La semplice presentazione di una denuncia penale, successivamente archiviata, non obbliga di per sé al risarcimento del danno. Al fine della qualificazione di detto comportamento quale calunnia è difatti necessario il dolo dell’agente e non la semplice colpa determinata da leggerezza o avventatezza della denuncia.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 9322/15 depositata l’8 maggio. Il fatto. Il Tribunale di Velletri veniva adito ai fini del risarcimento del danno asseritamente subito dall’attore denunciato dal convenuto all’Ufficio Imposte e alla Procura della Repubblica per il rilascio di attestazioni di oneri detraibili, denuncia che aveva comportato l’apertura di un’indagine a suo carico per truffa ai danni dello Stato. Affermava inoltre l’attore il diritto al risarcimento del danno per l’uso di espressioni offensive da parte del convenuto nel corso del giudizio d’appello, frasi di cui il giudice aveva disposto la cancellazione. Il convenuto si costituiva rigettando ogni addebito e chiedendo in via riconvenzionale il risarcimento dei danni subiti per il comportamento dell’attore. Il giudice di prime cure rigettava ogni domanda. In sede di gravame, la Corte territoriale accoglieva solo parzialmente l’appello dell’attore originario, il quale impugna la sentenza di secondo grado con ricorso in Cassazione lamentando il mancato risarcimento dei danni da lui subiti a seguito della denuncia sporta dal convenuto. Calunnia e denuncia falsa. La doglianza appare immediatamente infondata. La Cassazione coglie l’occasione per ribadire che la semplice presentazione di una denuncia penale, successivamente archiviata, non è di per sé fonte di responsabilità e non crea un obbligo di risarcimento del danno. Difatti, ai fini della qualificazione del predetto comportamento quale calunnia è necessario che sussista il dolo e non la semplice colpa del denunciante, dovuta a leggerezza o avventatezza. Tutti i presupposti della condotta, e cioè non solo la materialità delle accuse ma anche la consapevolezza della loro falsità e infondatezza, devono inoltre essere dimostrati di chi assume di esserne stato danneggiato. Infine la prospettazione del ricorrente che descrive la condotta del convenuto come meramente emulativa, risulta generica ed inconferente ai fini del risarcimento del danno. La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento. Con esso il ricorrente sostiene che la Corte territoriale sia incorsa in vizio di extrapetizione per aver ritenuto che la cancellazione dagli atti di cause delle frasi offensive pronunciate dalla controparte nell’ambito del giudizio d’appello fosse completamente satisfattiva di ogni pretesa di risarcimento. Il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ribadiscono i Supremi Giudici, implica il mero divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione non corrispondente alla domanda, ma non gli impedisce di rendere la sua pronuncia sulla base di una ricostruzione dei fatti diversa da quella prospettata dalle parti. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 gennaio – 8 maggio 2015, numero 9322 Presidente Amendolo – Relatore D’Amico Svolgimento del processo S.G. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Velletri, G.F. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni che assumeva di aver subito perché a con un esposto il convenuto lo aveva denunciato all'Ufficio Imposte e alla Procura della Repubblica, per aver rilasciato attestazioni a tutti i consorziati degli oneri corrisposti al fine della loro detraibilità fiscale tanto che era stato indagato per truffa aggravata nei confronti dello Stato b nel corso di un giudizio d'appello, erano state usate dalla controparte G. , frasi offensive delle quali il giudice aveva ordinato la cancellazione c già in precedenza il convenuto lo aveva accusato di falso in bilancio d nel corso di un altro giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Velletri, aveva utilizzato ulteriori espressioni offensive. Il G. si costituì chiedendo il rigetto delle avverse pretese e propose domanda riconvenzionale con la quale chiese di essere risarcito per i danni arrecatigli dal comportamento dell'attore. Intervennero in giudizio Q.R. , moglie del convenuto, chiedendo anch'essa il risarcimento dei danni a lei cagionati dalla condotta del S. , nonché altri consorziati. Il Tribunale disattese tutte le domande formulate dalle parti, compensando le spese di lite. Proposto gravame principale da S.G. e incidentale da G.F. , E.M. , Gi.Lu. , P.P. e Sp.As.Fi. , la Corte d'appello, in parziale accoglimento del primo, ha condannato Q.R. a rifondere all'appellante principale un quarto delle spese del giudizio di prime cure ha dichiarato inammissibili o rigettato tutti gli appelli incidentali ha condannato Q.R. a rifondere all'appellante S.G. un quarto delle spese del grado, compensandole invece fra tutte le altre parti costituite. Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione S.G. con quattro motivi. Resiste con controricorso G.F. . Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360 numero ri 3 e 5 cod. proc. civ. in relazione agli articolo 2059 cod. civ. e 185 cod. penumero ” dolendosi del mancato risarcimento dei danni da lui subiti a seguito della denuncia sporta dal G. . Sostiene che la denuncia sporta dal G. , in ordine all'attestazione da lui rilasciata al fine di consentire la detrazione fiscale degli oneri consortili corrisposti dagli associati, aveva carattere meramente emulativo, considerato che lo stesso G. non aveva effettuato alcuna detrazione. Il motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la semplice presentazione di una denuncia penale, poi archiviata, non costituisce, di per sé, fonte di responsabilità e di risarcimento del danno, dovendo necessariamente ricorrere, al fine della qualificazione della denuncia in termini di calunnia, il dolo e non semplicemente la colpa del denunciante che conseguentemente quest'ultimo non incorre in responsabilità civile se non quando, agendo con dolo, si rende colpevole di calunnia, essendo irrilevante la mera colpa, determinata da leggerezza o avventatezza ed essendo richiesta, per contro, per l'imputabilità del reato di calunnia e il conseguente risarcimento del danno, la precisa volontà dolosa del denunciante che è onere del danneggiato dimostrare tutti i presupposti dell'illecito addebitato al convenuto, cioè non solo la materialità delle accuse, ma anche la consapevolezza della loro falsità e infondatezza Cass., 12 gennaio 2012, numero 300 . A tali principi il collegio intende dare continuità. Non è superfluo aggiungere che la prospettazione del carattere meramente emulativo della condotta del G. , peraltro generica e inconferente, ai fini che qui interessano, è anche nuova, trattandosi di profilo non trattato nella sentenza impugnata, in relazione al quale l'impugnante neppure ha assolto agli oneri deduttivi imposti dal criterio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, numero 20518 Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, numero 18440 . Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360 numero ri 3 e 5 cod. proc. civ. in relazione all'articolo 342, e 345 cod. proc. civ.”. Sostiene in particolare il S. che la sentenza della Corte d'appello, pur avendogli dato ragione laddove aveva censurato la pronuncia di primo grado per la ritenuta improponibilità della domanda, ex articolo 89 cod. proc. civ., sotto il profilo che, essendo le espressioni sconvenienti ed offensive contenute nella comparsa conclusionale di un giudizio di appello, la domanda risarcitoria non poteva essere proposta al giudice di quel processo, ha poi erroneamente ritenuto che la cancellazione delle frasi offensive dovesse ritenersi satisfattiva di ogni pretesa. Ad avviso del ricorrente la Corte d'appello sarebbe così incorsa nel vizio di extrapetizione, non avendo la questione costituito motivo di appello principale o incidentale. Il motivo è infondato. Il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall'articolo 112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la sua pronuncia in base ad una ricostruzione dei fatti di causa - alla stregua delle risultanze istruttorie - autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante Cass., 20 giugno 2008, 16809 . Nel caso di specie la Corte territoriale, risolto positivamente il problema della proponibilità della domanda, non poteva non esaminarne la fondatezza nel merito. E in tale prospettiva la sussistenza di un danno risarcibile eziologicamente connesso alla condotta del convenuto è stata non irragionevolmente esclusa, in ragione della ritenta esaustività della sola cancellazione. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 numero ri 3 e 5 cod. proc. civ. in relazione agli articolo 342 cod. proc. civ. e 34 5 cod. proc. civ.”. Deduce che il dibattito processuale nelle pregresse fasi si era incentrato unicamente sulla estraneità o meno del S. al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo davanti al Giudice di Pace, laddove la Corte territoriale aveva ritenuto improponibile la domanda per non essere stata allegata alcuna delle circostanze che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la rendevano esperibile al di fuori del giudizio nel corso del quale erano state rese le espressioni pretesamente sconvenienti e offensive. Il motivo è infondato. La circostanza che la domanda sia stata ritenuta dalla Corte territoriale proponibile sotto il profilo della accertata partecipazione di S.G. al giudizio dinanzi al Giudice di Pace, non imponeva affatto al giudice di merito di accoglierla, perché ne andava comunque verificata la proponibilità alla luce del principio per cui competente ad accertare e liquidare il danno derivante dall'uso di espressioni offensive contenute negli atti del processo, ai sensi dell'articolo 89 cod. proc. civ., è lo stesso giudice dinanzi al quale si svolge il giudizio nel quale sono state usate le suddette espressioni, salvo che detto giudice non possa, o non possa più, provvedere con sentenza sulla domanda di risarcimento, circostanza, nella fattispecie, non ricorrente confr. Cass. civ. 22 novembre 2012, numero 20593 Cass. civ. 9 luglio 2009, numero 16121 . Con l'ultimo motivo l'impugnante si duole della parziale compensazione delle spese del giudizio in favore della Q. , condannata a rimborsale nella misura di un quarto soltanto. Il motivo è infondato. In base al disposto dell'articolo 92 cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, il sindacato della Corte di cassazione è limitato all'accertamento che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso con altri giusti motivi Cass., 14 novembre 2002, numero 16012 Cass., 1 ottobre 2002, numero 14095 Cass., 11 novembre 1996, numero 9840 . L'impugnata sentenza, ritenendo la Q. soccombente in ordine alla domanda di risarcimento del danno da lei subito e considerando la minima incidenza che la stessa aveva avuto sulle necessità difensive del S. , ha, con argomentazioni logicamente e giuridicamente corrette, compensato per tre quarti le spese sia per il primo che per il secondo grado. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in Euro 4.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori d legge.