Accertata l’esistenza di un'organizzazione terroristica di matrice islamica che reclutava combattenti in Italia per addestrarli in Afghanistan

L'assenza di una persona da un luogo in cui si sono realizzati reati fine rispetto a quello associativo non ne esclude la responsabilità, quando l'imputato abbia avuto un ruolo di natura organizzativa.

E’ quanto si evince dalla sentenza n. 28731 della Corte di Cassazione depositata il 4 luglio 2013. Il caso. Un uomo era accusato di essersi associato con altri soggetti, in numero superiore a dieci, allo scopo di commettere più delitti di immigrazione clandestina, ricettazione, contraffazione di documenti di identità di persona, violenza personale, acquisto e spendita di valuta contraffatta, reati fine rispetto alla finalità di terrorismo e di avere costituito un'articolazione nazionale del gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento G.S.P.C. . Il Tribunale di Milano all'esito del giudizio in forma abbreviata condannava l'uomo, ma la Corte d'Assise d'Appello ambrosiana lo assolveva per non aver commesso il fatto. Non si è fatta attendere la reazione del Procuratore Generale. La Corte territoriale aveva mandato assolto l'imputato nonostante fosse stata accertata l'esistenza e l'operatività in Italia dell'illecito sodalizio internazionale con finalità di terrorismo di matrice islamica nonché accertata la partecipazione dei soggetti indicati come correi dell'imputato. Le ragioni addotte venivano giudicate dal Procuratore Generale come labili e privi di consistenza logica e dunque veniva censurata la sentenza per manifesta illogicità della motivazione che, appunto in modo irrazionale, dava per attendibili i collaboratori che avevano fatto la chiamata in correità dell'imputato. Accertata l'esistenza dell'organizzazione. La stessa sentenza censurata riconosceva la presenza di numerose sentenze irrevocabili circa l'esistenza dell'organizzazione terroristica ed eversiva e della sua operatività in Italia a partire dagli ultimi anni novanta. La cellula operante in Italia era dedita al procacciamento di documenti falsi destinati ai fratelli nell'Islam e aveva basi logistiche in appartamenti situati in Milano e nella provincia di Varese, all'interno dei quali erano rinvenuti oltre a materiali relativi alla realizzazione dei reati-fine, anche materiale di natura propagandistica. Fuori di dubbio era la natura terroristica dell'organizzazione che perseguiva il fine di realizzare azioni militari e di violenza per diffondere la religione islamica e per sovvertire l'assetto politico e instaurare regimi fondamentalisti islamici. Le sentenze avevano accertato la partecipazione a detta organizzazione di gran parte dei coimputati che, sottoposti a separato procedimento, avevano effettuato chiamata in correità. Un perfetto meccanismo. Il collaboratore aveva reso dichiarazioni in cui descriveva il perfetto meccanismo organizzativo prima di essere inviati in Afghanistan, gli aspiranti combattenti venivano reclutati in Italia tra i giovani immigrati tunisini, che erano stati indottrinati sui valori della guerra santa e dei precetti islamici durante la frequentazione delle moschee milanesi. Tali soggetti venivano poi mandati in Afghanistan nei campi di addestramento per la preparazione di bombe finalizzate ad attacchi terroristici che prevedevano il suicidio del combattente, campi nei quali un ruolo importante aveva rivestito proprio l'imputato. L'organizzazione si occupava di provvedere ai documenti di viaggio e alle spese che provenivano dall'impiego di denaro ottenuto in modo illecito in Italia tramite commissione di reati comuni. Travisamento del racconto. L'articolato racconto fornito dai correi veniva però travisato dalla Corte territoriale. Il narrato indicava esattamente le condotte ascrivili all'imputato e enunciate nel capo di imputazione, con qualche divergenza solo lessicale doveva aggiungersi peraltro il riconoscimento fotografico effettuato che aveva confermato essere l'imputato uno dei protagonisti strategici dell'organizzazione. E la c.d. convergenza del molteplice ? La Corte d'Assise d'Appello, secondo la Suprema Corte, aveva mancato di operare secondo i principi che mirano alla realizzazione della c.d. convergenza del molteplice , vale a dire secondo il consolidato principio di diritto per cui non è richiesta una perfetta corrispondenza di contenuto tra le informazioni del chiamante in correità e gli elementi di riscontro. In particolare la questione da decidere riguardava la responsabilità di una condotta criminosa di tipo associativo, rappresentata da una stabile e volontaria partecipazione del soggetto alla struttura organizzata del sodalizio. Dimostrare la partecipazione al sodalizio. In altre parole, la Corte territoriale avrebbe dovuto operare tenuto conto che oggetto di prova era la partecipazione dell'imputato all'organizzazione terroristica, non le singole attività ad esso attribuite come fine del reato associativo, di talché era in relazione a ciò che doveva operare il principio di convergenza tra dichiarazioni dei correi e elementi di riscontro. Errato il giudizio sugli elementi di riscontro. Peraltro, la Corte Suprema, accogliendo le censure mosse dal Procuratore Generale, evidenziava come i rilievi mossi ad alcuni elementi di riscontro erano errati perché valutati in modo illogico. Invero, l'assenza dell'imputato dall'Italia non poteva evincersi dalla mancata esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare, potendo essere spiegata la mancata esecuzione con la presenza clandestina. Non solo anche la declaratoria di prescrizione di reati-fine commessi a scopo di autofinanziamento contestati all'imputato durante la permanenza a Bologna non significava sua estraneità agli addebiti, bensì, come noto, proprio la riconducibilità degli illeciti alla sua persona. Sentenza da annullare con rinvio. In ultimo, la Corte d'Assise d'Appello viene rimproverata di non avere esternato il proprio difforme convincimento in ordine al materiale probatorio e di non aver confutato in modo specifico gli argomenti della motivazione della sentenza riformata. Non è ammessa, ricorda la Cassazione, una giustificazione delle proprie valutazioni che si arresti con l'analisi delle prove in termini differenti.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 4 aprile - 4 luglio 2013, n. 28731 Presidente Bardovagni – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza resa il 6 febbraio 2012 la Corte di Assise di Appello di Milano in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del locale Tribunale, resa in data 31 gennaio 2011 all'esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, che confermava nel resto, assolveva per non aver commesso il fatto N.R.B.M. , alias A.D. , dai delitti di cui agli artt. 416 co 1, 2, 4 e 5 c.p., 1 L. 15/80 e 270 bis cod.pen. commessi in omissis dalla fine del sino all' omissis , contestatigli per essersi associato con altri soggetti in numero superiore a dieci allo scopo di commettere per finalità di terrorismo più delitti di immigrazione clandestina, ricettazione, contraffazione di documenti di identità persona, violenza personale, acquisto e spendita di valuta contraffatta, mediante la costituzione dell'articolazione nazionale del Gruppo Salafita per la predicazione ed il Combattimento, G.S.P.C., operante in stretto contatto con una rete di analoghi ed affini gruppi attivi in Stati Europei ed altri paesi. 1.1 La Corte territoriale, premesso che, a seguito di diverse pronunce già irrevocabili, erano state accertate l'esistenza e l'operatività in Italia dell'illecito sodalizio internazionale contestato, avente finalità terroristica di matrice islamica, e la partecipazione dei soggetti indicati quali correi dell'imputato N. , riteneva non dimostrata la sua appartenenza, in quanto a era indimostrata la sua presenza in omissis in poi, tant'è che l'ordinanza di custodia cautelare emessa a suo carico non si era potuta eseguire b tutti i reati contestatigli risultano commessi fino al nella zona di e per essi egli è stato prosciolto per intervenuta prescrizione c perquisizioni e sequestri effettuati a non lo avevano riguardato in prima persona ed il rinvenimento di armi, proiettili e materiale propagandistico di ispirazione jihadista non era avvenuto a suo esclusivo carico in luoghi da tempo abbandonati dagli occupanti per altra ignota destinazione d la sua presenza in omissis , di cui aveva riferito il collaboratore T. , era stata ammessa dallo stesso N. , il quale vi si era trasferito stabilmente con la famiglia che aveva formato, una volta lasciata l' e dal omissis , data della sua estradizione in , egli era stato detenuto a omissis . 1.2 Inoltre, rilevava che, sebbene il T. avesse riferito a suo carico che egli in omissis aveva coordinato i fratelli musulmani che lì si erano addestrati negli appositi campi, aveva diretto uno di detti campi frequentato anche dallo stesso collaboratore e che, quando il gruppo dei tunisini si era diviso, egli era divenuto il capo di una delle due fazioni e tale ruolo fosse stato confermato anche da altra fonte, ossia il collaboratore M.T. , ciò nonostante tali chiamate in correità non erano sufficienti a confermare la fondatezza delle accuse mossegli di avere mantenuto costanti contatti dall'Afghanistan con la cellula operante a Milano, di avere provveduto alla logistica dei mujaheddin provenienti dall' , di averne curato e finanziato il rientro in ed a con la predisposizione dei titoli di viaggio e dei documenti di identità, di avere promosso e raccolto finanziamenti dall'Italia, in quanto tali condotte non erano state riferite dai collaboratori, né dimostrate con altri mezzi probatori. 1.3 La Corte di Assise di Appello aveva quindi concluso che, per quanto la circostanza che il N. fosse un terrorista internazionale fosse dimostrata dalla sua cattura in omissis e dalla prigionia a omissis , ciò non provava l'effettiva commissione delle condotte di reclutamento, coordinamento, addestramento dei terroristi giunti in e da qui ripartiti alla volta dell'Afghanistan con falsi documenti e con valuta contraffatta per finanziarsi, fatti non riferiti dal T. e nemmeno dal M. . 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano, che deduce un unico motivo per denunciare manifesta illogicità della motivazione. Sostiene che, sebbene fossero stati presi in considerazione le dichiarazioni dei collaboratori T. e M. , ritenuti entrambi attendibili, e gli elementi di riscontro acquisiti, tra i quali il sequestro di monete false avvenuto a nel periodo precedente al , i numerosi filmati trovati nel corso delle perquisizioni condotte a e le intercettazioni effettuate, e nonostante il rilievo circa la dimostrata esistenza dell'associazione criminosa terroristica, gli argomenti utilizzati per escludere la responsabilità dell'imputato erano labili e privi di consistenza logica. Infatti - la mancata esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare non dimostrava necessariamente l'allontanamento dall' del suo destinatario - la declaratoria di prescrizione dei reati contestatigli durante la permanenza a non poteva assumere il significato della sua estraneità agli addebiti - anche il N. aveva pacificamente frequentato i luoghi oggetto di perquisizioni e gli era riferibile il possesso di quanto rinvenuto negli alloggi - l'ammissione della sua presenza in omissis offriva conferma dell'attendibilità delle dichiarazioni del cooperatore T. - lo stato di detenzione a Guantanamo dal 2001 era irrilevante dal momento che le condotte ascrittegli nel presente giudizio erano configurate a partire dal . Inoltre, era contraddittorio sostenere che il N. fosse stato il responsabile del campo e della casa frequentati dal T. per l'addestramento a omissis , cosa confermata anche dal M. , e poi concludere per l'assenza di prova circa i collegamenti tra l'attività svolta in omissis e quanti raggiungevano detto paese dall' per esservi addestrati ad azioni terroristiche, conclusione che comunque non teneva conto di alcune circostanze dimostrate e riportate nella stessa sentenza. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va dunque accolto. 1. La sentenza impugnata è pervenuta all'assoluzione dell'imputato dai reati ascrittigli, con ciò sovvertendo il giudizio di responsabilità già espresso dal giudice di primo grado, sulla scorta di un percorso motivazionale che risulta carente e contraddittorio. 1.1 In particolare, nella disamina delle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado i giudici di appello hanno passato in rassegna il materiale probatorio offerto dall'accusa in relazione ai motivi di appello proposti dalla difesa dell'imputato, prendendo l'avvio dal dato oggettivo delle numerose sentenze irrevocabili che avevano già riscontrato l'esistenza e l'operatività anche in a partire dagli ultimi anni novanta di cellule di gruppi terroristici, i cui aderenti si ispiravano all'ideologia del fondamentalismo islamico ed erano collegati ai movimenti estremistici algerini ed all'organizzazione transazionale denominata Al Qaeda, aventi basi logistiche nelle principali città Europee, compresa l'Italia e struttura organizzata in cellule, non verticisticamente configurate, ma collegate tra loro ed in rapporti di continuo scambio di conoscenze e uomini. In particolare, era stato già accertato che la cellula operante in Italia, composta da soggetti di nazionalità tunisina ed egiziana, ossia da E.S. , B.M. , C.T. , K.M. , R.J. , B.S.A. , A.M. , K.S. , T.L. e O.H. , tutti gravitanti nelle due moschee milanesi di viale XXXXXX e di via , era dedita al procacciamento di falsi documenti, anche da utilizzare all'estero, destinati ai fratelli nell'Islam , con i quali poter raggiungere i campi di addestramento in omissis ed aveva disposto di varie basi logistiche, stabilite in appartamenti situati a XXXXXX e nella provincia di , all'interno dei quali era stato rinvenuto materiale relativo ai reati fine, falsi e ricettazioni relativi ai documenti personali, ed altro di natura propagandistica, ossia lettere, documenti, videocassette inneggianti alla guerra santa ed alla lotta armata. Era dunque stata riconosciuta la natura di organizzazione avente finalità terroristica per il proposito, perseguito dai suoi aderenti, di realizzare azioni militari e di significativa violenza per la diffusione della religione islamica e per fini di sovvertimento dell'assetto politico e di instaurazione di regimi fondamentalisti islamici, intento comprensivo, per l'attività da svolgere in , dei progetti di attentato alla stazione centrale, alla Questura, al Comando dei Carabinieri di via omissis e ad una base militare americana, nonché della commissione di reati comuni contro il patrimonio e la fede pubblica mediante lo spaccio massiccio di banconote contraffatte, grazie ai quali procurare denaro per finanziare i progetti criminosi. 1.2 I giudici di appello hanno poi riassunto il contenuto delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia R J. e L T. il primo, dopo essere stato raggiunto da condanna definitiva, aveva riferito agli inquirenti le vicende già accertate nelle pronunce irrevocabili ed aveva fornito ulteriori e più dettagliate notizie circa le modalità di reclutamento dei nuovi aderenti all'organizzazione e del loro indottrinamento sulle tecniche della lotta armata e degli attentati terroristici mediante il sacrificio suicida dell'attentatore, aveva descritto l'attività di preparazione della partenza per l' omissis di alcuni militanti, inviati dall'Italia nei locali campi di addestramento, quali T.L. , i fratelli R.Z. e Zi. , già condannati dalla Corte di Assise di Milano, nonché l'attività di supporto alla guerriglia condotta in , ai cui combattenti era stato fornito materiale logistico ed inviati uomini. 1.3 Quanto ai contributo conoscitivo fornito da T.L. , era stato evidenziato che costui, dopo l'arresto e la detenzione in Francia, consegnato alle autorità italiane nel maggio 2006, aveva fornito ampie informazioni di conferma del racconto dello J. , aveva descritto le circostanze del suo arrivo in omissis e l'attività di spaccio di hashish cui si era dedicato sino alla conversione all'Islam integralista ad opera di Z R. , col quale aveva condiviso un appartamento a omissis e che l'aveva indotto a frequentare la moschea di viale omissis , nonché a visionare videocassette inneggianti alla Jihad ed alla lotta contro gli infedeli in quanto, secondo il R. , ogni musulmano avrebbe dovuto recarsi omissis ad apprendere l'uso delle armi per essere in grado di affrontare la guerra santa. Aveva dunque accettato di recarsi in omissis e ottenuta l'approvazione da parte del referente del R. , il tunisino H.I. , il R. aveva procurato per lui e per il proprio fratello Zi. , a sua volta intenzionato a partire per l'addestramento, dei falsi documenti con visti contraffatti ed i biglietti aerei sulla tratta da ad omissis per il T. e Zi Ra. , dalla per lo stesso Z. . 1.3.1 Erano così giunti a destinazione ed erano stati alloggiati, dapprima in un appartamento di , a disposizione dell'organizzazione presso il quale avevano incontrato Ab.Ha. , quindi nel campo di addestramento di , ove erano stati presi in consegna dal responsabile, il quale agiva su indicazioni del soggetto a capo dei tunisini , ossia di D A. , alias l'odierno imputato N. , in quel periodo assente perché trasferitosi nel campo di . Il T. dopo circa tre mesi di permanenza a Farouk era stato mandato a , ma nel frattempo il N. si era trasferito a omissis ove abitava e presso la cui casa era avvenuto l'addestramento di Z R. all'uso degli esplosivi ed alla fabbricazione di bombe. Dopo il ferimento subito durante la preparazione di una bomba, il T. aveva cominciato a dubitare di voler continuare nel programma di addestramento e di poter realizzare un attentato suicida, per cui aveva ottenuto i propri documenti ed era riuscito a rientrare in , ove però aveva ripreso i contatti con gli altri militanti del gruppo e frequentatori delle moschee di viale omissis , presso la quale la preghiera era condotta da un religioso egiziano, tale S.L. , detto A.S. , ossia con Ha Ab. , poi recatosi in a combattere nella Jihad B.M. , S.C. , L.R. , K.M. e L.M. , tutti soggetti già condannati con sentenze definitive e che, come lui, rientrati dall' omissis , erano convinti della necessità della Jihad , ed ascoltavano le audio cassette che la inneggiavano. 1.3.2 Il T. aveva anche descritto le modalità del finanziamento dell'attività del gruppo terroristico premesso che durante la permanenza in Pakistan aveva appreso da A.N. che, una volta giunto in , avrebbe ricevuto la visita di A.H. , il quale era incaricato di raccogliere denaro da inviare in omissis , e che, poiché il gruppo di militanti tunisini si era scisso in due fazioni, una guidata dallo stesso A.N. , l'altra da A.D. , i finanziamenti raccolti avrebbero dovuto arrivare a lui stesso e non ad A.D. . Tale divisione si era riprodotta anche in , ove aveva incontrato il capo dei tunisini S. , il quale si era schierato dalla parte di A.D. , inviando a quest'ultimo il denaro raccolto mediante la spendita di banconote false, attività ammessa, ancorché illecita come lo spaccio di droga, perché finalizzata a sostenere guerra santa, mentre A.H. aveva raccolto denaro trasmesso poi all'altra fazione guidata da A.N. . Il T. , tramite il S. , aveva conosciuto A.I. , identificato in M.T. , detenuto in e già coinvolto nell'assassinio di Ma.Ah. , il comandante afgano assassinato nel e già capo dell'Alleanza del . 1.4 La sentenza ha quindi riportato anche quanto riferito dal M. in merito alla persona del N. , ritenendo, come già fatto dal G.U.P., che le sue dichiarazioni potessero fungere da riscontro alla narrazione del T. . Il M. aveva ammesso di avere svolto il compito di addestrare militanti islamici che si trovavano in Europa, di avere conosciuto E.S. , ideatore di un progetto finalizzato all'invio di militanti in omissis per la preparazione militare e poi al trasferimento dei volontari celibi in , dal quale paese dovevano organizzare gruppi di infiltrazione in , per l'attuazione del quale era stata realizzata un'adeguata rete logistica, in grado di procurare documenti falsi e denaro da utilizzare per inviare i combattenti nelle zone di guerriglia egli aveva anche indicato i vari soggetti attivi in questa rete in diversi paesi Europei e che parecchi tunisini da , dal e dalla omissis si erano recati in omissis grazie all'organizzazione. In riferimento alla posizione del N. , da lui conosciuto come A.D. , aveva riferito di averlo incontrato in omissis , ove era giunto per l'addestramento e si era trattenuto dopo il matrimonio con una donna afghana, stabilendosi a omissis , e era divenuto un dirigente del gruppo tunisino di A.Y. , che poi si era scisso in due fazioni ed il A.D. aveva capeggiato una delle due e mantenuto contatti col gruppo di E.S. per quanto riguardava l'invio di persone in omissis e per tutto ciò che era relativo al gruppo tunisino. 1.5 I giudici di appello hanno quindi rilevato come l'attendibilità del collaboratore di giustizia T. fosse stata già positivamente vagliata in sentenze irrevocabili, l'hanno ribadita alla luce di specifiche emergenze probatorie, ma hanno poi ritenuto la stessa insufficiente a fondare il giudizio di reità circa la partecipazione del N. all'associazione terroristica sulla scorta dei seguenti rilievi - non risultava la sua presenza in dal in poi, tant'è che l'ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti nel non era mai stata eseguita e nel relativo procedimento egli era stato dichiarato latitante - tutti i reati contestati al N. erano contestati come commessi fino al nella zona di e per essi era stata emessa sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione - le perquisizioni e i sequestri effettuati a - di cui parla il giudice di primo grado - non avevano mai coinvolto direttamente e in prima persona la sua persona, erte era dimostrato avere cambiato di frequente abitazione, di volta in volta condivisa con altri connazionali sicché i sequestri di armi, proiettili e materiale vario di propaganda jihadista non erano mai stati disposti a suo esclusivo carico e le perquisizioni erano state effettuate quando gli occupanti le avevano abbandonate - la presenza del N. in omissis , di cui ha riferito T. , è stata ammessa dallo stesso imputato, che lì era andato una volta allontanatosi dall'Italia e lì viveva con la sua famiglia e nel periodo dal omissis , data della sua estradizione in , era stato detenuto a omissis . Avevano concluso che quanto riferito sul suo conto dal T. non fosse sufficiente ad offrire una prova valida della commissione delle condotte criminose descritte nell'imputazione dal momento che, né il collaboratore, né gli altri dichiaranti le avevano riferite in quei termini, non erano emersi i necessari collegamenti tra l'attività svolta dal N. in omissis e coloro che dall' vi si erano recati per ragioni di addestramento per poi rientrare nel nostro paese con falsi documenti, ma neppure era emersa una coincidenza spazio-temporale tra tali condotte e la presenza in quei luoghi e a quell'epoca dell'imputato, mentre quanto riferito dal M. non riguardava quanto compiuto specificamente dall'imputato. 2. Il ricorrente oppone a siffatto procedimento di valutazione del materiale probatorio, che ne svaluta la capacità dimostrativa, la sua parzialità, illogicità e manifesta contraddittorietà. Questa Corte ritiene di condividere tali rilievi critici perché fondati sulla stessa struttura argomentativa della motivazione della sentenza impugnata. 2.1 È la stessa Corte di Assise a riconoscere che pronunce già irrevocabili hanno accertato l'esistenza dell'organizzazione criminosa terroristica ed eversiva, descritta analiticamente al capo A dell'imputazione e della partecipazione ad essa della maggior parte dei coimputati del N. , sottoposti a separato procedimento e che le dichiarazioni rese da L T. , in modo coerente, logico ed attendibile, hanno valore di affidabile chiamata di correo nei riguardi del N. . Al tempo stesso ritiene in modo del tutto illogico che esse non contengano la descrizione delle specifiche condotte riportate nell'imputazione e consistenti nel mantenimento di stretti e costanti contatti dall' omissis con la struttura dell'organizzazione operante in e a da dove proveniva , nel curare la logistica dei mujaheddin provenienti all'Italia , nell'organizzare e finanziare il rientro in occidente, in particolare in Italia e a Milano, curando anche gli aspetti relativi ai titoli di viaggio e ai documenti di identità , nella sollecitazione e nella raccolta di finanziamenti in , ricevuti poi in omissis e destinati alle attività illecite ivi svolte e ciò in e in altre province della omissis nel periodo compreso dalla fine del all' omissis . 2.1.1 Ma tale constatazione contrasta irrimediabilmente con il contenuto delle dichiarazioni rese dal T. e riportate nella sentenza stessa, allorché costui nei suoi diversi interrogatori, aveva descritto esattamente il meccanismo organizzativo di invio in omissis degli aspiranti combattenti, reclutati dall'organizzazione in Italia tra i giovani immigrati dalla , previamente indottrinati sui valori della guerra santa e dei precetti islamici mediante la frequentazione dei religiosi delle moschee milanesi di via e via , impegnati nel reperimento mediante il compimento di attività criminose comuni, quali la massiccia spendita di denaro contraffatto, reati contro il patrimonio e lo spaccio di hashish, di denaro col quale finanziare le iniziative del gruppo terroristico, quindi mandati in omissis nei campi di addestramento gestiti dal gruppo dei tunisini ivi operante, nel quale un ruolo strategico aveva rivestito proprio N.R.B.M. , noto quale A.D. , divenuto capo di una delle due fazioni nelle quali si era scisso il gruppo, e preposto alla gestione delle case di accoglienza dei tunisini provenienti dall'Europa e di alcuni campi di addestramento, al quale erano stati indirizzati i futuri combattenti provenienti dalla cellula di , il T. ed i fratelli R. compresi. Inoltre, sempre il collaboratore ha anche descritto come il N. avesse avuto in A.H. un proprio fedele seguace, inviato in con lo specifico compito di raccogliere denaro da inviargli in omissis , che lo stesso T. aveva incontrato ed aveva appreso che anche il capo dei tunisini di , S. , aveva parteggiato per l'odierno imputato e gli aveva inviato il denaro raccolto grazie ai reati commessi dai correi in Italia. È dunque agevole riscontrare che il racconto del T. consente di enucleare esattamente le singole condotte enunciate nell'imputazione, divergendo forse soltanto in alcune espressioni lessicali, e che lo stesso è stato oggetto di vero e proprio travisamento da parte della Corte di Assise di Appello, anche tenuto conto del fatto che il collaboratore ha effettuato l'esatto riconoscimento fotografico dell'imputato, che aveva incontrato di persona proprio in omissis . Analoghe dichiarazioni ha reso anche il M. , che a sua volta aveva incontrato nell'anno il N. in quel paese, inviatovi da S E. per tentare di far riunire i due gruppi separatisi di tunisini, in quanto il N. era a capo di una delle due formazioni ha riferito che questi si era occupato dei tunisini nella gestione dei campi di addestramento finalizzati ad avviare alla guerriglia i combattenti provenienti dall'Europa e dall'Italia, aveva mantenuto contatti con S E. a e ricevuto regali dall'estero pertanto, anche il M. può dirsi autore di una chiamata in correità a suo carico. 2.1.2 Sulla scorta di tali premesse e della stessa affermazione circa l'attendibilità dei collaboratori la Corte di Assise di Appello avrebbe dovuto interrogarsi circa la possibilità di ravvisare nelle loro dichiarazioni un nucleo narrativo comune, in grado di realizzare la c.d. convergenza del molteplice alla luce del pacifico principio di diritto, secondo il quale a tal fine non è richiesta una perfetta corrispondenza di contenuto tra le informazioni del chiamante in correità e gli elementi che devono fungere da riscontro, in quanto il thema decidendum è quello della responsabilità in ordine alla specifica condotta criminosa che, nel caso di un delitto associativo, consiste nella stabile e volontaria partecipazione del soggetto alla struttura organizzata del sodalizio con condivisione degli scopi perseguiti. Pertanto, non rileva che le dichiarazioni dei collaboratori non siano coincidenti con l'elemento di riscontro quanto alle stesse circostanze o alle singole attività attribuite all'accusato, perché non sono queste a dover essere dimostrate, ma il fatto della partecipazione al sodalizio o del contributo dall'esterno ad esso prestato, che i singoli comportamenti tenuti possono valere a provare Cass. sez. 2, n. 780 del 02/12/2005, P.M. in proc. D'Angela, Rv. 233024 sez. 1 n. 22853 del 9/5/2006, Liang, rv. 234890 sez. 1, n. 31695 del 23/6/2010, Calabresi ed altri, rv. 248013 sez. 1, n. 23242 del 06/05/2010, Ribisi, rv. 247585 sez. 2, n. 23687 del 03/05/2012, D'Ambrogio e altri, Rv. 253221 . 2.1.3 Infine, sempre a livello metodologico, va ricordato che il giudizio sull'esistenza e sulla capacità dimostrativa di un elemento di riscontro che confermi una chiamata di correo è devoluto al giudice del merito, il cui procedimento valutativo non è censurabile in sede di legittimità, se rispondente ai canoni della logica e della completezza quanto all'idoneità del riscontro ad operare quale elemento di conferma, senza che sussistano limitazioni nell'individuazione del riscontro, che può consistere in qualsiasi dato che, seppur privo di forza probatoria autonoma, possa corroborare la chiamata in correità, conferendole quella affidabilità necessaria perché possa essere utilizzata in chiave probatoria. 3. Nel caso in esame sussiste anche il denunciato vizio di illogicità della motivazione con riferimento alla individuazione e valutazione degli elementi di riscontro, in quanto la stessa sentenza impugnata - dà come pacifica l'attività di terrorista internazionale del N. in relazione all'attività svolta in OMISSIS e riportata le dichiarazioni dello stesso imputato che ha ammesso la presenza in quel paese sino all'arresto nel da parte delle forze militari statunitensi - afferma che egli era a capo del campo di addestramento e della casa di accoglienza del tunisini provenienti dall'Europa, ove erano giunti anche il T. ed i suoi compagni R. - era in contatto con altri appartenenti all'organizzazione che raccoglievano denaro a scopi di finanziamento in Milano - era in contatto con S. e con E.S. , il soggetto occupatosi di sanare la scissione in due gruppi dei tunisini in omissis - gli appartenenti all'organizzazione che da Milano raggiungevano l' omissis venivano dotati dell'indirizzo, loro consegnato dai responsabili della moschea di viale Jenner, della casa gestita dal N. . 3.1 Inoltre, anche i rilievi espressi sugli altri elementi di riscontro non sono decisivi, né logicamente valutati al fine di escludere l'utilizzo probatorio delle chiamate in correità, in quanto - la sua assenza dall'Italia 1999 in poi non può essere in assoluto dimostrata dalla mancata esecuzione di ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti nel , potendo dipendere dal mantenimento in clandestinità, mentre le indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, menzionate nella sentenza di primo grado,indicano la sua presenza a nel - la pronuncia di proscioglimento per prescrizione dai reati fine, commessi sino al 1997 nella zona di a scopo di autofinanziamento, non esclude affatto la sua responsabilità, ma postula proprio la sussistenza degli illeciti e la loro attribuzione alla sua persona, mentre in precedenza egli era stato condannato per spaccio di banconote false, commesso nella zona di - le perquisizioni e i sequestri effettuati a , menzionati nella sentenza di primo grado, avevano comunque riguardato alloggi anche da lui occupati, mentre parte dei materiali propagandistici in arabo, uno recante la scritta e la pubblicazione omissis ad uso interno della comunità religiosa dell'Istituto di cultura islamica di viale omissis , erano stati rinvenuti in un armadio nella disponibilità dell'imputato, quindi erano a lui direttamente riconducibili. 3.2 La sentenza impugnata ha poi del tutto trascurato che a carico del T. era stata accertata l'effettuazione di numerose rimesse di denaro per complessivi 70.000.000 di lire tra il ed il XXXX su conti esteri a vantaggio di personaggio ritenuto avente identità di fantasia ed alcune transazioni dirette a paesi quali la , lo e la , così come ha omesso di considerare che il ruolo assunto dal N. , secondo quanto riferito dai collaboratori, ritenuti attendibili, era di natura organizzativa, per cui non era necessariamente legato alla sua permanenza in un luogo specifico, a , piuttosto che a , e che era risultato aver assolto a tale compito dall' omissis mediante i collegamenti con la cellula di Milano, secondo quanto gli è stato contestato nel presente procedimento. 3.3 Infine, va ricordato che quando il giudice di appello riformi la decisione di primo grado ha l'obbligo di esternare il proprio procedimento alternativo di valutazione del materiale probatorio e di confutare in modo specifico gli argomenti della motivazione della sentenza riformata, dando conto delle ragioni della ritenuta incompletezza o incoerenza, mentre non può esaurire il proprio compito giustificativo con l'analisi in termini differenti delle prove acquisite solo perché ritenuta preferibile a quella condotta nel provvedimento impugnato. Cass. sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, p.c. in proc. Rastegar, rv. 254638 sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012, p.c. in proc. Ingrassia, Rv. 254617, Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, rv. 231679 . Per le considerazioni svolte s'impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per il rinnovato giudizio di appello ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Milano. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Milano.