Criticabile, senza dubbio, la condotta trascurata del medico, che ha preferito rimandare il paziente nel reparto di provenienza, ‘seguendolo’ a distanza, ma, alla luce della evoluzione della vicenda, non emerge con chiarezza il nesso tra le sue scelte e il decesso della persona in cura. E ogni approfondimento rischia di rivelarsi inutile, non essendo stata disposta l’autopsia e dovendosi basare solo sulla cartella clinica.
Consulenza cardiologica conclusa l’esito è drammatico, la diagnosi è “infarto acuto in atto”. Ciò nonostante, il paziente non viene ricoverato nella ‘Unità di terapia intensiva’, bensì ricollocato nel reparto di provenienza, quello di ‘Medicina’. Quattro giorni dopo, però, l’uomo muore, a seguito di arresto cardiaco. Finisce sotto accusa, per “omicidio colposo”, il cardiologo che non ha portato il paziente in ‘Terapia intensiva’. Ma il medico, la cui “condotta trascurata” non è in discussione, non può essere dichiarato colpevole a salvarlo è l’incertezza sulle cause della morte Cass., sent. numero 18812/2014, Quarta Sezione Penale, depositata oggi . Solo dubbi. Gravissimo l’addebito mosso nei confronti del medico cardiologo di un ospedale egli è accusato di «non aver disposto il ricovero» di un paziente «in ‘Unità di terapia intensiva’, nonostante la evidente diagnosi di infarto acuto in atto», e di aver optato, invece, per il «rientro nel reparto di provenienza». Scelta errata, e, soprattutto, fatale, secondo l’accusa il paziente, difatti, è poi deceduto, 48 ore dopo, «a seguito di arresto cardiaco». A sorpresa, però, il Giudice dell’udienza preliminare dichiara il «non luogo a procedere», alla luce della «situazione di incertezza sulle cause della morte, non essendo stata disposta autopsia». E questa decisione, nonostante le dure contestazioni mosse dal Procuratore della Repubblica, viene condivisa anche dai giudici del Palazzaccio nonostante la condotta assai discutibile del medico, quest’ultimo è salvo dall’accusa di «omicidio colposo». Decisiva proprio la ricostruzione della vicenda il 28 dicembre l’uomo viene ricoverato in ospedale «presso il reparto di ‘Medicina’, con diagnosi di gastroenterite», e lì, a seguito di elettrocardiogramma, viene effettuata una «diagnosi di infarto miocardico acuto» poi, «effettuata la consulenza cardiologica», si opta per un «controllo degli enzimi cardiaci, senza disporre il ricovero in terapia intensiva» il 3 gennaio viene «avviata terapia coronaroattiva, in assenza di segni ischemici» il 5 gennaio il paziente presenta «ematuria» – sangue nelle urine –, così viene decisa «la sospensione del farmaco antiaggregante» il 6 gennaio, purtroppo, il triste epilogo, col «decesso» del paziente per «improvviso arresto cardiaco». Criticabile, certo, la scelta del medico, ossia il non ricorrere al ricovero in terapia intensiva, ma questo elemento, ossia la «condotta trascurata del cardiologo», spiegano i giudici, non può essere valutato come «determinante della concatenazione di fattori che portarono al decesso del paziente». E un ulteriore «approfondimento» – in dibattimento – «sarebbe vano, perché, basandosi solo sulla cartella clinica, non si potrebbe accertare, con esattezza, l’accaduto» e «stabilire se vi siano eventuali profili di responsabilità» del medico. Lapalissiana, quindi, la «impossibilità di dimostrare la certa evitabilità dell’evento per effetto di un trattamento sanitario tempestivo e corretto», e altrettanto evidente la carenza di «elementi di prova» utili a «consentire un approfondimento probatorio sulle cause dell’evento, non essendo stata disposta l’autopsia e disponendosi solo di informazioni cartacee». Di conseguenza, inutile anche il «vaglio dibattimentale».
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 4 marzo – 7 maggio 2014, numero 18812 Presidente Brusco – Relatore Blaiotta Motivi della decisione 1. Il Tribunale di Lecce ha emesso sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo in danno di V.F All'imputato medesimo, cardiologo in servizio presso un presidio ospedaliero, è stato mosso l'addebito di non aver disposto il ricovero in unità di terapia intensiva a seguito di consulenza cardiologica, nonostante la evidente diagnosi di infarto acuto in atto. Il sanitario disponeva il rientro del paziente nel reparto di provenienza ove non veniva trattato adeguatamente e decedeva a seguito di arresto cardiaco dovuto a tale patologia. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica lamentando la non congrua ed illogica valutazione del quadro indiziario. Si espone che la pronunzia afferma che la condotta asseritamente superficiale ed omissiva del sanitario non può essere valutata oltre ogni ragionevole dubbio come determinante della concatenazione di fattori che quattro giorni dopo portarono al decesso del paziente. L'indagine peritale basata esclusivamente sulla cartella clinica non potrebbe accertare con precisione quanto accaduto ed evidenziare eventuali profili di colpa. Tale valutazione viene censurata dal ricorrente giacché basata su una valutazione prognostica di sostanziale immutabilità del quadro probatorio all'esito del dibattimento. Si rammenta che la sentenza di non luogo a procedere può essere adottata solo quando il quadro probatorio sia insuscettibile di evoluzione nel dibattimento. Il parametro di giudizio non è l'innocenza o la colpevolezza dell'imputato ma l'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio. Per contro nel caso in cui sussistono fonti di prova che si prestino, secondo un giudizio prognostico, a soluzioni aperte, suscettibili di sviluppi e chiarimenti idonei a determinare il superamento della situazione di incertezza, la verifica dibattimentale è doverosa. Il giudice dell'udienza preliminare non si è attenuto a tali principi ed ha in sostanza anticipato il giudizio di merito che trova la sua sede naturale del dibattimento. In realtà, alla stregua delle valutazioni espresse dal consulente del pubblico ministero, confutate approssimativamente dai consulenti della difesa, tale approfondimento si imponeva, tanto più che il giudice non ha spiegato perché le argomentazioni accusatorie non siano state convincenti, fermandosi solo a considerare l'ovvio contrasto con gli argomenti della parte avversa. In tale situazione è da escludere che il dibattimento apparisse inidoneo all'acquisizione di ulteriori e decisivi elementi. Al contrario appariva comunque necessaria una completa rivalutazione del materiale raccolto anche mediante un accertamento peritale. 3. Il ricorso è infondato. La sentenza impugnata sintetizza i tratti della vicenda. Il V. venne ricoverato il 28 dicembre presso il reparto di medicina con diagnosi di gastroenterite. Fu eseguito elettrocardiogramma che evidenziò ischemia miocardica con tracce di necrosi con incremento della troponina, indicativo di danno cellulare, con conseguente diagnosi di infarto miocardico acuto. Effettuata la consulenza cardiologica, si optò per un controllo seriato degli enzimi cardiaci senza disporre il ricovero in terapia intensiva. Il 3 gennaio fu avviata terapia coronaroattiva in assenza di segni ischemici in atto. Il 5 gennaio si manifestò ematuria che comportò la sospensione del farmaco antiaggregante. Il giorno seguente si verificò il decesso per improvviso arresto cardiaco. I consulenti hanno censurato la scelta di non inviare in paziente in terapia intensiva, ed hanno aggiunto che essa avrebbe dato maggiori probabilità di salvezza ma non avrebbe assicurato il certo evitamento dell'evento letale. Si aggiunge che l'imputato ha contestato che la morte sia stata determinata da infarto e non da embolia polmonare in paziente affetto da tumore prostatico ed ha escluso di aver visitato il paziente dopo la consulenza del 2 gennaio. Il giudice, alla luce di tali acquisizioni, considera che si è in una situazione di incertezza sulle cause della morte, non essendo stata disposta autopsia. In ogni caso la condotta asseritamente trascurata del cardiologo non può essere valutata, oltre ogni ragionevole dubbio, come determinante della concatenazione di fattori che quattro giorni dopo portarono al decesso del paziente. Un ulteriore approfondimento sarebbe vano perché, basandosi solo sulla cartella clinica, non si potrebbe accertare con esattezza l'accaduto e stabilire se vi siano eventuali profili di responsabilità a carico dell'imputato. Tale apprezzamento non appare censurabile. Esso si fonda non solo sull'impossibilità di dimostrare la certa evitabilità dell'evento per effetto di un trattamento sanitario tempestivo e corretto ma più radicalmente sulla assenza di elementi di prova idonei a consentire qualunque significativo approfondimento probatorio sulle cause dell'evento neppure in dibattimento, non essendo stata disposta l'autopsia e disponendosi solo di informazioni cartacee. E' tale decisiva circostanza che giustifica l'apprezzamento in ordine all'inutilità del vaglio dibattimentale. Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.