In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’amministratore di fatto è penalmente responsabile per la sottrazione e/o distruzione delle scritture contabili obbligatorie, non rilevando che egli sia privo delle capacità e delle conoscenze amministrativo-contabili che si rendono necessarie per gestire una società di capitali nella specie, società a responsabilità limitata , né che l’attività da lui prestata abbia carattere meramente materiale e non di rappresentanza.
Lo ha ribadito la quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 22181, depositata il 23 maggio 2013. La figura dell’amministratore di fatto Secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale, sviluppatasi già prima dell’introduzione dell’articolo 2639 c.c. ad opera della riforma del diritto penale societario di cui al d.lgs. numero 61/2002, l’amministratore “di fatto” va individuato in colui che svolge in concreto le funzioni gestorie, cui è ricollegata la relativa posizione di garanzia rispetto agli obblighi penalmente sanzionati, ed è pertanto titolare dei relativi obblighi impeditivi articolo 40, comma 2, c.p. . Tale tesi è stata sostenuta pure dalla prevalente dottrina, la quale ha sottolineato come l’istituto del «soggetto di fatto» sia maggiormente rispondente al principio di personalità della responsabilità penale articolo 27, comma 1, Cost. ed alla conseguente necessità di garantire la maggiore effettività della fattispecie penale d’impresa, con l’ulteriore e non trascurabile conseguenza di prevedere e punire il reato in capo a chi effettivamente lo ha commesso. Al fine di individuare il soggetto “di fatto” bisogna, in primo luogo, ed in base ai principi generali coniati dalla giurisprudenza, ripercorrere l’organizzazione aziendale interna, anche al fine di verificarne la conformità alla disciplina extrapenale in secondo luogo, occorre risalire alla posizione di garanzia, verificando che ad essa siano connessi gli obblighi impeditivi rispetto ai fattori che hanno cagionato l’offesa. In altri termini, va verificato chi, in concreto, svolge le funzioni di amministratore, individuandolo quale diretto destinatario della norma penale nel momento in cui, mentre esercita la funzione gestoria tipica, pone in essere la condotta. Ulteriore quesito è se l’inciso «per i reati previsti dal presente titolo», di cui all’articolo 2639, comma 1, c.c., riduca la portata normativa del citato articolo ai soli reati societari, ovvero ne consenta l’estensione al diritto penal-fallimentare ed anche oltre. Seguendo una interpretazione letterale dell’articolo 2639, comma 1, c.c., appare possibile dedurre a contrario che l’equiparazione legislativa della responsabilità fra amministratori di fatto e di diritto opera solo per i reati societari, e non anche per quelli fallimentari. In ogni caso, la predetta equiparazione è subordinata - come già ritenuto dalla prevalente giurisprudenza in materia penale fallimentare - ai requisiti della continuità della gestione aziendale consistente nella reiterazione di atti e comportamenti e della significatività dell’esercizio della funzione gestoria tipica per cui i poteri tipici esercitati dall’amministratore di fatto non devono essere marginali . ed i suoi elementi sintomatici. La sentenza in commento risulta particolarmente interessante, nella parte in cui ribadisce che il principale sintomo della qualità di amministratore di fatto va rinvenuto nelle plurime incombenze svolte dalla c.d. “testa di legno” nella persistente assenza e nell’assoluto disinteresse dell’amministratore di diritto. Nello specifico, deve ravvisarsi uno schermo societario fittizio nel caso in cui i beni strumentali della società fallita siano acquistati dal fallimento di una ditta individuale, il cui titolare sia proprio l’amministratore “di fatto” della predetta società. Il carattere fraudolento della bancarotta documentale. Altro profilo di sicuro interesse della decisione in commento consiste nell’aver previsto la responsabilità penale dell’amministratore di fatto per il reato di bancarotta documentale. L’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’articolo 216, comma 1, numero 2, l. fall., richiede il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, o di recare pregiudizi ai creditori. Al fine di ravvisare la responsabilità dell'amministratore di fatto, pertanto, è necessaria la consapevolezza della sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture contabili, ovvero della loro tenuta in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari, e la sua mancata attivazione al fine di impedire il compimento delle relative condotte. Ne consegue che, ove non sia raggiunta la piena prova di tale consapevolezza, l’amministratore di fatto potrebbe al più considerarsi responsabile del solo reato previsto dall'articolo 217, comma 2, l. fall., sotto il profilo della bancarotta documentale di tipo semplice , concretizzata dalla mera omissione della tenuta delle scritture contabili.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 febbraio - 23 maggio 2013, numero 22181 Presidente Ferrua – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Palermo confermava la sentenza del 28/05/2010 con la quale il Tribunale di Trapani aveva dichiarato G G. colpevole del reato di cui all'articolo 216, comma 1 numero 2 , l.f. perché, nella qualità di amministratore di fatto della Pro.Ma-Edil, dichiarata fallita in data omissis , sottraeva e/o distruggeva i libri e le altre scritture contabili obbligatorie ex articolo 2214 cod. civ. , non rendendo possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari e che, per l'effetto, l'aveva condannato alla pena di anni tre di reclusione, oltre consequenziali statuizioni. 2. Avverso la pronuncia anzidetta il difensore dell'imputato, avv. Michele Magaddino, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva. Considerato in diritto 1. Con unico motivo d'impugnazione, parte ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell'articolo 216, comma 1, numero 2, l.f., sul rilievo che, erroneamente, era stata attribuita all'imputato la qualifica di amministratore di fatto, sulla base delle raccolte dichiarazioni testimoniali dalle quali era emerso soltanto che lo stesso G. svolgeva le funzioni di capocantiere con compiti di organizzazione del lavoro degli operai, ma non già le funzioni organizzative di rappresentanza che, invece, spettavano, per sua stessa ammissione, a G.S. , amministratore di diritto e suocero dello stesso imputato. Peraltro, l'attività lavorativa di quest'ultimo era basata su attività di carattere materiale, non avendo egli le capacità e conoscenze amministrativo-contabili che gli consentissero di gestire una società di capitali. Peraltro, nessun interesse egli avrebbe mai potuto avere ad assumere la gestione della società dopo una cattiva esperienza nello stesso settore, in ragione del fallimento di altra ditta di cui era titolare. Inoltre, nessun interesse avrebbe potuto avere alla sottrazione delle scritture contabili, cui semmai era interessato il rag. M.S. , che, come emergeva dalla sentenza numero 980/08, era stato accusato di avere, in concorso con Ge.Sa. , emesso fatture false in favore della PRO.MA.EDIL s.r.l 2. L'articolata doglianza di parte ricorrente si colloca ai limiti dell'ammissibilità, proponendo questione squisitamente di merito, qual è, pacificamente, quella riguardante la qualità di amministratore di fatto, notoriamente improponibile in questa sede di legittimità ove assistita da motivazione congrua e pertinente. La censura è, comunque, priva di fondamento in tutti profili che la sostanziano. Non merita, infatti, censure di sorta l'impianto motivazionale in esame, nella parte in cui ha attribuito al G. la qualità anzidetta sulla base di molteplici emergenze probatorie ritenute univocamente sintomatiche di vera e propria attività gestoria nelle plurime incombenze, svolte peraltro nella persistente assenza e nell'assoluto disinteresse dell'amministratore di diritto. Non è, certamente, illogico il rilievo argomentativo secondo cui il tasso di affidabilità delle numerose affermazioni testimoniali era avvalorato dalla riscontrata circostanza che i beni strumentali della società fallita fossero stati acquistati proprio dal fallimento della ditta individuale dello stesso G. , a conferma del convincimento che egli abbia continuato a svolgere l'attività di fonderia, in precedenza esercitata in forma individuale, sotto uno schermo societario fittizio, avente come amministratore formale il suocero Ge.Sa. e la sede negli stessi locali della fallita ditta individuale. L'attribuzione della qualità di amministratore di fatto implica, pacificamente, l'attribuzione di responsabilità per i fatti-reato ordinariamente imputabili all'amministratore di diritto, ove ricorrano i presupposti d'ordine soggettivo ed oggettivo. Condizione questa che, motivatamente, è stata ritenuta sussistente con riferimento alla mancanza dei libri e delle scritture contabili, donde l'affermata configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale. 3. Per quanto precede, il ricorso - globalmente considerato - deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.