . Dal canto suo, il T. si giustificava con il fatto di avere 'ereditato' un notevole quantitativo di corrispondenza ordinaria lasciata da una titolare di zona andata in ferie proprio in quei giorni e segnalava che, proprio il 22.5.2000, egli aveva prolungato l'orario di servizio di un'ora e 45 minuti per far fronte all'eccessivo carico di lavoro, senza peraltro percepire alcun compenso per lavoro straordinario. Poste Italiane S.p.A. aveva dedotto che era in corso un'iniziativa aziendale per il raggiungimento di un miglior risultato nel recapito della corrispondenza menzionando il programma Tavolo Pulito . Ha quindi osservato la corte d'appello da una parte che non era risultato provato che l'azienda avesse affisso un codice disciplinare specifico, con le esatte prescrizioni e le conseguenze disciplinari connesse alla nuova iniziativa denominata Tavolo Pulito . D'altra parte la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 10 giorni un terzo dello stipendio era da ritenersi sproporzionata ex articolo 2106 cod. civ. tenendo conto che il CCNL 26.11.1994 contemplava la sospensione di soli 4 giorni da servizio e retribuzione per i casi ben più gravi, fra i quali l'inosservanza dei doveri e obblighi di servizio, con pregiudizio per l'ente, e addirittura con vantaggio per sé o per terzi articolo 34 . Nella specie invece si era in presenza di un dipendente, privo di precedenti disciplinari, che non riuscì a completare le consegne pur protraendo spontaneamente l'orario giornaliero. La Corte d'appello ha pertanto concluso che, nella specie, Poste Italiane S.p.A. esercitò il potere disciplinare senza aver adeguatamente informato il dipendente circa le conseguenze sanzionatorie della nuova iniziativa Tavolo Pulito senza valutare le reali condizioni in cui T.P. era chiamato ad operare a Follonica senza valutare in modo obbiettivo la vicenda concreta in relazione a tutte le diverse e più gravi ipotesi per le quali il CCNL del settore prevedeva la sospensione dal servizio e dalla retribuzione. 3. Il ricorso va quindi rigettato. Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 100,00 cento per esborsi ed in euro 3.000,00 tremila per compensi d'avvocato ed oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dell'avv. V.S., dichiaratosi antistatario.